Lettera da Parigi. Riflessioni a margine delle feste comandate di primavera1
Tredici/A Hermes Storie di geopolitica – Europa
Alberto Toscano
Giornalista e scrittore già Presidente dell’Associazione della stampa estera a Parigi
In una Lettera da Parigi contenente “Riflessioni a margine delle feste comandate di primavera” Alberto Toscano, giornalista e scrittore già Presidente dell’Associazione della stampa estera nella capitale transalpina, invita, alla vigilia delle elezioni europee, Italia e Francia a non avere “Nessuna nostalgia del passato: difendiamo i nostri valori al passo coi tempi”: “Con un mondo in guerra e un’Europa che s’interroga sui propri valori – scrive Toscano – scherzare col nostro passato sarebbe prendersi gioco dell’avvenire. Ben vengano dunque le feste primaverili, col profumo dei mughetti in mezzo a un mare di mugugni. Sia in Italia sia in Francia, tanta gente sembra avere nostalgia del passato. È un segno d’insicurezza in un presente burrascoso. Ci si può ragionare sopra, anche se alcune forme dell’attuale nostalgia italica sono francamente insopportabili”. Sottolineata l’importanza de “La sfida delle elezioni del 9 giugno” che è da un lato in Italia, Germania e Spagna “Un’occasione per misurare il grado di fiducia di cui dispongono le coalizioni al governo” dall’altro ne “Il caso particolare della Francia di Macron priva di una maggioranza assoluta in Parlamento” determinante perché “il risultato della lista macronista alle elezioni europee del 9 giugno condizionerà pesantemente la seconda parte (2024-2027) del secondo mandato di Macron all’Eliseo e condizionerà anche le future scelte in ambito comunitario”, l’autore denuncia a fronte de “I poteri reali e fondamentali del Parlamento europeo […] lo scarso rispetto degli elettori italiani” da parte delle nostre formazioni politiche con la scelta di inserire come capilista i principali leader sebbene destinati a rimanere nel parlamento nazionale. L’articolo prosegue con una lunga riflessione sul futuro del lavoro e in particolare sul ruolo cruciale dell’amministrazione in generale nel concorrere a “vincere le sfide per favorire la crescita della popolazione attiva” e nella fattispecie, a “Reinserire i più deboli, rispettare le leggi sulla sicurezza sui luoghi di lavoro, gestire con efficacia il dossier fondamentale dell’immigrazione”.
08 maggio 2024
Farsi gli auguri per le celebrazioni laiche di primavera (25 aprile festa della Liberazione, Primo maggio festa dei lavoratori e 2 giugno festa della Repubblica italiana e della sua Costituzione) è per alcuni una banale e stucchevole abitudine; un rituale che si toglie dalla naftalina una volta all’anno come le palle colorate per l’albero di Natale.
Soprattutto quest’anno, è meglio non ridere di queste ricorrenze. Con un mondo in guerra e un’Europa che s’interroga sui propri valori, scherzare col nostro passato sarebbe prendersi gioco dell’avvenire. Ben vengano dunque le feste primaverili, col profumo dei mughetti in mezzo a un mare di mugugni. Sia in Italia sia in Francia, tanta gente sembra avere nostalgia del passato. È un segno d’insicurezza in un presente burrascoso. Ci si può ragionare sopra, anche se alcune forme dell’attuale nostalgia italica sono francamente insopportabili.
Il generale Vannacci, che la Lega di Matteo Salvini ha candidato alle prossime elezioni europee, si è esibito in affermazioni del tipo:
«La scuola sarebbe migliore se i disabili fossero messi in classi separate, come accade già nello sport», «Mussolini è stato uno statista come Cavour e Stalin», «Gli italiani hanno la pelle bianca», «Non credo che l’aborto sia un diritto».
Nella grande zuppa preelettorale italiana di questo maggio, c’è proprio di tutto, comprese le erbe velenose.
La sfida delle elezioni del 9 giugno
Chi, come tanti lettori di Altritaliani e di Democrazia futura, ha un piede in Francia e l’altro in Italia, conosce bene l’importanza di queste settimane di campagna elettorale.
Le elezioni del 9 giugno non solo «solo» una consultazione per il rinnovo del Parlamento europeo. Sono anche una fondamentale sfida di politica interna.
