Memorie nostre1
Tredici/D Lexicon Fresco di stampa
Andrea Ricciardi, studioso di storia contemporanea
A quasi quattro mesi dalla scomparsa lo storico Andrea Ricciardi traccia il profilo di Nerio Nesi noto come “il banchiere rosso”, per undici anni presidente della Banca Nazionale del Lavoro, definendolo “un socialista lombardiano tra idealità, realismo e concretezza” . “Nesi, antifascista fin da ragazzo quando aveva partecipato alla Resistenza, non è stato – chiarisce subito Andrea Ricciardi – un teorico del socialismo e, più che cancellare il mercato, in concreto pensò di modificarne i caratteri avvicinandosi alla socialdemocrazia senza mai dimenticare John MaynardKeynes. Ma, in Italia, il PSDI con il sistema socialdemocratico, paradossalmente, c’entrava poco e, nel PSI di Pietro Nenni e Francesco De Martino, Giuseppe Saragat non suscitava grandi entusiasmi. Questo perché, al di là della scelta autonomista del 1947 e delle solenni dichiarazioni di principio, il suo partito aveva scarsi contatti con le masse e si era presto radicato nel sistema senza metterlo realmente in discussione, alleandosi con la DC e favorendo la stabilità di governo durante la lunga fase del centrismo. Quella stessa DC in cui Lombardi, che pure dialogò a fondo con la sinistra cattolica, non credeva e con cui Nesi stesso, cattolico e da giovane vicino alla DC, dovette confrontarsi mantenendo, però, l’idea che il partito di Amintore Fanfani e Aldo Moro fosse, in sostanza e indipendentemente dagli accordi di governo (non sempre rispettati dalla DC negli anni Sessanta come nei Settanta), alternativo a un percorso verso l’ampliamento dei diritti per come venivano interpretati da Lombardi e da Giolitti. Per Nesi, il PSI fu in primo luogo uno strumento per sviluppare appieno la democrazia in Italia, prim’ancora che per arrivare a una radicale alternativa di sistema. Ecco perché egli è stato, nel contempo, un esponente di assoluto rilievo della classe dirigente e un socialista appassionato, attento ai contenuti della politica (della cui mancanza si lamentava da tempo), tutt’altro che animato da sterili rigidità ideologiche incapaci di cogliere la complessità del reale”.
04 giugno 2024
Nella primavera del 2012 Nerio Nesi intervenne a Torino, presso l’Istoreto, agli annuali Cantieri aperti: giellismo e azionismo (che seguì sempre con grande interesse) ricordando Antonio Giolitti e, in generale, il contesto politico-culturale dei “riformatori”, favorevoli alla programmazione economica. In quello stesso anno fu pubblicato un volume collettaneo all’interno del quale comparve un suo breve scritto sulla «Nota aggiuntiva» firmata da Ugo La Malfa nel 1962, documento connesso con un momento particolarmente importante per il quadro politico italiano, per la storia del PSI e dei “lombardiani”, a cui Nesi già apparteneva. Io, in quel libro, pubblicai un saggio sullo stesso Giolitti nel quale citai due lettere inedite, tanto drammatiche quanto significative, scrittegli da Bruno Trentin.2 Quest’ultimo, che a Giolitti era molto legato, nel momento delle sue dimissioni dal PCI (luglio 1957) dopo le quali avrebbe aderito al PSI, manifestò una sorta di rabbia dolorosa. Sapeva che, senza Giolitti, nel PCI sarebbe stato molto più difficile far sentire la voce di chi intendeva rinnovarne la linea in rapporto al legame di ferro con l’URSS (mantenuto dopo l’invasione dell’Ungheria), costruendo il socialismo nella libertà ma, appunto, senza rinunciare all’idea di superare, nel tempo e attraverso le riforme, il sistema capitalistico. Nesi, nell’intervento del 2012, parlò della mancata elezione di Giolitti alla Presidenza della Repubblica nel 1978 (fu eletto Sandro Pertini, disse, anche perché appoggiato dal PCI) ma, soprattutto, riaffermò il valore del rapporto tra etica e politica nell’esercizio sia della militanza partitica sia di ogni funzione pubblica. Un’idea, questa, che aveva accomunato lo stesso Giolitti a Riccardo Lombardi, il riferimento di Nesi nel PSI fin dal suo approdo al partito nel 1960.
