NANNARELLA

Prima di Nannarella avevo scritto, Vita di Totò, principe napoletano e grande attore, in concomitanza con un programma monstre sul Principe o forse contemporaneamente: insomma tutti e due, programma televisivo e libro, riscossero grande successo, anche economico, tanto da farmi convincere a incrementare la mia attività di scrittore.

L’Editore, contento delle tante copie vendute, mi incitò a scrivere subito un altro libro.
Il conte Valentino Bompiani mi suggerì il nome di Anna Magnani. Io ero titubante perché non riuscivo a capire come avrei potuto raccapezzarmi nell’affrontare, con la mia mentalità di maschio, una donna sublime, la quintessenza stessa della femminilità.

Ma il Conte insisteva e per convincermi mi mandò un contratto, corredato da un assegno in lire (siamo nel 1980) con sette zeri. Decisi di scrivere il libro e di affrontare tutte le difficoltà che avrebbe rappresentato. Aiutato dalla mia amica e collaboratrice Anna Scriboni, contattai tutti i testimoni della vita e dell’opera di Anna Magnani: Rossellini, Giannetti, Silvia e Suso Cecchi D’amico, Federico Fellini, Pietro Garinei, Alfredo Giannetti, Marisa Merlini, Giggetto Pietravalle, Pietro Pintus, Giovanna Ralli, Massimo Ranieri, Renato Rascel, Osvaldo Ruggeri, Nantas Salvalaggio, Massimo Serato, Alberto Sordi, Antonello Trombadori, Renzo Vespignani, Franco Zeffirelli, Luigi Zampa. Praticamente tutti i personaggi legati ad Anna. Mancava soltanto Rossellini che era morto un paio di anni prima.

Forte di tutto questo pregiato materiale affrontai la scrittura. Non so perché decisi di scrivere di notte e dormire di giorno, forse perché mi sentivo più solo con me stesso e con Lei. La notte riempivo fogli scritti con la penna (il computer era di là da venire e i libri non riuscivo a scriverli a macchina, che mi riservavo soltanto per gli articoli) che Rossana al mattino portava in copisteria.

Al mattino andavo a dormire e mi addormentavo subito, aspettando la stesso sogno angoscioso, con l’interrogativo: chissà se anche stanotte sarà così. Ogni notte, da quando avevo incominciato a scrivere questo libro, facevo sempre lo stesso sogno. Mi trovavo a camminare per un corridoio lungo e angusto. Senza finestre né porte. Lei si annunciava dal fondo con la sua risata, un po’ irridente, un po’ allegra: la famosa risata di Nannarella! Poi appariva alla mia vista. Di solito vestita come la signora Pina di Roma città aperta (o come la popolana de L’onorevole Angelina, non distinguo bene…). Questa volta invece è vestita come l’attrice di varietà, con pelliccia di volpe, cappellino e cagnolino “da grembo” in braccio, come nell’episodio di Siamo donne in cui litiga con il tassista.

Dal Film Siamo Donne

Mi viene incontro, sorridente. Penso che sia contenta di me e che venga a farmi un complimento. I complimenti mi piacciono però mi imbarazzano, abbasso gli occhi, arrossisco. La sento passarmi accanto, quasi mi sfiora. Poi, con la coda dell’occhio vedo che si volta e finalmente mi parla. Tutte le notti la stessa frase: “Ah regazzì, me sa che stai a scrive’ un sacco de stronzate…!”.

Ho deciso di ribellarmi ma poi, quando mi piazza sulla faccia la sua risata irridente e i suoi occhi penetranti mi blocco ancora una volta e rimando la ribellione all’indomani. Domani è arrivato e io sono qui a percorrere questo assurdo corridoio, come ogni notte, a ripassare mentalmente quello che devo rispondere a lei, alla donna più sfrontata del mondo, a una che sa usare la parola come D’Artagnan sa usare la spada. Eccola che arriva, mi guarda e mi affianca e io mi aspetto la solita frase… ho studiato un espediente dialettico che mi fa fingere di accettare il suo giudizio per poi ribaltarlo… mi riallaccerò a ‘stronzate’ e dirò “si è vero, le mie saranno stronzate però le mie stronzate…”. Eccola, lei è passata, io la seguo con la coda dell’occhio, lei ride e finalmente arriva la frase: “A regazzi’ ma perché non vai a dormì, invece de sta’ arzato a scrive’… (aspetto ‘stronzate’ e invece lei cambia…) a scrive ‘sti libri del cazzo!” Mi verrebbe da piangere, lei ha annullato l’espediente dialettico che mi ero preparato, ha reso vano l’argomento che avevo studiato. Incasso la testa, affretto il passo e sparisco seguito dalla sua risata che dissolve.

