MOZART

 Doveva essere una bella famigliola di musici vaganti: papà Leopold Mozart, vicekapellmeister presso la Corte di Salisburgo, ma soprattutto astuto (e talvolta implacabile) impresario e organizzatore della vita di sua figlia Nannerl, eccellente pianista bambina, e di suo figlio Wolfgang Amadeus, genio precoce, piccolo virtuoso e, come lo definiva suo padre, “il miracolo che Dio ha fatto nascere a Salisburgo”.

Franz Joseph Haydn, unito a Wolfgang da amicizia e stima, malgrado ci fossero 24 anni di differenza, disse un giorno che i posteri non avrebbero visto un talento simile per i successivi cento anni.

Mozart aveva l’orecchio assoluto, naturalmente, e una memoria fantastica. Una sua prodezza: a Roma ascolta il Miserere di Gregorio Allegri, una monumentale composizione a nove voci considerata proprietà esclusiva della Cappella Pontificia (pena di scomunica a chiunque la portasse fuori del Vaticano per eseguirla) e riesce a trascriverlo a memoria dopo un solo ascolto. Gara fra geni: c’è un secondo aneddoto collegato a questo: Mendelssohn, in visita a Roma, per scommessa vuole ripetere l’impresa di Mozart e, dopo un solo ascolto, anche lui riesce a trascrivere la composizione. Però Mozart ha 14 anni, Mendelssohn più di 20. Conta la differenza?

Nei suoi concerti per pianoforte Mozart spesso lascia vuota in partitura la linea dello strumento solista che, con sprezzo del pericolo o pura incoscienza, suonerà lui stesso a memoria.

 Una volta è addirittura preso per mago: a un concerto a Napoli un nobile nel pubblico attribuisce all’anello che porta al dito il merito della sua incredibile bravura; Wolfgang se lo toglie, lo posa sulla tastiera e continua a suonare magnificamente come prima.

Eterno bambino, Mozart era particolarmente bravo a scrivere da destra a sinistra, ma aveva paura del suono della tromba.

Si divertiva a cambiare il proprio nome latinizzandolo in Wolfgangus Amadeus Mozartus, italianizzandolo in De Mozartini, o capovolgendolo in Trazom Gnagflow. Grafomane compulsivo, scriveva (specialmente alla sorella) lettere piene di parolacce infantili e insistiti riferimenti a flatulenze e funzioni fisiologiche. Si dilettava anche a comporre canoni e arie, alcune assolutamente squisite, sullo stesso argomento.

Nel 1777, a 21 anni, Mozart aveva un aspetto infantile e non aveva ancora bisogno di farsi la barba. Non era alto: uno e sessanta, esile di corpo, capelli biondi e fini, occhi azzurri, bei lineamenti. Aveva avuto il vaiolo in forma leggera e ne portava le tracce.

Malgrado la vita troppo breve scrisse 20 opere, 40 sinfonie, 30 concerti, 20 messe, 100 brani per pianoforte, 200 danze; più arie, serenate, canoni, eccetera eccetera.

Altrettanto infantile fu per tutta la vita il suo rapporto con il denaro. Bisogna anche capirlo e ricordare che quando girava con il padre e la sorella, anche se la vera star del trio era lui riceveva solo una paghetta.

Più tardi gli fece i conti in tasca, in una lettera del 1785, il suo amministratore dell’epoca, quel rompiscatole oppressivo, ossessivo e ricattatorio di papà Leopold. In quell’anno Wolfgang incassa circa 3.000 fiorini (a una famiglia con 2 figli ne bastavano 500 l’anno per vivere bene), ma lui ne spende 460 solo per l’affitto di un lussuoso appartamento, più altrettanto per vestiti, parrucche e gingilli e, ancora peggio, in maniera incontrollata e incontrollabile al tavolo da gioco e al biliardo, per il quale va matto; pur non essendo affatto bravo, ci scommette e perde.

Così entra in un vortice di prestiti e cambiali per rimborsare altri prestiti, di anticipi chiesti e non restituiti, di lettere fastidiose agli amici con richieste imbarazzanti anche di pochi fiorini e alla fine, pur essendo potenzialmente ricco, vive e muore da povero.

Tanto per farci un’idea (anche se è difficile fare un rapporto con oggi), negli anni ’70 a Vienna il direttore dell’ospedale generale prendeva 3.000 fiorini l’anno, il primario chirurgo 800, l’invidiato maestro Salieri 1.200, un professore universitario 300, un maestro di scuola 22 e la serva di Mozart, l’ultima pedina della società, 12.

I colleghi devono essere grati a Mozart perché la sua scelta di abbandonare il servizio presso l’arcivescovo di Salisburgo fu fondamentale non solo per lui, ma anche per la condizione dei musicisti in generale: era la prima volta (perlomeno nell’ambiente di lingua tedesca) che un compositore della sua statura si affrancava dalla sudditanza alla Chiesa o alla nobiltà e decideva di agire come libero professionista, legato solamente alle regole del mercato.