I percorsi politici di Giolitti e Lombardi si divaricarono in modo traumatico nel 1968, ma nessuno dei due cambiò il proprio approccio alla politica, da sempre caratterizzato dalla capacità di approfondire i problemi studiando, calandosi a fondo nella realtà in modo disinteressato, non curandosi del proprio prestigio personale, del potere e della ricchezza materiale, accettando alcuni inevitabili compromessi senza, però, rinunciare alla dimensione ideale della lotta.
Nesi, fino all’ultima stagione della sua lunga esistenza, nell’approcciarsi alla politica e alle altre responsabilità di cui si fece carico con personalità, ha seguito un criterio molto simile. Soprannominato il “banchiere rosso”, una definizione divertente e suggestiva che metteva insieme la sua (in apparenza) contraddittoria esperienza nel mondo delle banche (dal 1978 al 1989 presiedette la BNL da cui si dimise in polemica con Bettino Craxi) e nel PSI (e più in generale nella sinistra dopo il crollo della cosiddetta prima Repubblica), Nesi è riuscito nella difficile impresa di rendere “armoniche” due dimensioni della vita lontane tra di loro. Come ha fatto? Era possibile essere, nello stesso tempo, un uomo che conosceva il potere dall’interno, che accettava di assumersi responsabilità di rilievo non soltanto nel campo economico-finanziario (fu anche Ministro dei Lavori Pubblici durante il Secondo Governo Amato nel 2000-2001 e parlamentare per un decennio), e un dirigente politico socialista che, avendo sempre come supremo riferimento la lezione del suo maestro Riccardo Lombardi,3 combatteva il “sistema” sognando un’alternativa possibile?
Nesi, antifascista fin da ragazzo quando aveva partecipato alla Resistenza, non è stato un teorico del socialismo e, più che cancellare il mercato, in concreto pensò di modificarne i caratteri avvicinandosi alla socialdemocrazia senza mai dimenticare John Maynard Keynes. Ma, in Italia, il PSDI con il sistema socialdemocratico, paradossalmente, c’entrava poco e, nel PSI di Pietro Nenni e Francesco De Martino, Giuseppe Saragat non suscitava grandi entusiasmi. Questo perché, al di là della scelta autonomista del 1947 e delle solenni dichiarazioni di principio, il suo partito aveva scarsi contatti con le masse e si era presto radicato nel sistema senza metterlo realmente in discussione, alleandosi con la DC e favorendo la stabilità di governo durante la lunga fase del centrismo. Quella stessa DC in cui Lombardi, che pure dialogò a fondo con la sinistra cattolica, non credeva e con cui Nesi stesso, cattolico e da giovane vicino alla DC, dovette confrontarsi mantenendo, però, l’idea che il partito di Amintore Fanfani e Aldo Moro fosse, in sostanza e indipendentemente dagli accordi di governo (non sempre rispettati dalla DC negli anni Sessanta come nei Settanta), alternativo a un percorso verso l’ampliamento dei diritti per come venivano interpretati da Lombardi e da Giolitti.
Per Nesi, il PSI fu in primo luogo uno strumento per sviluppare appieno la democrazia in Italia, prim’ancora che per arrivare a una radicale alternativa di sistema. Ecco perché egli è stato, nel contempo, un esponente di assoluto rilievo della classe dirigente e un socialista appassionato, attento ai contenuti della politica (della cui mancanza si lamentava da tempo), tutt’altro che animato da sterili rigidità ideologiche incapaci di cogliere la complessità del reale.
