FRANCO ASTENGO
Contro le previsioni di molti ed ancor di più degli auspici di altri, insospettabili ma potenti, non solo il PSOE non è stato strabattuto, ma ha anche migliorato rispetto alle ultime elezioni regionali. Con una più alta partecipazione elettorale il PSOE sarebbe stato il primo partito.
Il titolo richiama la famosa parola d’ordine “Oggi qui, domani in Italia”, pronunciata da Carlo Rosselli a Radio Barcellona, il 13 novembre 1936, perché se alle europee del 2024 avessimo un risultato analogo della sommatoria di Pd e di tutto ciò che sta alla sua sinistra, pari a quello del solo PSOE (31,70%) potrebbe essere un principio di vittoria, anzi di rivincita nel 2027. La sinistra spagnola, che sembrava messa malissimo, è comunque sempre stata meglio di quella italiana a partire dalle prime elezioni, nel 1994, con il maggioritario del Mattarellum.
La partecipazione è stata del 70,18%, quasi 4 punti percentuali in più delle ultime italiane e superiore del 2% delle precedenti del novembre 2019, ma sempre 5 punti percentuali sotto a quell’aprile 2019.
Il PSOE 7.760.970 (31,70%) voti aumenta i seggi che aveva alle precedenti elezioni, ma non è più il primo partito per l’avanzata del PP 8.091.840 (33,05%) voti, che lo supera di 330.870 voti, ma è lontano dalla maggioranza assoluta, non in termini numerici (- 7 seggi) ma politici, anche con VOX, che con una perdita di 623.235 resta il terzo Partito (12,39%) sia pure di poco rispetto a SUMAR (12,31%). Nell’analisi dell’avanzata del PPE va anche tenuto presente la “sparizione” di Ciudadanos: i voti già appartenenti al gruppo centrista -liberale hanno sicuramente rappresentato la maggior riserva di caccia del PP. avendo messo a disposizione 1.650.318 voti ottenuti nel novembre 2019, dove aveva già comunque fatto registrare una forte flessione rispetto alla prima tornata elettorale svoltasi in quello stesso anno.
Al di fuori dei 4 partiti nel Congresso dei Deputati, ci sono solo formazioni autonomiste se non indipendentiste, come i catalani di Jxcat-Junts i cui 7 seggi sarebbero giusti giusti quelli necessari per far raggiungere ai 169 di PP 136 più i 33 di Vox la soglia fatidica della maggioranza assoluta.
Impossibile perché VOX è esplosa nei consensi elettorali, nel 2016 aveva lo 0,20% e 47.182 voti, come reazione all’indipendentismo catalano e al referendum del 1 ottobre 2017 celebrato nonostante l’annullamento del Tribunale Costituzionale. Un richiamo all’unità dei Partiti spagnoli del PPE non basterebbe, perché il PNV ha solo 6 seggi ed è altrettanto inviso, ricambiato, al centralismo franchista di VOX.
Se non si trova una maggioranza di 176 voti si tornerà a votare entro l’anno o al più tardi nel gennaio del 2024 e a quelle elezioni l’unica alternativa è un accordo PP-PSOE in nome dell’Europa. Questo è il trappolone, che si sta preparando per l’alleanza di sinistra a guida socialista.
La prospettiva non va abbandonata se vogliamo coltivare una speranza di un cambiamento verso una società più libera, giusta e eguale, che è la ragione per la quale la prima l’Internazionale Operaia e Socialista è nata nella seconda metà del XIX° secolo in questa nostra Europa e che è anche la ragione per continuare nel processo di integrazione europea.
Si attribuisce a Slavoj Žižek la battuta che c’è il rischio che finisca prima l’umanità del capitalismo, ma il legame tra il futuro dell’umanità e l’ordinamento economico e sociale esiste, anche se anticapitalismo. internazionalismo e antimilitarismo non sono più tratti essenziali dei partiti di sinistra, come lo erano fino alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. Tuttavia senza idee e programmi per un cambiamento radicale dello sviluppo non si potrà far fronte all’emergenza planetaria mondiale, quindi, al futuro dell’umanità.
La scelta della sinistra spagnola di un percorso di unità nella diversità se avrà successo sarà un modello, come invece non è stata Syriza in Grecia, che ottenne l’egemonia ma in competizione con i partiti della sinistra storica socialista (PASOK) e comunista (KKE), il primo ne è uscito distrutto ed è stata colpevolmente non sostenuta nella difficoltà del debito, che sarebbe costato meno all’Europa e al popolo greco, assumerne collettivamente la difesa, piuttosto che sottoporla all’austerità della Troika (Commissione Europea-BCE-FMI).
L’alleanza tra il PSOE e le formazioni alla sua sinistra esce più forte, perché più coesa grazie a Yolanda Diaz.
La sconfitta di Pablo Iglesias, omonimo del fondatore del PSOE nel 1879, il secondo partito socialdemocratico dopo quello tedesco, ha permesso di superare quello che era l’obiettivo primario di Podemos, il sorpasso (parola d’ordine in italiano) perseguito nelle elezioni anticipate del 2015 (PSOE 5.545.315, 22,00%- Podemos 5.212.711, 20,68%) e 2016 (PSOE 5.443.846, 22,63%- Unidos Podemos 5.087.538, 21,15%).