Ci sono persone che da un lato denunciano i rischi politici del momento e dall’altro non andranno a votare perché «tanto non serve a niente» o perché hanno già in calendario una vacanza con gli amici, pronti a celebrare la liturgia del barbecue primaverile come segno supremo di libertà. Chi non va a votare ha sempre torto. Il 9 giugno avrà doppiamente torto perché queste elezioni sono molto importanti sia per i nostri paesi sia per un’Europa minacciata da tutte le parti e in tutti i campi.
Nei quattro principali membri dell’Unione (Germania, Francia, Italia e Spagna), le urne di giugno sono un momento di verità per i governi al potere, scossi da polemiche talvolta veementi. Il popolo può dar loro un lasciapassare o ammonirli con un cartellino giallo.
Un’occasione per misurare il grado di fiducia di cui dispongono le coalizioni al governo
In Italia, Germania e Spagna le coalizioni maggioritarie in Parlamento devono misurare il grado di fiducia di cui dispongono. Potranno restare al potere, ma le eventuali ammaccature alla loro immagine rischiano di avere serie conseguenze sul loro oroscopo. Persino dietro gli eventuali successi possono nascondersi problemi.
Pensiamo a quanto è accaduto in Italia nel periodo 2018-2019 : 1) trionfo elettorale del Movimento 5 stelle (M5S) alle elezioni del febbraio 2018 per il rinnovo di Camera e Senato; 2) nascita del governo Conte 1, composto da M5S e Lega di Matteo Salvini; 3) trionfo della Lega alle europee del maggio 2019 ; 4) decisione di Salvini di mettere in crisi il governo nella speranza di capitalizzare il proprio momento favorevole provocando le elezioni anticipate (che non ci sono mai state perché gli altri partiti non sono nés de la dernière pluie).
Morale: anche se la coalizione di destra oggi al potere in Italia uscisse bene dalle urne del 9 giugno, non sarebbero impossibili tensioni al suo interno a seguito del mutamento dei rapporti di forza tra i partiti che la compongono.
Nel 2019 Salvini ha messo in crisi il governo col M5S illudendosi di dominare la politica nazionale; nel 2024 lo stesso personaggio potrebbe allontanarsi dal governo Meloni per rigenerarsi dopo un’eventuale sconfitta della Lega.
Durante la scorsa legislatura (2018-2023) il partito di Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia) è stato sempre all’opposizione ed è stato poi premiato dagli elettori nel settembre 2022. L’opposizione può essere redditizia nei periodi in cui i governi devono compiere scelte impopolari. Pensieri del genere potrebbero agitare la mente di Salvini se – dopo aver ottenuto il 34,3 per cento alle europee del 2019 – precipitasse adesso dalle parti del 7 per cento. In questo 2024, i pericoli per Giorgia Meloni vengono forse più dai suoi amici che dai suoi confusionari e poco lungimiranti avversari.
Il caso particolare della Francia di Macron priva di una maggioranza assoluta in Parlamento
La Francia è un caso particolare perché il governo al potere, fedele al presidente della Repubblica Emmanuel Macron, non ha la maggioranza assoluta in Parlamento. All’Assemblea nazionale il governo ha la maggioranza relativa e al Senato neppure quella.
Dopo le elezioni presidenziali e legislative del 2022, i governi macronisti (prima quello di Elisabeth Borne e poi quello di Gabriel Attal) hanno potuto stare a galla solo grazie alla protezione dell’Eliseo, percorrendo una strada coerente con la Costituzione della Quinta Repubblica difficile da praticare senza un vero appoggio del Parlamento.
Il problema è che non sempre la parola legale fa rima con la parola normale. Nella normalità della logica costituzionale gollista, il secondo turno delle presidenziali è una vera sfida tra due candidati, ciascuno dei quali ha tutti i requisiti per entrare all’Eliseo. Ma le due vittorie presidenziali di Macron (nel 2017 e nel 2022) sono state conseguite al secondo turno contro Marine Le Pen, a cui buona parte dell’opinione pubblica francese non riconosce i requisiti per guidare la Francia (a causa delle origini ideologiche del suo partito).
Nel caso del suo primo mandato presidenziale, Macron disponeva di un’ampia maggioranza assoluta all’Assemblea nazionale, cosa che ha senza dubbio rafforzato la sua posizione politica in quanto presidente della Repubblica. Ciò non accade oggi, durante il suo secondo mandato. I governi macronisti stanno a galla grazie alla liturgia della «fiducia alla francese» (articolo 49 comma 3 della Costituzione).
