PIAZZA DEL POPOLO. SFIDE SENTIMENTALI, L’EUROPA COME PATRIA

Podcast n. 135

Nel giorno in cui Ipsos fotografa l’11% degli italiani con la Russia, il 32% con l’Ucraina, il 57% da nessuna delle due parti

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Dopo un po’ è arrivata la pioggia. Ho così ripiegato prima sotto un tetto e poi a casa dove ho seguito la manifestazione in  streaming.

Ho fatto in tempo a sentire una storica amica come Renata Colorni –  una milanese colta che per anni ha diretto i Meridiani di Mondadori – che ha parlato come figlia praticamente di due grandi padri, quello fisiologico Eugenio Colorni socialista e martire antifascista ucciso nel 1944 e quello adottivo (perché sposato poi da sua madre Ursula Hirshmann) che fu Altiero Spinelli, tra i fondatori dell’Europa valoriale.

Una personalità scelta, insieme a Liliana Segre, come tasselli simbolici del senso della domanda sociale oggi di un soggetto europeo, forte e più unito.

Di fronte alla minaccia autoritaria dei global player del pianeta – oggi con  sgomento vedendo insieme Russia e America – la domanda è naturale, ovvia, necessaria. Ma deve anche essere espressa dai popoli, dai “cittadini”,  non solo dalle ragion di Stato. Un po’ questa la chiave dei promotori.

Questa la scintilla iniziale di Michele Serra, che ha indossato questo tema del buon senso minimale cosciente che questa è la piazza dell’orientamento di base non delle soluzioni, che spettano alla politica e alle classi dirigenti che tuttavia devono fare i conti non solo con i militari, con i miliardari, con i servizi segreti, con le burocrazie. Ma anche con i cittadini animati da senso civico.

E questa è stata anche l’accoglienza del progetto fatta da chi di cittadini se ne intende, cioè i loro sindaci.

Così la piazza del Popolo di sabato 15 marzo  è stata politicamente presa in consegna da molti  sindaci, non solo delle grandi città (con il presidente dell’Anci Manfredi in testa,  oltre a Gualtieri, sindaco di Roma, anche organizzatore) ma poi molti  sindaci di città intermedie e minori.

I colori della piazza. Bandiere blu dell’Europa, ma anche ucraine, georgiane e un po’ di pacifisti (oltre a sparuti ma riconoscibili vessilli federalisti). Nessun simbolo di partito, nessuno al palco a comiziare, quanto piuttosto interventi (brevi) alla ricerca di ragioni per consolidare radici e regole minacciate.

C’è chi ha detto:  è un buon punto di partenza. C’è chi ha detto:  è un passaggio di ambiguità (cioè, questa piazza non si è cimentata con il conflitto tra riarmo europeo e consolidamento delle difese nazionali).

Sarebbe stata una pretesa demagogica pensare a una piazza visibilmente di cittadini (non quattro gatti, ma 50 mila persone stimate distribuite tra la Piazza,  il Pincio e il Babbuino)   e non una piazza di militanti,  messa di fronte a soluzioni su cui non vengono a capo nemmeno astuti geopolitici, consumati diplomatici, generali esperti di strategia, aruspici degli interessi economici, eccetera. Insomma, una piazza con il suo limitato proposito: rappresentare un sentiment e un orgoglio: l’Europa. Che per altro , pur con questo limite, si presentava distinta da altre due piazze organizzate nelle vicinanze: quella dei pacifisti e quella dei nazionalisti.

Così sono tornato all’ascolto di un mondo che apparteneva – se posso dire – alla rappresentazione di molti argomenti su cui si sono formate le precedenti generazioni. Mondo che da buoni vent’anni vacilla.

Ho sentito la senatrice a vita Elena Cattaneo, scienziata, che chiede attenzione per un’Europa unita nella ricerca scientifica intesa come  un traino di indipendenza verso il futuro.

Ho sentito due ragazzi di Parma che hanno vinto un progetto di ricerca che si chiama  proprio “Una piazza per l’Europa” in cui candidano i giovani (oggi pochini in verità) a lavorare in fondo sui loro stessi interessi.

Ho sentito la sindaca di Perugia, città di Aldo Capitini, il cui nome ci riporta al grande civismo contro la guerra della nostra stessa formazione.

Ho sentito il sindaco di Barcellona testimoniare l’idea di Europa che mette in comune diritti e solidarietà.

Ho sentito il sindaco di Napoli e presidente dell’ANCI, Gaetano Manfredi, che chiede di portare le città almeno a codecisione con l’evoluzione di un’Europa che è stata finora piuttosto quella delle Nazioni.

E molte altre cose. Dalla distinzione fatta da Gustavo Zagrebelsky tra chi fa fare la guerra (cioè, persone che contano le terre conquistate) e chi fa la guerra (cioè, persone che contano i morti).  Oppure  Renzo Piano che parla di Europa al tempo stesso come unità topografica e unità morale.

Poi attori, attrici, cantanti e rievocazioni della creatività attorno al valore dei principi fondanti di qualcosa pensata 80 anni fa come un viaggio verso l’Europa patria. Viaggio, come si sa, che si è interrotto, pur maturando tappe di importanti integrazioni.

In queste maratone, diciamo la verità, capitano persone che consideriamo intellettualmente ineludibili e persone da cui traspare un po’ di manierismo o di opportunismo. Il timbro forte di Repubblica e una filiera politico-intellettuale che si riconosce nel bacino dei democratici, è inevitabile che nel frammentarismo irascibile della politica italiana produca riluttanze. Ma quelle riluttanze devono passare al vaglio del momento storico che Prodi ha definito quello di una noce intrappolata nello schiaccianoci. E devono anche riconoscere lo sforzo di cercare i fondamentali  di un progetto partecipativo.

