L’interessante e competente intervento su questo giornale di Giuseppe Scanni ricostruisce utilmente la genesi delle Nazioni Unite e dei meccanismi decisionali figli di un mondo che è profondamente cambiato.
L’opinione diffusa è che le risoluzioni dell’ONU siano spesso lettera morta e che le stesse vengano usate come argomento più o meno utile a seconda dei casi, ad esempio, le condanne alla Russia di Putin non sembrano avere oggi sui media occidentali lo stesso peso di quelle subite da Israele. In ogni caso l’efficacia delle stesse è legata alla volontà degli eserciti dei paesi più potenti di imporle o meno come è stato nel caso dell’Iraq o dell’Afganistan.
Tutto questo fa però parte del passato in cui la contrapposizione era, a grandi linee, tra paesi liberi e democratici e mondo socialista oltre ad una buona quota di paesi non allineati. Dopo la caduta del muro di Berlino si è aperta una finestra di opportunità per la riforma del governo globale che non è stata colta.
Ora, a mio parere, il tempo è scaduto, il confronto anche militare con il mondo Islamico e con la Russia sembra, ottimisticamente, vinto dal potentissimo dispiegamento militare occidentale ma le bombe non bastano nelle guerre contemporanee.
In Afganistan sono state sperimentate armi di enorme capacità distruttiva in una guerra che avrebbe dovuto liberare le donne dal velo ed è finita in una fuga ingloriosa. Putin sta sperimentando la sconfitta della lunga colonna di Tank che solo qualche mese fa marciava verso Kiev.
Le immagini e i racconti crudeli di questi giorni, come quelli di Azovstal ieri, non produrranno una vittoria ma scaveranno un solco indelebile nelle coscienze per molte generazioni. Il male a cui assistiamo è figlio della disperazione non è un costo necessario per raggiungere un risultato, non esiste nessun piano possibile di pacificazione e per questo anche il tavolo di negoziazione delle Nazioni Unite deve essere screditato. L’orrore deve essere totale e non lasciare spazio a nessuna speranza affinché il valore simbolico della carneficina produca il suo effetto.
Il tempo è scaduto perché almeno su tre grandi temi del governo globale che detteranno l’agenda futura l’occidente non potrà agire da solo: La crisi Climatica, la pressione migratoria e la progressiva concentrazione della ricchezza. Quella che si profila è una situazione che vede contrapposti all’ONU un blocco di paesi popolosi e poveri ad un minoritario gruppo di paesi ricchi che controllano l’apparato tecnico finanziario e militare.
Ad aggravare la situazione, l’immagine delle democrazie non è delle migliori. L’efficace capacità di manipolare le opinioni da parte dei gruppi di interesse che controllano i social network e i media, uniti alla crescente sfiducia degli elettori verso le istituzioni, rendono sempre meno credibili le regole democratiche.
In questo contesto i conflitti attuali visti dal Sud del mondo assumono una luce molto diversa e l’arsenale militare della Russia come la capacità organizzativa e commerciale della Cina rischiano di apparire come una ghiotta possibilità di riscatto per chi altrimenti non avrà nessuna voce in capitolo.
È probabilmente inutile e potrebbe apparire provocatorio, proseguire in questo scenario distopico ma, se vogliamo evitare di svegliarci tra pochi anni in un mondo molto più pericoloso ed ingiusto, è necessario apportare delle radicali correzioni. Non dobbiamo perdere la fiducia nel sogno di un governo mondiale in cui i popoli siano rappresentati secondo i principi democratici e del rispetto dei diritti universali su cui fondiamo la convinzione della superiorità della cultura liberale occidentale.
A partire da casa nostra, è necessario recuperare la credibilità delle istituzioni e ridurre l’astensionismo elettorale. Poi, è indispensabile riportare il controllo sullo sviluppo e l’uso della tecnologia nelle mani della collettività attraverso l’istituzione di organismi di controllo credibili e autorevoli che non siano soggetti all’azione dei governi o di interessi privati. Questi due obiettivi possono essere raggiunti solo decentrando e distribuendo in capo alle comunità locali il controllo di alcuni processi decisionali e la gestione dei dati e delle informazioni.
Infine, è necessario pensare al dialogo come ad un elemento irrinunciabile e costituente del governo globale. L’uso della forza è da sempre una prerogativa degli Stati ed è stata una pia illusione immaginare che dopo l’orrore della Seconda guerra mondiale l’Occidente potesse rinunciare al ricorso massiccio alle armi e agli stermini per imporre la legge. Ma senza il dialogo non può esistere la democrazia, una pace duratura e vengono meno i presupposti della cultura occidentale.
Tornando all’attualità, quando gli eserciti decideranno che non ci sarà più nulla da bombardare “chirurgicamente” bisognerà capire chi rappresenterà le popolazioni russofone dell’Ucraina o i Palestinesi di Gaza.
Una risposta civica razionale deve partire dal presupposto di ascoltare i bisogni delle persone e costruire la convivenza al livello delle comunità. Ancora oggi molti Palestinesi preferirebbero vivere in uno stato federato ad Israele piuttosto che in una autocrazia in stile saudita. In questo senso credo che anche la soluzione dei due Stati sia da ripensare ma sia indispensabile immaginare regole di convivenza più avanzate con la garanzia dei principali Paesi mondiali se non dell’ONU stessa.
Ritrovare i valori delle comunità sioniste e dei grandi utopisti del secolo scorso quando la convivenza era possibile e costruttiva. Permettere ai palestinesi di darsi una leadership rappresentativa e non corrotta, parte della quale è oggi incarcerata o all’estero, con cui negoziare.
Credo che Israele da solo non sia nelle condizioni di raggiungere una pace duratura senza la collaborazione dell’insieme del mondo arabo e delle altre potenze globali. Il problema del terrorismo, del resto, non è un problema solo israeliano in quanto Hamas, Hezbollah come l’Isis o altri futuri movimenti possono colpire in tutto il mondo in qualunque momento.
Analogamente dopo mesi di bombardamenti non credo che le popolazioni degli Oblast del Donec’k e Luhans’k potrebbero accettare di vivere sotto l’amministrazione Russa o Ucraina senza garanzie di una pacificazione interna e la ricostituzione di basi convivenza tra comunità di diversa origine.
In conclusione, è fondamentale ricostruire delle basi minime di consenso che possano ridare credibilità alle istituzioni internazionali dando ascolto ai bisogni delle comunità locali perché solo a quel livello è possibile ritrovare le ragioni della convivenza tra diversi e superare le divisioni ideologiche o religiose. Più delle nazioni identitariamente modellate sui popoli, le istituzioni sovranazionali possono assolvere a questo compito se sapranno saldarsi ai movimenti civici e a rappresentare anche la voce degli oppressi oltre alla verità dei più forti.
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