Quando il governo fa ricorso al bazooka del 49/3, un disegno di legge si dà per approvato senza neanche bisogno di un voto parlamentare. Certo le opposizioni possono presentare all’Assemblea nazionale una mozione di sfiducia relativamente a quel testo, ma questa mozione dev’essere approvata dalla maggioranza assoluta dei 577 componenti dell’Assemblea stessa (non basta quindi la maggioranza assoluta dei votanti).
Sulle cinque elezioni presidenziali del Ventunesimo secolo, tre «secondi turni» (Chirac-Jean-Marie Le Pen nel 2002, Macron-Marine Le Pen nel 2017 e nel 2022) non hanno rispettato lo schema del tradizionale duello destra-sinistra, ma solo in un caso (quello del 2022) il successo presidenziale non ha ottenuto, subito dopo, l’unzione popolare attraverso la maggioranza assoluta alle legislative.
La conclusione di questo ragionamento è che la posizione di Macron è oggi particolarmente difficile. Non occorre la Sibilla cumana per profetizzare che il risultato della lista macronista alle elezioni europee del 9 giugno condizionerà pesantemente la seconda parte (2024-2027) del secondo mandato di Macron all’Eliseo e condizionerà anche le future scelte in ambito comunitario.
I poteri reali e fondamentali del Parlamento europeo e lo scarso rispetto degli elettori italiani
Chi crede che l’Europarlamento sia solo un’arena per inutili esercizi retorici ha capito ben poco dell’Europa attuale. I suoi poteri sono ormai (per fortuna) reali e fondamentali. È inutile (e pure un po’ sciocco) prendersela con questa o quella risoluzione del Parlamento europeo quando non si è andati a votare il giorno in cui avevamo la possibilità di scegliere i nostri deputati. Purtroppo i politici di primo piano non danno il buon esempio nel rispettare il Parlamento europeo. Faccio un esempio. Vari personaggi fondamentali della politica italiana saranno sulle liste del 9 giugno pur sapendo benissimo che non potranno accettare il mandato perché in tal caso dovrebbero rinunciare a quello nel Parlamento nazionale. La loro presenza in lista è un atto di propaganda più che un segno di rispetto nei confronti degli elettori. Altro esempio. In Italia si dice insistentemente che esistano contatti tra i leader europei, voluti e animati da Emmanuel Macron, per discutere l’attribuzione delle future poltrone comunitarie di maggiore importanza; in particolare quella di presidente della Commissione di Bruxelles. Se fosse vero (e non sono assolutamente sicuro che lo sia), non sarebbe una bella cosa. L’importante è rispettare il voto degli elettori, non cercare intese preventive per addomesticarlo. Visto il contesto internazionale e visti i problemi delle nostre società, la prossima legislatura del Parlamento europeo, dal 2024 al 2029, sarà probabilmente la più importante nella storia di questa istituzione. La campagna elettorale si svolge, in questo mese di maggio, mentre abbiamo nelle orecchie il suono delle cannonate delle due guerre in corso non lontano da noi e mentre ci poniamo domande senza risposte sul mondo che sta per nascere. Come saranno l’Europa e il mondo nel 2029, quando andranno a casa i deputati europei che eleggeremo il 9 giugno?
Meglio non scherzare con questo voto. Piaccia o non piaccia, l’Europa di domani dovrà essere compatta sulla scena internazionale. C’era una volta l’Europa che dipendeva dagli Stati Uniti per la difesa, dalla Russia per l’energia e dalla Cina per la produzione di merci a buon mercato. Adesso ci accorgiamo che né la Cina, né la Russia e nemmeno i nostri amici e alleati americani sono pronti a farci regali a causa della bellezza dei nostri occhi. Ciascuno fa (o crede di fare) i suoi interessi, che nel caso di dittatori alla Putin possono anche essere interessi puramente personali.
Noi europei dobbiamo essere capaci di fare i nostri interessi, sapendo che ci tireremmo la zappa sui piedi se ragionassimo solo in una logica nazionale italiana, francese, tedesca e così via.
Stiamo ormai entrando nel secondo «quarto» del Ventunesimo secolo e il pianeta che ci ospita sta cambiando in tutti i sensi. I nostri valori non devono cambiare, ma il modo di difenderli deve stare al passo coi tempi.
Dove va il lavoro?