Infatti  non è questa la sede per passare al setaccio chi c’era.

Oggi sappiamo che in Piazza del Popolo non c’era la destra al governo dell’Italia. Non c’era il populismo di sinistra. Non c’erano i filo-putiniani. Non c’erano i “realisti” filo-trumpiani. E non c’erano neanche gli scettici verso organizzatori che non mettano l’Ucraina come priorità rispetto a qualunque discorso sull’Europa.

Qualcuno potrebbe concludere che allora non c’era quasi nessuno.

E invece – insieme a quello che il Corriere chiama “ceto medio dem e intreccio di temi distanti” – c’era anche un mondo che sa dire cose anche senza ripetere vacui polemici bisticci dei partiti politici.

Cioè, un mondo che fa ancora riferimento a frammenti di cultura, di estetica e di traini simbolici non necessariamente nati nell’ossessione digitale  o nel propagandismo degli influencer.

I simboli sono allusioni: qualcuna suggestiva, qualcun’altra diciamo così un po’ sfiorita o consumata.

Tuttavia, la presenza di contributi che potevano anche essere iscritti ad una certa  retorica della sinistra di maniera e da questo punto di vista oggettivamente un po’ fuori moda,  agli occhi di chi guarda con senso della realtà  quali sono le condizioni oggi del dibattito pubblico  rappresentato dal sistema mediatico e soprattutto televisivo-politico fa dire che temi oggi super rappresentati, come il neo-nazionalismo e il neo-sovranismo,  sono per definizione il trionfo del fuori moda. Perché  ripropongono cultura, stili e comportamenti – oggi dilaganti – che sono stati alla base di alcune catastrofi del ‘900.

Dico questo per dire – un po’ come dice anche Michele Serra, introducendo e concludendo, che ci vuole un po’ di pazienza cercando di rimettere le lancette dell’orologio sul tema per nulla fuori moda – ma che è stato sogno di un’altra epoca – dell’Europa intesa come patria. Gli Stati Uniti d’Europa. Finalmente che “il ceto medio dem” ci è arrivato, dico io. Per anni questo è stato pensiero solitario.

Insomma, qui il cantiere è parso quello di provare a vedere se proprio questo tema dell’Europa patria esiste non solo sui libri di storia o nelle tracce della riscossa europea di 80 anni fa. Ma che esiste anche in una domanda sociale e  popolare del nostro tempo.

Quanto al tema della priorità dell’Ucraina, dribblato un po’ dalla manifestazione, da un lato c’è certamente l’idea di non trasformare anche questa piazza “di rammendo” in una piazza “di conflitto”.

Ma come cornice influenzante c’è anche un’evoluzione di opinione pubblica che è in atto e che la pagina demoscopica di Nando Pagnoncelli di domenica sul Corriere della Sera fotografa duramente: 11% dalla parte della Russia, 32% dalla parte dell’Ucraina, 57% da nessuna delle due parti. Dato che per come sta messa l’Italia appare inquietante e su cui la piazza di Roma ha sorvolato.

La piazza di Roma – che forse avrà emulazioni – nella stessa giornata si è unita idealmente al varo di Gorizia capitale europea della cultura con il presidente della Repubblica dell’Italia Sergio Mattarella e l’ex presidente  della Repubblica di Slovenia Borut Pahor a parlare – insieme a tutti i sindaci dei territori – di borderless, cioè di amicizia senza confini. Ai telegiornali della sera i due eventi scorrono uno dopo l’altro. Ma prima e dopo ci stanno le guerre in corso e la tenaglia russo-trumpiana  che mette in dubbio che l’Europa esista.

Ecco allora che la portata, pur simbolica, di una piazza riarmata valorialmente, deve misurarsi con alcune partite di consolidamento o di evanescenza.

  • Una è quella con la componente della cultura e dell’educazione disposta a riaprire la pedagogia civile in materia europea, quando l’Europa non ha ancora un libro di testo di storia in comune e in cui il riconoscimento delle culture altrui è marginale per tutti i paesi.
  • L’altra è quella di dare  protagonismo alle nuove e nuovissime generazioni, giovani che oggi si sono intravisti ma che purtroppo non mettono questo tema in cima alla loro agenda (salvo che per qualche viaggio e per alcuni consumi musicali).

Il tema dello spazio giovanile (che sabato è stato affrontato meglio da un’altra piazza europea, quella di Bucarest che ha visto un’immensa folla promuoversi come “cuore dell’Europa” contro le note minacce in corso) è un’altra tenaglia in cui la dominante gerontocratica nell’offerta si sposa con il carattere ancora minoritario e disinteressato con cui i giovani concepiscono la politica.

Vedremo se crescerà un  progetto che dia risultati in questi ambiti cruciali. Vorrà dire che si cominciano a porre basi perché  Europa patria possa anche avere una rappresentanza politica (tesi oggi sostenuta da piccole percentuali della politica rappresentata in Italia e in tutta Europa).

Piazza del Popolo non era lo scatenamento rivoluzionario di questo processo. Era un segnale di vita di chi, nella stretta mondiale in cui siamo,  lì per lì’ ha  invitato (e ricordiamoci che proposta è partita da un giornalista satirico) cittadini volenterosi a portarsi dietro una bandiera blu a 12 stelle e a palesarsi.  

Ne sono arrivati 50 mila.  Diciamo un segnalino mandato da Altiero Spinelli che diceva “L’Europa non cade dal cielo. L’Europa dipende solo da te”.