Robert Schumann nasce in Sassonia, in mezzo a quella natura che sarà così importante nella sua musica. E’ l’ultimo di sei figli di August Schumann, libraio, editore e scrittore. La madre, è una discreta pianista dilettante.
Robert a sette anni inizia a studiare musica con l’organista della cattedrale. Nel 1826 muore il padre lasciandogli (chi non vorrebbe avere un padre così?) diecimila talleri per terminare gli studi, risparmiandogli di entrare nella ditta di famiglia in cui già lavorano i suoi fratelli.
Va a Lipsia e si iscrive a legge, ma intanto prende in affitto un pianoforte. Conosce Friedrich Wieck, il più importante insegnante di musica della città, e diventa suo allievo. Come si usava all’epoca, si trasferisce in casa del maestro; qui suona spesso a quattro mani con la figlia bambina di Wieck, Clara.
Schumann vuole diventare un concertista e non un compositore. Quando nel 1832 Wieck parte per scortare la figlia, undicenne ma già pianista di talento, in un giro di concerti, Schumann decide di migliorare la sua tecnica collaudando su sé stesso un apparecchio che ha inventato per aumentare la divaricazione fra le dita e quindi l’estensione della mano. Un’idea che più scema e pericolosa non poteva farsela venire. Già in precedenza aveva avuto problemi con le mani; adesso naturalmente questi sono peggiorati.
Quando i Wieck rientrano, Schumann vuole fare ascoltare al maestro la nuova opera che ha composto in sua assenza: “Papillons”, ma il guaio è fatto e ormai ha due dita della mano destra paralizzate; l’opera dello sciagurato compositore, imparata in un attimo, gliela suona Clara.
Cominciano ad aggravarsi le manifestazioni della sua instabilità mentale, già apparse in precedenza; soffre di amnesie, di allucinazioni sonore, resta assorto per ore.
“Ho sognato di affogare nel Reno”: aveva annotato Schumann su un foglietto all’età di 19 anni. Il 26 febbraio del 1854 tenta di suicidarsi per davvero gettandosi proprio nel Reno; salvato dai barcaioli, su sua richiesta finisce internato nel manicomio di Endenich. Nel 1855 ha un lieve miglioramento, gli permettono di uscire, va a Bonn e lì rimane immobile ore e ore in piazza, in piedi davanti al monumento di Beethoven. La situazione si trascina ancora per un anno, con qualche lampo di lucidità e con l’assistenza di Clara, Brahms e altri amici che vanno spesso a trovarlo. Muore il 29 luglio del 1856.
I disturbi nervosi che hanno tormentato Schumann per gran parte della sua vita sono stati attribuiti a una sifilide contratta molto tempo prima. Si è anche pensato a un tumore cerebrale oppure a un disturbo bipolare. La morte forse provocata da avvelenamento da mercurio con cui sciaguratamente lo curavano. Distrutte le sue cartelle mediche per volontà della famiglia, la diagnosi è rimasta sepolta nel mistero.
La figlia di Wieck aveva appena quindici anni e Robert l’aveva conosciuta bambina. Il padre la voleva destinare a un futuro di grande concertista e quando intuì l’interesse di Schumann per lei, la costrinse a lunghe tournée pur di allontanarla. Clara era già una pianista affermata; ai suoi concerti assisteva Goethe. Nicolò Paganini la ascoltò più volte suonare e le regalò anche un frammento scritto apposta per lei.
Papà Wieck cercò in tutti i modi di tenere separati i due innamorati, perfino facendo causa a Robert per alcolismo e rimediando in cambio una bella condanna per calunnia. Alla fine la spuntarono loro e riuscirono a sposarsi, ma ormai Robert come pianista era finito, e la famiglia dovette basarsi per la sopravvivenza solo sul talento di Clara. I primi anni di matrimonio furono felicissimi, però presto arrivarono i problemi economici.
Schumann nel frattempo aveva iniziato a pubblicare una rivista musicale di cui era editore, direttore, redattore, insomma faceva tutto lui. Famosi alcuni suoi pungenti giudizi: “Cimarosa: magistrale nella tecnica, ma noioso e vuoto d’ogni pensiero”. “Donizetti, La Favorita: musica da teatro di marionette”; “Liszt: se non altro lo si è visto scuotere la criniera”. E il famoso bisticcio con Wagner. Wagner: “Schumann è un uomo impossibile, non parla mai”. Schumann: “Wagner è un uomo impossibile, non fa che parlare”.
Ma in seguito le sue passioni esagerate, i picchi di esaltazione e di depressione, gli insuccessi professionali e anche l’alcolismo lo misero fuori combattimento come marito, come giornalista e come musicista. Non si controllava più: una sera, in presenza di amici, mentre Clara stava suonando un suo pezzo (forse troppo veloce o troppo lento, chissà), corse come un pazzo al pianoforte e gridando: “Non è così che si suona Schumann!” chiuse il coperchio dello strumento sulle dita della moglie rischiando di fracassargliele.
Clara continuò la sua carriera di pianista e, grazie ai concerti nei quali eseguiva, insieme a Chopin e Beethoven, le musiche di Robert, fece crescere talmente la notorietà di Schumann che i suoi diritti d’autore arrivarono a superare quelli di quasi tutti gli altri autori contemporanei.
Peccato che per lui era troppo tardi.
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