Questo vale anche rispetto ai problemi dell’economia e del lavoro. Non si può oggi celebrare il Primo maggio senza riflettere sulle enormi trasformazioni in atto nel mondo del lavoro. Io sono cresciuto in un paese italiano, nelle campagne piemontesi a pochi chilometri dal Ticino, dominato dalla presenza di una fabbrica tessile. Le tute blu degli operai davano un senso di attività, di sicurezza e anche di serenità. Quel blu sembrava tingere d’azzurro l’orizzonte della nostra società.
Oggi quella fabbrica, come tantissime altre fabbriche italiane, non esiste più. Le fabbriche sono state abbattute per creare supermercati o sono state convertite in palazzi per uffici o abitazioni. Presto non ci saranno neanche più gli uffici perché la gente lavorerà al computer a casa propria. Tutto questo può essere un’evoluzione normale nella storia delle nostre società, ma resta una domanda: dove va il lavoro? Che diventerà il lavoro perdendo il proprio carattere di massa in grandi poli industriali? Come si posizionerà la persona (in particolare i giovani) di fronte alla scelta e alla gestione di un’attività lavorativa? Una volta «cercavamo» un lavoro ; forse domani ciascuna persona dovrà inventarsi il proprio. E ancora: che senso avranno i sindacati e le altre organizzazioni dei lavoratori in una società in cui l’industria perde quotidianamente d’importanza?
Esempio. Il cuore operaio della Francia era un tempo la Renault, che aveva nell’Esagono centinaia di migliaia di dipendenti. Oggi un (bellissimo) teatro, concepito per spettacoli musicali, sorge dove c’era il suo mitico stabilimento di Boulogne-Billancourt e il numero totale dei dipendenti Renault in Francia è inferiore a quello dei salariati del comune di Parigi (città non certo enorme, avendo – intra muros – poco più di due milioni di abitanti).
Quanto allo stabilimento mitico dell’auto italiana, Fiat Mirafiori a Torino, il gruppo Stellantis, nato dalla fusione tra Fiat e Peugeot-Citroën, ne ha appena annunciato la chiusura per questo mese di maggio del 2024. In realtà dovrebbe riprendere a funzionare normalmente solo in settembre.
Come vincere le sfide per favorire la crescita della popolazione attiva
Una cosa è chiarissima: le sfide dell’avvenire sul terreno del lavoro potranno essere vinte solo se i nostri Paesi disporranno di un’efficiente amministrazione pubblica.
I motivi sono tanti, ma ne cito solo alcuni. In primo luogo il sistema scolastico, che deve essere in grado di preparare i giovani al lavoro di domani. Bisogna creare le condizioni per l’aumento della popolazione attiva, che in Italia è ancora tra le più basse in Europa (molto più bassa che in Germania e più bassa anche rispetto alla Francia). La popolazione attiva cresce se la società funziona, comprese ad esempio le scuole materne.
Reinserire i più deboli, rispettare le leggi sulla sicurezza sui luoghi di lavoro, gestire con efficacia il dossier fondamentale dell’immigrazione
Al tempo stesso, lo Stato deve aiutare le molte persone che rischiano, per una ragione o per l’altra, di rimanere ai margini delle dinamiche lavorative. Il «reddito di cittadinanza» in Italia è stato concepito e applicato tra mille errori e mille contraddizioni (da cui si sono avvantaggiati individui che non ne avevano diritto, mentre altri non sono riusciti a ottenerlo), ma è senza dubbio indispensabile un efficace sistema nuovo di aiuto alla sopravvivenza e al reinserimento dei più deboli.
E poi c’è la questione terribile dei morti per ragioni di lavoro che in Italia sono stati 1041 nell’insieme del 2023. Solo un’amministrazione efficiente può garantire il rispetto delle leggi per evitare che si verifichino disastri.
Sulla cifra appena citata del totale dei morti, le vittime sui luoghi di lavoro sono state l’anno scorso 799, di cui 155 stranieri. Soprattutto nel settore delle costruzioni, la presenza di immigrati (e di vittime nel caso di incidenti) è molto elevata. Anche in questo caso molto dipende e dipenderà dalle istituzioni e dalla pubblica amministrazione: occorre gestire efficacemente il dossier fondamentale dell’immigrazione. Ma questo problema è europeo e l’Europa non può più illudersi di scaricare sull’Italia gli aspetti più spinosi della sua gestione.
- “L’appunto di Alberto Toscano”, Altritaliani.net, 30 aprile 2024. Cf. https://altritaliani.net/lappunto-di-alberto-toscano-maggio-2024/. ↩︎
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