Studio altre risposte ma lei ogni volta cambia. Mi viene il sospetto che abbia inserito una “cimice” nel mio cervello che le permette di leggere i miei pensieri. La diabolica Donna! Eppure un punto debole dovrà averlo. Durante il giorno, anziché andare avanti con il libro mi arrovello a pensare a questo punto debole. Finalmente lo trovo: Alessandria d’Egitto! Anna è romana, è nata a Roma, non c’è dubbio alcuno perché l’ho visto con i miei occhi, alla anagrafe, l’atto di nascita. Allora perché sull’enciclopedia dello spettacolo c’è scritto che è nata ad Alessandria d’Egitto? Perché una amica come Marisa Merlini la descriveva come una “egiziana”? In Egitto viveva la sua mamma che poco dopo la sua nascita si era sposata con un ingegnere austriaco che era andato lì a lavorare e Anna aveva trascorso diversi periodi con la sua mamma. Ma questo non basta per far passare per egiziana una attrice, che aveva fatto della sua romanità una bandiera. Ho il forte sospetto che anche lei su questo affare ci abbia messo lo zampino.

Quando negli anni Trenta, Anna cercò di entrare nel cinema, si trovò chiusa da personaggi dai nomi esotici come Assia Noris, Doris Duranti, Maria Denis, adattate a un cinema fasullo ambientato in mondi inesistenti. Come poteva competere, lei così mediterranea e vera, con il suo nome popolaresco: Magnani? Per cui è molto probabile che abbia messo in giro la favola della nascita in Egitto. Eccola la domanda che dovrebbe spiazzarla, zittirla e metterla con le spalle al muro una buona volta: “signora Anna, che cosa mi dice dell’Egitto?” Me la ripasso mentalmente e, quando lei appare, sono pronto ad attaccarla. Non faccio a tempo ad aprire bocca che lei mi precede con: “ A regazzì perché nun te ne vai in Egitto invece de sta’ a scrive’ queste stronzate?”

Non vedo l’ora di finire questo libro… 

“Tutto arriva a chi sa aspettare” diceva la mia Mamma, una perla di saggezza che lei aveva letto in una di quelle piastrelle, che una volta si attaccavano al muro, tipo “Fortuna assistimi invidia crepa”. E arriva anche la fine del libro. Quando è finito, ammucchio la pila di pagine, controllo se tutte seguano la numerazione, accarezzo la risma di carta su cui è scritto il mio libro, con la soddisfazione che soltanto chi ha scritto un libro prova nella fase finale, quando si è messa la parola fine a tanta fatica. Poi il sonno meritato, spero senza l’incubo senza la sua battuta salace. Anzi, spero proprio senza di lei.

Appena mi addormento arriva Lei, è tutta sorridente. Mi guarda, per un attimo quasi mi fissa, poi prosegue e mi sento dire “regazzi’ va a dormì che te sarai stancato con tutte queste pagine che hai scritto”. Mi sembrò la sua approvazione che mi faceva tornare ai miei sonni tranquilli.

Il libro, a cui detti il titolo di Nannarella, fu pubblicato rapidamente con una bella copertina e andò in libreria. Bompiani mi chiamò a Milano, dove mi fece incontrare con un vecchio venditore, con il quale partimmo per un giro nelle librerie del Nord d’Italia, cominciando da Milano, poi Bologna e Firenze. Accompagnato da questo personaggio molto noto nell’ambiente, venivo accolto con cordialità dai librai che mi facevano firmare le copie e mi intrattenevano fra un cliente e l’altro, a conversare sul libro. Il giro promozionale finì e io mi misi ad aspettare l’esito commerciale del libro.

Nel frattempo avevo incontrato Pippo Baudo, alcuni anni dopo una cena organizzata da Maurizio Costanzo, a Capri dove si teneva il Premio De Curtis intestato a Totò.
Fui premiato insieme a Ugo Tognazzi in una bella serata presentata da Pippo, che a Capri dovette sopportare il giovane Beppe Grillo che, da buon genovese, non essendo stato invitato, faceva gravare le spese del suo soggiorno su di lui.

Qualche mese dopo, Pippo presentava la sua Domenica in, che era stata inventata e condotta da Corrado, in maniera molto personalizzata, sotto forma di intrattenimento puro, ma che lui aveva trasformato in un vero settimanale dedicato alla cultura e allo spettacolo. Pippo aveva cominciato a promuovere anche i libri, in maniera spettacolare, e mi invitò. L’intervista, insieme a Giovanna Ralli e a Lello Bersani, amici tutti e due di Anna Magnani, fu preparata meticolosamente da uno degli autori di Pippo, Franco Torti, e arrivammo alla diretta pronti a parlare della nostra Nannarella, il nomignolo affettuoso con cui il popolo chiamava Anna.