Il fatto che questa mossa a lui non riuscì del tutto è irrilevante: aprì la strada ai posteri, lasciando anche un’involontaria eredità al figlio Carl Thomas, che vivrà fino al 1858 e sarà l’unico a prendere diritti d’autore sul lavoro del padre.

Sempre a proposito di colleghi, Mozart non è tenero. Umilia quando può il potente Salieri; in un confronto pubblico alla tastiera con il venerando e rispettato Clementi, lo batte clamorosamente e poi ne scrive: “Clementi suona bene, fino a che guardiamo alla mano destra. A parte questo, non ha un centesimo di gusto o sensibilità; in pratica è solo un puro meccanico”. Poi aggiunge: “Clementi è un ciarlatano, come tutti gli italiani”.

In parecchi, anche fra i posteri, lo ricambiano: l’Imperatrice Maria Luisa di Borbone, presente alla prima, definisce La Clemenza di Tito “una porcheria tedesca in lingua italiana” e aggiunge che “la musica era così brutta che ci addormentammo tutti”. Strawinskij chiama le sue messe “pasticceria rococò”. Debussy detesta i suoi concerti per pianoforte; a Prokofiev è talmente antipatico che non capisce come qualcuno possa amarlo. Berlioz, grande orchestratore sostiene che il suo a solo di trombone nel Requiem fa un effetto miserando.

E siamo arrivati alla leggenda del Requiem. E’ vero che gli fu commissionato, ma non da un misterioso personaggio che veniva ad annunciargli la sua morte. Il committente, che naturalmente aveva mandato un segretario, era, in carne ed ossa, il conte Franz von Walsegg, un signore ricco e conosciuto, ma anche in qualche modo patetico perché, vergognandosene un poco, comprava in gran segreto composizioni da famosi musicisti (anche Haydn fu un suo fornitore) e poi, spacciandole per proprie, le dirigeva nel suo castello davanti ai nobili amici, suonando anche le parti di flauto, che gli scrivevano appositamente semplificate.

Mozart si trovò nel dubbio se comporre il Requiem nel proprio stile, il che avrebbe reso molto difficile credere che fosse di Walsegg, o in una forma banalizzata, più appropriata al conte; ma questo gli ripugnava e quindi continuò a rimandare la conclusione del lavoro finché fu troppo tardi.

Morto Wolfgang, l’astuta moglie Constanze lo fece terminare dall’allievo Süssmayr, poi lo recapitò al conte facendosi saldare l’onorario. Ormai però ce n’erano in giro altre copie, tanto che alla fine venne pubblicato, naturalmente con il nome di Mozart.

Come salvare la faccia? Il conte ebbe una trovata assolutamente geniale. Raccontò ai suoi amici e cortigiani di essere stato allievo di Mozart per la composizione, e come tale di aver mandato i frammenti del Requiem al maestro man mano che li scriveva perché li correggesse. Le partiture erano rimaste nello studio di Mozart e, trovate dopo la sua morte, erano state pubblicate come sue.

Ultimo brandello di banale verità, fuori dal mito: Mozart morì normalmente nella sua casa a Vienna. Gli fecero un normale funerale di terza classe: il feretro era sostenuto da quattro portatori, preceduti da un crocifero e da quattro chierichetti con i ceri. Al seguito la vedova Constanze, la famiglia Weber, Süssmayr, altri allievi, alcuni amici e perfino (questo sì un colpo di scena) Antonio Salieri.

E IL FIGLIO

FRANZ XAVIER WOLFGANG MOZART: 1791 – 1844

Era l’ultimo dei sei figli di Wolfgang e Constanze; solo lui e il fratello Carl Thomas arrivarono all’età adulta. All’epoca i bambini morivano come animaletti e con lo stesso effetto per i genitori e per la famiglia. Fu chiamato Wolfgang in omaggio a suo padre e Franz Xavier in omaggio a Franz Xavier Süssmayr, compositore, allievo e intimo amico di Mozart.

Voci girano sul fatto che, facendo i calcoli, risulta che fu generato in un momento in cui Mozart era lontano da casa, mentre Süssmayr era vicino a Constanze. Inoltre si dice che Süssmayr fece molta resistenza alla richiesta da parte della vedova di Mozart di completare il Requiem dopo la morte dell’autore. Sensi di colpa basati sui sospetti di una relazione fra lui e Constanze?

Franz Mozart nacque solo cinque mesi prima della morte di suo padre, quindi non lo conobbe; eppure visse sempre nella sua ombra, nella paura e nella consapevolezza di non poter raggiungere gli stessi vertici artistici. Fu allievo di Antonio Salieri e, proprio come il padre, iniziò a comporre da bambino; diede il suo primo concerto a 14 anni. Il suo carattere era molto diverso da quello di papà: introverso, timoroso, tendente all’autosvalutazione. Non si sposò mai e non ebbe figli.

Morì di cancro allo stomaco (qui forse si manifesta psicosomaticamente il rovello di essere figlio di un simile padre) a Karlsbad, dove è sepolto sotto una lapide che porta la seguente scritta: “Che il nome di suo padre sia il suo epitaffio, giacché la sua venerazione per lui fu l’essenza della sua stessa vita”. Chissà se Franz Xavier sarebbe stato d’accordo?

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