Questo modo di pensare, emerso sempre nei nostri dialoghi che avevano per oggetto innanzitutto la storia contemporanea e l’attualità politica, è stato visibile in ogni sua pubblicazione ma anche nelle sue considerazioni (espresse in pubblico come in privato), talvolta sanamente radicali innanzitutto sui principi, ma sempre ispirate a uno spiccato senso del dovere che era il prodotto di due realtà culturali geograficamente connotate. Quella emiliana (era nato nel 1925 a Corticella, una frazione di Bologna) e quella torinese, la sua città d’adozione nella quale visse con atteggiamenti improntati alla sobrietà anche la sua grande passione sportiva: la Juventus.
A Torino Nesi s’inserì in un mondo politico-culturale da cui prima fu influenzato e che, in un secondo tempo, rappresentò appieno. Un contesto nel quale, al fianco del socialismo e del comunismo, era molto presente il post azionismo che, dopo lo scioglimento del Partito d’Azione, aveva rinnovato le altre culture politiche senza più riunificarsi in un unico partito ma sopravvivendo, per riprendere la nota espressione di Giovanni De Luna, come un fiume carsico nella politica e nella società italiana. Nesi lo capiva bene e si può dire che egli stesso fosse, in una certa misura, quasi un azionista mancato.
Il suo rapporto con Norberto Bobbio fu stretto e, per molti aspetti, incarnò questa sorta di commistione tra il post azionismo e il socialismo. Se ne trova traccia anche nell’epistolario (non integrale) pubblicato vent’anni fa. Fra i temi trattati la “decadenza” del PSI che, dopo le forti polemiche iniziate negli anni Ottanta, portò Nesi a dimettersi nel 1992 in polemica con Craxi e con i vertici del partito, di cui salvava ormai pochi esponenti tra cui Gino Giugni (ritrovato poi nello SDI), Michele Achilli e Valdo Spini.
Proprio la lettera di dimissioni dal PSI è un documento prezioso per capire quali fossero le convinzioni che Nesi aveva acquisito e la conseguente impossibilità di rimanere in un PSI ormai “svuotato” di ogni serio contenuto politico e lontanissimo da quello di Nenni e di Lombardi, pur così diversi tra di loro, ma anche di altri ex dirigenti come Francesco De Martino e Giacomo Mancini. Il 28 novembre 1992, Nesi scrisse a Bobbio delle sue dimissioni allegando una copia della lettera spedita cinque giorni prima ai vertici del PSI.
Era «una decisione molto amara e sofferta, dopo 32 anni» ma, chiariva Nesi, «non credo ai rinnovatori e credo che la mutazione genetica sia avvenuta».
Bobbio, il giorno dopo, gli rispose così:
«hai fatto benissimo. Da anni ormai anch’io ho perduto ogni fiducia nel PSI e nel suo capo. Il guaio è che non ho nessuna fiducia neppure nei suoi oppositori interni. Salvo soltanto, tra i craxiani, Giuliano Amato».