Per me era la prima volta davanti a una telecamera, in diretta. Pippo mi vide un po’ teso e mi disse: “stai tranquillo, sappi che quello televisivo è un ascolto individuale, perché parla ai singoli individui, l’importante è parlare come si parla a una persona sola, a uno del popolo, anche se i dati di ascolto ci dicono che i telespettatori sono milioni, in realtà sono milioni di individui. Ora che sei con me, parla con me, se sei solo parla con il cameraman che hai davanti”. Insomma, Pippo mi insegnò a usare la televisione, a stare davanti alle telecamere. Un insegnamento che è mi ha accompagnato per tutta la vita.

Il programma televisivo durò una ora piena, anche perché dovemmo riempire il vuoto lasciato da un collegamento esterno, che saltò. Quando uscimmo dallo studio c’era una folla che ci chiese gli autografi e la mattina dopo a Bompiani arrivarono una valanga di ordini che portarono il mio Nannarella in cima alla classifica delle vendite. Insomma fu Pippo a lanciarlo e a insegnare a me come si sta in televisione.

Quella fu la prima edizione di Nannarella. Prima di questa ce ne fu un’altra, nel 2008 quando si festeggiò il Centenario dalla nascita. In quella occasione fui invitato in molti posti d’Italia tanto da sottopormi a un giro per la Penisola da Bolzano a Milazzo.

La terza edizione nasce per i 50 anni dalla morte di Anna. Ho colto l’occasione per chiarire un altro mistero.

Chiarito l’equivoco della nascita ad Alessandria di Egitto, probabilmente alimentato da lei stessa, c’è da dissipare il mistero di come, una bambina cresciuta in una famiglia nata in Romagna, dove certamente si parlava romagnolo in una Italia prevalentemente dialettofona, sia potuta diventare una romana per eccellenza, simbolo stesso della romanità.

La famiglia nasce da Ferdinando Magnani e Giovanna Casadio, di origine contadina, pressoché coetanei. Lei lavora come bracciante agricola, lui lavora come operaio in una fornace. Lei è analfabeta, lui invece ha potuto studiare come si studiava nell’Ottocento in Italia, quindi sa leggere e scrivere, per cui ti fa classificare fra i “letterati” in una situazione di vantaggio, in una Italia che conta quasi il novanta per cento di analfabeti. Ferdinando e Giovanna si sposano che lei è già incinta e dopo nasce una prima figlia, poi nasce la seconda che si chiamerà Marina e sarà la mamma di Anna Magnani. I figli in totale saranno nove, ma due muoiono in tenera età. In sette sopravvivono, sei femmine e un solo maschio, che si chiamerà Romano.

La famiglia Magnani sembra una compagnia di giro, si sposta da un punto all’altro della regione dove nascono le figlie, probabilmente al seguito del capo famiglia che non riesce a trovare un lavoro stabile, mentre Giovanna imparerà il mestiere di sarta con cui darà un grande contributo economico alla famiglia. Questa situazione precaria durerà fino a quando nel 1905, tre anni prima della nascita di Anna, nel 1908, riuscirà a trovare un lavoro, grazie alla sua condizione di ‘letterato’: il tanto ambito impiego statale, usciere al tribunale di Roma, dove rimarrà fino alla pensione.
Di nonno Ferdinando troveremo traccia soltanto quando Anna viene iscritta a scuola quando lui figura alla voce paternità, per non dichiarare che Anna non ha padre. Poi non viene citato neppure nella sua morte, che deduciamo dall’albero genealogico. Sembra che per Anna non sia mai esistito, tranne che per questo atto burocratico.

Quando la famiglia Magnani si trasferisce a Roma i suoi membri hanno consumato i loro anni in Romagna e quindi sono dei veri romagnoli trasferiti a Roma, che parlano con un accento molto marcato, che però non trasferiscono minimamente alla piccola Anna, che apprenderà la lingua romana, prima dell’italiano perfetto, senza accento, che si parla in teatro, grazie al suo “grande orecchio” di cui è dotata e che la porterà ad essere quella straordinaria attrice che è stata. Un “grande orecchio” che le permetterà di apprendere la lingua inglese, durante il tempo di una traversata dall’Italia a Hollyvood , dove reciterà in presa diretta nel film La rosa tatuata, per il quale conquisterà l’Oscar.


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