Si tratta di una espressione che venne diffusa intensamente nella seconda metà dei tempestosi anni ’60.
Era una fase di grande transizione, o almeno tale appariva.
I primi governi di centro sinistra che avevano visto i socialisti al governo insieme ai democristiani, i grandi rinnovi contrattuali che dal ’63 al ’69 segnarono decisamente le fasi della economia italiana, le fibrillazioni interne all’universo comunista che cercava di digerire le aggressioni russo – sovietiche all’Ungheria (’56) e alla Cecoslovacchia (’68).
Tutto, insomma, faceva pensare a un momento di grande liberazione collettiva e giovanile di una Nazione e di un Popolo che continuavano a fare una grande fatica a liberarsi del vicino passato storico.
In questo contesto, che andrebbe esaminato anche da altri punti di vista, nacquero una serie di movimenti e piccole forze politiche che si proponevano di recuperare la purezza dell’originario messaggio comunista.
Avevano (o fingevano di avere) rapporti consolidati con il regime albanese di Enver Hoxha. Nasceva così il Partito Comunista d’Italia (marxista – leninista) di Manlio e Fosco Dinucci.
Avevano (o fingevano di avere) rapporti consolidati con il regime cinese di Mao Zedong. Nasceva così l’Unione dei Comunisti Italiani Marxisti – Leninisti (Servire il Popolo) guidata da Aldo Brandirali (che concluderà la sua carriera politica come Consigliere Comunale ed Assessore di Forza Italia).
E, comunque, tutte le diverse forze politiche (anche non di ispirazione leninista) come Potere Operaio e Lotta Continua individuavano uno strappo possibile nel rapporto del PCI con la sua base storica e cercavano di inserirsi in quello spazio.
Il culmine di questa ribellione “per tradimento dei valori” è certamente la contestazione ai danni di Luciano Lama (apprezzato Segretario Generale della CGIL) cui, il 17 Febbraio 1977, viene impedito di prendere la parola all’Università di Roma.
Non casualmente questo episodio, che si colloca con più forza comunicativa in mezzo a un susseguirsi di altri, verrà letto come prodromico rispetto a quanto, ben più gravemente, inizia ad abbattersi sull’Italia.
L’unica risposta ufficiale che il PCI riesce a concepire e a dare rispetto a quanto sta avvenendo sta nella formula del “oggettivamente fascista” cui il nostro titolo.
Per la verità, ad essa si affianca un fitto lavoro dei funzionari e dirigenti locali che tentano di tranquillizzare le insofferenze giovanili garantendo, con riservatezza, che il Partito è ancora quello di prima e tutto il resto è solo tattica.
La formula ufficiale, però, merita di essere esaminata più a fondo anche per gli esiti negativi che continuerà a manifestare nel tempo, sino ad oggi.
In base ad essa, qualunque opzione che neghi al Partito la rappresentanza unica e sola degli interessi di classe e della prospettiva di cambiamento è “oggettivamente” di estrema destra o, pur inconsapevolmente, ubbidisce ai dettami del Regime e dei suoi ultimi sostenitori.
Non si tratta, dunque, del merito delle posizioni sostenute (che possono essere anche di ultra – sinistra) ma della funzione che svolgerebbero indebolendo la fiducia popolare verso il Partito.
Di tutta evidenza si riflette qui l’equazione comunismo come unica forza contro fascismo che il Partito Comunista è riuscito ad accreditare nel dopoguerra.
E, del resto, non occorre mai dimenticare che lo stesso riconoscimento di vero e unico nemico del Nazismo è stato attribuito al compagno Stalin, attraverso la rimozione del suo accordo con Hitler e della loro congiunta entrata in guerra.
Vi sono però anche altri aspetti che il ricordo della triste formula richiama alla mente.
Il primo è il non avere mai accettato e permesso il definitivo superamento del Fascismo nel percorso e nella consapevolezza della nostra Nazione.
L’Italia democratica e repubblicana continua a essere vissuta e presentata come nata dal superamento del Fascismo e non da un percorso storico plurisecolare di cui il regime mussoliniano rappresenta una piccola porzione.
Nei giorni della caduta del regime il Partito d’Azione che da sempre aveva combattuto il Fascismo invocò e cercò di praticare la “soluzione di continuità” con esso.
I diversi e successivi leader comunisti, in accordo con i Servizi Segreti britannici, lavorarono attivamente per evitarla.
Ottennero, in cambio, la fasulla identificazione dei comunisti italiani come vera e unica forza antifascista.
Condannarono così il nostro Paese a restare nel solco di una contrapposizione che, come appare chiaro oggi, ancora non si riesce ad elidere.
Una conseguenza ancora più grave è però l’aver consegnato agli avversari una carta identitaria che sembra non scadere mai.
Il Fascismo è storicamente una cosa assai discutibile, ma certamente seria.
Il rimpianto e il desiderio del ritorno a quel che senza Benito Mussolini non sarebbe nemmeno esistito è un fenomeno antropologicamente interessante ma privo di qualunque valore identitario.
Continuare a parlare di fascismo è dunque fare un regalo a un gruppo di operatori politici che, senza quella benvenuta identificazione, difficilmente saprebbero come rappresentarsi.
Altro discorso sarebbe ovviamente quello su azioni eversive svolte nel tempo in Italia e certamente inquinate da Nazioni straniere.
Prima o poi se ne potrà iniziare a parlare seriamente.
Probabilmente una parte di coloro che vi presero parte avevano anche abboccato (da sinistra o da destra) al finto scenario bipolare che venne costruito e presentato agli italiani.
In attesa che ragionarne laicamente sia possibile l’uso dell’avverbio “oggettivamente” va decisamente ricondotto ad ambiti più relativi, dimenticandone l’estensione politichese degli anni ‘60\’70.
Il governo di Giorgia Meloni (comunque lo si valuti) non ha nulla a che vedere con quel fenomeno drammaticamente storico che cataloghiamo come Fascismo e Mussolinismo.
Nella stessa maniera assolutamente nulla di ciò che viene proposto dall’altra parte ha oggettivamente a che fare con il Comunismo (altrettanto drammaticamente storico e reale) né con il concetto di Sinistra.
Ma questo porterebbe a dover oggi ragionare della confusione oggi in atto fra Diritti di Libertà e Proclamazione di Valori.
Non vi né il tempo né lo spazio. Sarà per un’altra volta.
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