Ma le parole di Nesi valgono più di ogni altra, sono chiare ed inequivocabili, dicono molto sulle sue priorità e sulla serietà (non aliena da forti slanci di passione) che ne contraddistinse sempre le scelte. Scriveva, tra l’altro:
“alla fine degli anni cinquanta ero mosso dall’ansia di partecipare alle battaglie che la Commissione Economica Nazionale del PSI – diretta da Riccardo Lombardi – aveva intrapreso per dare al nostro Paese una struttura più razionale e più giusta […] nell’ambito di una idea generale: la programmazione dello sviluppo, nella convinzione che il sistema capitalistico, nel quale abbiamo scelto di vivere, debba essere improntato a fini e valori predeterminati e organizzato secondo regole, che lo rendano accettabile anche alle classi più deboli. Con queste idee – che a mio giudizio costituiscono una delle ragioni essenziali dell’esistenza stessa di un partito che si richiama al socialismo democratico sono stato coerente negli incarichi, privati e pubblici, che ho ricoperto: nell’espletamento dei quali ho sempre agito nel presupposto che una forte presenza dello Stato sia necessaria in alcuni settori strategici dell’economia nazionale. Mi rendo conto che proporsi ora questi obiettivi, significa immergersi in una altra età, nella quale sembrò possibile modificare il corso della storia: illusioni che appaiono oggi il frutto di un momento remoto, separato da noi. In realtà siamo noi ad essere separati da noi stessi, perché la realtà che ci circonda rappresenta la sconfitta del paese che immaginammo: è in atto una nuova sistemazione della società civile che vede gli strati più deboli della popolazione diventare sempre più poveri e accrescersi al contrario il livello di ricchezza delle fasce privilegiate. Il PSI assiste a questo processo di restaurazione con l’acquiescenza operosa dei suoi esponenti e nel disinteresse di una base volutamente abituata in questi anni a occuparsi solo di “fatti concreti”. Tutto ciò per me è inaccettabile, così come è intollerabile lo stato al quale è stato ridotto il PSI al suo interno […]. Affermare che di tutto quello che è accaduto, e che accade, è responsabile una sola persona è ingiusto. Siamo responsabili tutti – per consenso o per silenzio – naturalmente in misura diversa a seconda dei ruoli che abbiamo ricoperto. Ed io non mi sottraggo alla mia parte di responsabilità: e anche da questo traggo la mia decisione”.4
Queste parole spiegano appieno l’atteggiamento di Nesi nei confronti dei vertici del suo partito ma indicano anche le sue priorità politico-culturali che, negli anni successivi, non mutarono. Anzi, se possibile, le sue posizioni politiche si radicalizzarono perché egli comprese prima di altri il rischio che non solo il PSI ma anche l’Italia fosse avviata verso la decadenza e che la crescita della destra (non certo moderata) rappresentasse un autentico pericolo per la solidità della democrazia, le cui radici (la Costituzione repubblicana nata dall’antifascismo e dalla Resistenza) in effetti appaiono, oggi, sempre meno solide. Ancora le sue parole, figlie di una grande capacità di intuire lo spirito dei tempi, ci aiutano a capire il presente.
Gli ultimi due decenni
Il successo elettorale della destra nel 2001 non fu un incidente della storia. Fu, secondo una acuta definizione di Andrea Margheri, l’espressione politica del
“ventre profondo dell’Italia conservatrice”, del privatismo egoista e gretto, che mal sopportava e mal sopporta il patto democratico, solidale, progressista della Costituzione repubblicana […]. Un ventre profondo lontano dall’Europa, aggrappato al suo particulare, ostile per definizione al potere pubblico, contrarissimo alla società multietnica e multiculturale delle inarrestabili migrazioni e che ha quindi come substrato ideologico l’idolatria del mercato come meccanismo sovrano di organizzazione e regolazione della convivenza umana, come super-ideologia che dichiara la morte di tutte le altre ideologie e assurge a fondamento del pensiero unico”.5
A distanza di un ventennio queste considerazioni colpiscono per la loro chiarezza e sintetizzano bene il difficilissimo momento che attraversa il paese. Dell’Italia Nesi si è sempre occupato, ha dato alla parola patria un significato profondo, alieno dalle pulsioni nazionaliste delle destre e dal qualunquismo proprio delle varie forme di populismo, dimostrando che il sentimento di appartenenza a un paese di un uomo molto legato al Risorgimento poteva convivere con l’internazionalismo socialista.