Purtroppo a partire dallo scioglimento della Seconda Internazionale non c’è più un luogo nel quale la sinistra possa discutere, confrontarsi e anche dividersi sulle sue strategie.
Gli stessi partiti socialdemocratici, socialisti e laburisti, che avevano ricostruito un’Internazionale Socialista nel 1951 a Francoforte in piena Guerra Fredda, non hanno più un’organizzazione unitaria, quella che a partire dal Congresso di Ginevra del 1976 era stata protagonista della distensione, della lotta al colonialismo e all’apartheid sud-africano e al riequilibrio dei rapporti Nord Sud, con Willi Brandt e Olof-Palme, come del primo dialogo israeliano-palestinese.
Per quanto riguarda l’Italia ne faceva parte tutta la sinistra storica dal PSI al PDS, poi DS. Sotto l’impulso di Third Way britanniche e Neue Mitte tedesche e la formazione del PD e una fascinazione di Bill Clinton l’Internazionale Socialista venne abbandonata da tedeschi, socialdemocratici scandinavi, austriaci (il PD uscì persino dal PSE finché non divento anche democratico progressista), con la conseguente crisi politica, organizzativa e finanziaria. Ora il nuovo Presidente è lo stesso Sanchez protagonista della rinascita del PSOE. In generale l’internazionalismo non è più pratica della sinistra nelle sue varie incarnazioni, sostituita dal suo surrogato l’europeismo generico, che al massimo può essere compassionevole verso i poveri e difensore delle minoranze di genere, discriminate anche in paesi sviluppati o teocratici.
L’assenza di una visione internazionale, che non può prescindere dallo sviluppo e la riduzione delle diseguaglianze, la maggioranza dell’umanità non ha l’accesso a beni primari quali l’acqua potabile, le cure sanitarie di base e l’istruzione elementare, sta sviluppando in luogo della solidarietà planetaria cooperativa la sindrome della fortezza assediata in Europa e nei suoi singoli Stati.
In luogo di un’Europa soggetto attivo per un mondo multipolare e solidale si sta rafforzando anche a causa del regime autocratico putiniano russo un europeismo-nordatlantico. Non ci sono le condizioni per una politica di difesa e sicurezza della UE, finché vige l’art. 42 TUE, che può essere modificato solo all’unanimità, ma una posizione paritaria effettiva nella NATO è una decisione politica, che può essere almeno chiesta.
I paesi che dettavano la politica europea quando l’Europa era di 15 membri erano 4, Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia, i primi due anche membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e potenze nucleari. L’asse franco-tedesco è stato un fattore costante di stabilità di indirizzo.
Con lo sconsiderato allargamento a Est voluto dalla Commissione presieduta da Prodi, sotto la spinta di interessi economici e geostrategici, non si può più ignorare il peso complessivo degli Stati già membri del COMECON e del Patto di Varsavia, raggruppati nel Gruppo di Visegrád (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria) e i Paesi baltici (Estonia, Lettonia e Lituania) più 70 milioni di abitanti, già vittime del condizionamento dell’ex U.R.S.S.
Purtroppo la SPD non esprime più una leadership europea come quella Brandt o di Schmidt, i partiti del Semaforo sono tutti superati nei sondaggi da AfD e la Francia con il passaggio dalla guida socialista a quella macronista non può ispirare politiche di sinistra.
La Svezia è passata ad una guida di destra nazionalista. Il PD finora non è stato in grado di rappresentare le migliori tradizioni del PCI e del PSI storici quando erano stabilmente il secondo e il terzo partito e i suoi leader erano autorevoli a livello internazionale.
Affrontiamo le elezioni europee con una legge del 1979 di cui non si vogliono affrontare i nodi di contrarietà al Trattato di Lisbona in punti qualificanti, limitandosi a piatire una riduzione della soglia dal 4% al 3% o per mettere in sicurezza Italia Viva al 2%. Insieme PD e M5S hanno poco più del solo PSOE e non hanno una visione comune delle politiche europee.
Tuttavia i segnali della Spagna sono positivi e le elezioni europee del 2024 saranno precedute da test molto importanti come quello olandese e quello polacco ma sono anche anticipate rispetto a quelle federali tedesche del 2025 e alle legislative e presidenziali francesi del 2027, che precederanno nello stesso anno quelle italiane, sempre che non siano entrambe anticipate. Pertanto saranno quelle europee ad indicare le tendenze per i successivi appuntamenti. Se al PSOE non riesce sulla base di un suo progetto federale a superare il separatismo e l’indipendentismo e a raccogliere tutti i gruppi regionalisti non subendo i condizionamenti di far governare il PP con una sua astensione saranno anche le nuove elezioni spagnole ad anticipare quelle europee.
Una ragione in più per concludere “Oggi in SPAGNA, domani in EUROPA”
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