La parola ora alla Commissione europea
Quindici/A Hermes Storie di geopolitica – Europa
Stefano Rolando
Docente universitario di storia contemporanea
La portata del documento dell’ex premier italiano presentato il 9 settembre alla Commissione europea. posta finanziaria calcolata in 800 miliardi all’anno per mobilitare investimenti (assumendo connesso debito) idonei a rimettere in carreggiata l’Unione Europea in forma primariamente tripolare: ambiente, energia, sicurezza”.
Un commento alla reazione che emerge dal trattamento mediatico del giorno dopo.1
10 settembre 2024
Due complessi volumi, quattrocento pagine, con analisi e tabelle. Una costruzione politica chiaramente preposta al trattamento progettuale. Un tema di partenza ammesso da più parti: o si esce dallo stallo di investimenti inadeguati o l’Europa come soggetto globale si dissolve.
Arriva così finalmente il giorno della presentazione a Bruxelles del Rapporto Draghi sulla prospettiva competitiva dell’Europa. E l’evento cade in un contesto di evidenti “distrazioni” del quadro politico interno di almeno tre dei paesi fondatori dell’Unione europea: Francia, Germania, Italia.
Alla fine, i media (sguardo generale sulla rassegna di questa mattina) accettano di valutare l’abstract delle proposte strategiche e di dar conto della posta finanziaria calcolata in 800 miliardi all’anno, per mobilitare investimenti (assumendo connesso debito) idonei a rimettere in carreggiata l’Unione Europea in forma primariamente tripolare: ambiente, energia, sicurezza. Gli approcci sono tuttavia contrastanti, perché riflettono un quadro politico-economico più che variegato.
La notizia c’è, naturalmente. ma serpeggia anche prudenza, diffidenza, in taluni supponenza liquidatoria, a causa tra l’altro del quadro politico annuvolato e senza ancora un governo europeo impiantato.
Come qualcuno fa notare, si è alzato contro il blocco populista europeo. Storcono poi il naso i sovranisti. Interessi protezionistici (quello che proprio il giorno della presentazione ha richiamato con strizzata d’occhio anche la premier italiana) trovano spazio nelle pieghe dei primi commenti. Poi si registra il no tedesco (per voce del ministro tedesco delle finanze) pur limitato alla prospettiva di gestione del debito comune europeo. E si alzano critiche di chi frena in generale sulle transizioni innovative, che lamentano la radicalizzazione delle proposte in materia ambientale.
Dunque c’è da una parte una accoglienza positiva argomentata (ne fa sintesi il Sole 24 ore che, al di là’ delle misure tecniche, richiama il bisogno in Europa di una “rapida trasformazione di mentalità”) ma ci sono anche “bollature mediatiche” che serpeggiano: il piano andrebbe già verso l’archiviazione, qualcuno titola, salvo l’interesse condiviso per l’ ambito degli armamenti (quello su cui la Francia ha concentrato il proprio interesse assicurando la competenza per il commissario indicato, cioè Breton).
C’è veramente da augurarsi che succeda qualcosa di serio, cioè con immediato spirito di rettifica, rispetto a queste vaghezze liquidatorie.
L’evidente e anche naturale conflitto interpretativo chiede ora che ci siano voci autorevoli in campo (istituzioni, politica, impresa, mondo scientifico e della ricerca) che tengano rapidamente viva l’attenzione generale e quindi il dibattito sui punti metodologici che il Rapporto Draghi offre all’ europeismo esausto.
Data l’evidenza della natura politica e non tecnocratica della strategia sottesa al rapporto, si configura infatti l’importanza della non derubricazione del confronto. Perché si sa benissimo che non c’è altra forza, altra energia, altra elaborazione che proponga vie di uscita alla dissolvenza.
E perché sarebbe suicidario che prevalesse la priorità di bottega (sia per ciò che riguarda interessi politici che interessi di impresa) una volta che si è arrivati a mettere in campo, a introdurre una visione di insieme attorno a cui hanno lavorato 400 funzionari della Commissione, espressione di tutti i paesi membri.
Una visione fatta di analisi razionali che hanno attentamente valutato le compatibilità, pur nella evidenza del coraggio e dell’impegno politico-finanziario che certo è necessario per passare dal rapporto al cantiere.
Dunque, conta anche il formarsi di un sentimento civile, l’orientamento dei corpi intermedi sociali e professionali. Campo di presidio di un civismo che ha la sua posizione in Italia e in Europa.
Tenere aperto il confronto significa mettere ora in pista gli approfondimenti di prima e seconda linea che avvengono quando si prendono sul serio le cose.
La politica – quando è cosa alta e vitale – non è stravaganza e apparenze. È comunque punto di equilibrio.
Se ci fossero elementi di radicalizzazione circa alcuni obiettivi (tempi, accelerazioni, incidenze, sacrifici) la politica sarebbe anche lo strumento concepito per sgranare, differenziare, frazionare i processi.
Ma mettere in soffitta una visione così organica con basi tecniche condivise per cause di pressappochismo, incompetenza, corporativismi, etica del tran-tran, vorrebbe dire soprattutto alle nuove generazioni che la parola futuro è abolita.
Dunque, la parola ora è proprio alla Commissione europea che ha il suo organo di guida in allestimento, con tutti gli elementi di fragilità dichiarati, ma anche con la forza di contare su una maggioranza e non sulla unanimità che azzera ogni volontà (questo del superamento dei veti è anche uno dei punti sollevati dal Rapporto Draghi).
Ed è questo anche lo spirito di un Parlamento deliberativo cosciente di agire nel contesto differenziato della democrazia occidentale non nello schema delle autocrazie o del tribalismo.
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