Non è un caso che Nesi abbia intitolato un suo denso volume di taglio autobiografico Al servizio del mio paese. In questo libro ha ripercorso le principali stagioni della vita, dalla formazione alla presidenza della Fondazione Cavour passando per l’impiego alla RAI, l’Olivetti (dove fu a capo dei servizi finanziari dal 1958 al 1970), il PSI, la Spagna (e la lotta al franchismo) e il Cile del compianto Salvador Allende, le banche e l’intenso rapporto con personalità della storia italiana e internazionale che incrociò fin dagli anni giovanili. Tra questi si ricordano Bruno Vasari, Edoardo Volterra, Adriano Olivetti e Guido Fubini (gli ebrei contarono molto nella sua vita6), Carlo Azeglio Ciampi e Felipe Gonzales, Alfonso Guerra e gli Einaudi, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e Romano Prodi, vari esponenti della politica appartenenti all’area socialcomunista: dal giovane Enrico Berlinguer a Giorgio Napolitano, da Fausto Bertinotti a Armando Cossutta, da Pietro Nenni e Riccardo Lombardi a Sandro Pertini e Antonio Giolitti, da Norberto Bobbio e Giorgio Ruffolo a Giuliano Amato e Bettino Craxi, ricordati attraverso lettere e aneddoti capaci, con toni insieme ironici e profondamente seri, di inquadrare in modo efficace cesure molto significative della storia.
Nesi, rimasto sempre legato alle sue umili origini
«la mia era una famiglia di gente modesta e dignitosa» scrisse in Al servizio del mio paese,7
frequentò ambienti vari e fu a proprio agio nei palazzi come nelle sezioni di partito e nei circoli situati in periferia. Lo ricordo parlare anni fa a un gruppo di militanti a Moncalieri, con la passione e il rigore che lo caratterizzarono sempre, senza perdere l’ironia e la semplicità, con una grande capacità di ascoltare, propria di chi non vuole pontificare ma dialogare per costruire. Così si può ricordare Nerio Nesi, severo e sorridente, animato dall’ottimismo della volontà più che dal pessimismo della ragione, mai disattento al futuro, convinto che si potesse e si dovesse fare sempre qualcosa in più.
- Scritto per Critica Sociale, nuova serie (7), marzo-aprile 2024, pp. 58-60. Ringraziamo il professor Scirocco per averci autorizzato a riprenderlo sulla nostra rivista. ↩︎
- A Torino, in occasione dell’VIII edizione dei Cantieri di GL e Pd’A e prima dell’uscita del libro, avevo parlato del fitto dialogo mantenuto da Antonio Giolitti con Lelio Basso e Vittorio Foa, centrali nel suo approdo al PSI su posizioni tutt’altro che socialdemocratiche e presto rivelatesi vicine a quelle di Riccardo Lombardi. Cfr. Andrea Ricciardi, “Antonio Giolitti e la ricerca del socialismo possibile. Dal 1956 alla crisi del centro-sinistra moroteo e del PSU”, in Giuliano Amato (a cura di), Antonio Giolitti. Una riflessione storica, Roma, Viella, 2012, pp. 185-249 (in particolare 207-210) e Nerio Nesi, “La «nota aggiuntiva»”, ivi, pp. 255-257. Sulle posizioni di Giolitti nel biennio 1956-1957, cfr. anche Gianluca Scroccu, Alla ricerca del socialismo possibile. Antonio Giolitti dal PCI al PSI, Carocci, Roma 2012, pp. 85-166 e Antonio Giolitti, Luigi Longo, L’occasione del ’56, a cura e con introduzione di Andrea Ricciardi (“Frammenti di Novecento”, pp. VII-XXXIII), Torino, Aragno, 2017. ↩︎
- Tra i vari scritti da lui dedicati all’ex dirigente azionista, mi limito a citare la prefazione a Per una società diversamente ricca. Scritti in onore di Riccardo Lombardi, a cura di Andrea Ricciardi e Giovanni Scirocco, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2004, pp. V-XX e “Riccardo Lombardi e il centrosinistra”, a cura di Andrea Ricciardi, il Ponte, LVII (12), dicembre 2001, pp. 90-108. Su Lombardi, cfr. Luca Bufarale, Riccardo Lombardi. La giovinezza politica (1919-1949), Roma, Viella, 2014; Tommaso Nencioni, Riccardo Lombardi nel socialismo italiano 1947-1963, prefazione di Valdo Spini, Napoli, ESI, 2014; Enzo Bartocci (a cura di), Lombardi 2013. Riforme di struttura e alternativa socialista, Roma, Quaderni della Fondazione Giacomo Brodolini, 2014 (con una testimonianza di Nesi, pp. 339-343, che fu anche presidente dell’Associazione Nazionale Riccardo Lombardi). ↩︎
- Per le tre lettere, cfr. Riflessioni e silenzio. Epistolario di Norberto Bobbio con Nerio Nesi (1973-1999), Napoli, Edizioni Morra/Socrate, 2004, pp. 123-127. ↩︎
- Cfr. Nerio Nesi, “Il declino dell’economia italiana”, estratto da AA.VV., Brandelli d’Italia, Taranto, Chimienti editore, 2005, p. 91. ↩︎
- Cfr. Nerio Nesi, Al servizio del mio paese, prefazione di Luigi Bonanate, Torino, Aragno, 2015, pp. 19-27. ↩︎
- Nerio Nesi, Al servizio del mio paese, op. cit alla nota precedente, p. 7. Di taglio autobiografico è anche Banchiere di complemento, Milano, Sperling & Kupfer, 1993. ↩︎
SEGNALIAMO
-
Ucraina e Medio Oriente tra attacchi efferati e spiragli di tregua
Giampiero Gramaglia Giornalista,co-fondatore di Democrazia futura, già corrispondente a Washington e a Bruxelles Proseguono le…
-
Carbone, petrolio e gas: il genio della lampada industriale
Inverno 2024-2025, per le risorse energetiche l’Europa naviga a vista Cecilia Clementel-Jones Medico psichiatrico e…
-
L’elogio del tradimento. È quanto resta all’intellettuale dopo la marcia trionfale del XIX° secolo, l’apocalisse del XX e il silenzio di oggi?
Il saggio di David Bidussa sul “ceto dei colti”, per Feltrinelli Salvatore Sechi Docente universitario…
-
Quanto è difficile capire l’Italia
Cosa emerge dal 58° Rapporto del Censis sulla situazione sociale del paese Guido Barlozzetti…
-
Il risveglio dell’Europa
Una replica agli editoriali di Salvatore Sechi e Bruno Somalvico usciti nel fascicolo 12 di…
-
Sulla caduta di Assad Trump è il più cauto di tutti (e, stavolta, forse fa bene lui)
I riflessi ucraini della fine del regime in Siria Giampiero Gramaglia Giornalista,co-fondatore di Democrazia futura,…
-
L’autonomia della Rai nella guerra ibrida della comunicazione
In un contesto di militarizzazione dei media e di privatizzazione delle istituzioni Michele Mezza Docente…
-
Istituzioni al lavoro con bussola a destra
L’Unione europea si sgretola Giampiero Gramaglia Giornalista,co-fondatore di Democrazia futura, già corrispondente a Washington e…
-
Progressismo versus ebraismo?
La nuova grande pietra di inciampo della sinistra Massimo De Angelis Scrittore e giornalista, si…
-
L’accelerazione impressa dalla vittoria di Trump alle dinamiche belliche e diplomatiche
Giampiero Gramaglia Giornalista,co-fondatore di Democrazia futura, già corrispondente a Washington e a Bruxelles Giampiero Gramaglia in…
-
Nebbia fitta a Bruxelles
Una possibile crisi si aggiunge alle complesse procedure per la formazione della Commissione Pier Virgilio…
-
Partenza in salita per la seconda Commissione europea von der Leyen
28 novembre 2024 Il 27 novembre 2024 il Parlamento europeo ha dato il via libero…
-
Franco Mauro Franchi, il mio Maestro
È venuto a mancare il 19 novembre 2024 a Castiglioncello (Livorno) all’età di 73 anni,…
-
Stanco o non serve più?
Sulla Fondazione Gramsci e l’intellettuale secondo David Bidussa Salvatore Sechi Docente universitario di storia contemporanea…
-
Il ribaltone dell’Umbria, di Guido Barlozzetti
Guido Barlozzetti Conduttore televisivo, critico cinematografico, esperto dei media e scrittore Guido Barlozzetti commenta il…