POTREBBE ANDAR PEGGIO

È di tutta evidenza che stiamo vivendo un processo di imbarbarimento delle dialettiche sia politiche che istituzionali.

Prevale sistematicamente l’agguato, lo screditamento dell’avversario, la ricerca e la rivelazione di quanto possa indebolirlo o ridicolizzarlo.

Domina l’indifferenza nei confronti del danno che ne deriva per le Istituzioni.

L’imbarbarimento non riguarda soltanto i rapporti tra le forze politiche ma ha ormai pervaso di sé anche quelli fra i corpi dello Stato e le Istituzioni.

Inevitabilmente ciò conduce verso un crescente distacco tra i cittadini e la sfera pubblica che si traduce anche (ma non soltanto) nell’astensionismo elettorale che perde il sapore di indifferenza per assumere quello di diffuso disgusto.

Dal punto di vista di chi crede ancora in una concezione riformistica della politica, come della cultura e della partecipazione, si tratta di una sconfitta assoluta.

Soprattutto, però, di una sconfitta pronuba di altre e più gravi ancora disgrazie.

Ovviamente la prima ed essenziale causa di questo è la rinuncia di ognuna delle forze politiche a una propria visione e lettura del mondo da contrapporre alle altre sul mercato della lotta politica ed istituzionale.

Goffamente camuffate dietro la sigle destra o sinistra esse combattono fra loro con accuse reciproche che non corrispondono affatto alla azione effettiva e alle prospettive presentate.

A una “sinistra” che, stando al governo, non ha fatto assolutamente nulla di sinistra, corrisponde una destra che governa senza fare assolutamente nulla che corrisponda, almeno in teoria, a quella che dovrebbe essere la sua identità.

Questi due “non enti” si gratificano poi reciprocamente accusandosi a vicenda di quel che non sono.

La ex – sinistra taccia di autoritarismo e fascismo la ex – destra che risponde con accuse opposte e reciproche.

Entrambi i due “non enti”, poi, non fanno e non prospettano nulla ai possibili sostenitori salvo la sconfitta dei supposti avversari.

La assenza di valori e di identità collettive favorisce inevitabilmente l’emergere dell’individualismo come unica forma di riconoscibilità sul mercato.

La lotta politica viene tradotta e presentata come contrapposizione tra singoli personaggi che cercano di sopraffare gli altri sul piano della comunicazione e, generalmente, dell’immagine.

Ciò viene ulteriormente accentuato dal fatto di vivere tutti in un continuum di immagini e comunicazioni da gestire momento per momento senza mai riflettere se non al possibile effetto immediato di quel che si dice o si fa.

Sul terreno delle contrapposizioni individuali è inoltre venuta a cadere la vecchia norma di buon senso che impegnava tutti a non usare mai elementi di natura privata o personale per attaccare l’avversario, avendone in cambio la certezza che ciò non sarebbe accaduto ai propri danni.

Grazie a questo mutuo e condiviso accordo l’Italia ha potuto disporre di grandi figure istituzionali in maniera totalmente (e giustamente) indifferente nei confronti delle abitudini private o propensioni individuali.

Abbandonando il giuramento a considerare solo gli aspetti “pubblici” delle persone impegnate a livello istituzionale si è aperta la strada a ogni sorta di inchieste e successivi “sputtanamenti” reciproci.

Quei passaggi drammatici che nella Prima Repubblica erano stati vissuti come gravi scadimenti momentanei da cercar di superare sono diventati consuetudine quotidiana e, se hanno assunto il tono da Bar dello Sport, non sono per questo diventati meno dannosi e inquinanti.

In questo contesto ha assunto un certo peso un fattore che non eravamo abituati a considerare.

Vale a dire la sopravvivenza, come nell’opera morta di una barca in navigazione, di concetti, convinzioni e parole che pensavamo superati dallo scorrere del tempo e dal percorso compiuto dall’Italia democratica in questi anni.

Così, per esempio, il riapparire di una parola che ricrea il falso abbinamento fra omosessualità e pedofilia, deliberatamente mescolando una pratica ignobile e schifosa con una libera e legittima propensione personale.

Così, ancora per esempio, il concetto di “resistenza del popolo palestinese” che deliberatamente confonde la guerra tra uno Stato e un’organizzazione terroristica con la lotta di un popolo contro l’invasore.

A meno che, naturalmente, non si pensi che Hamas sia il legittimo rappresentate degli abitanti della Palestina (cosa che lascerebbe molti dubbi).

Anche in questo caso, però, non si capisce perché quel concetto non venga usato per il popolo ucraino che effettivamente resiste e combatte contro un’invasione.

Ora, in quel vecchio e straordinario film “Frankenstein junior” alla ottimistica osservazione “potrebbe andar peggio” Igor risponde “potrebbe anche piovere”, e inizia a diluviare.

Sì, potrebbe andar peggio.

In un quadro sfatto e ingovernato come questo in cui la rabbia sociale monta e non viene né gestita né rappresentata non ci sarebbe da stupirsi se qualcuno tentasse (di nuovo) di indicare all’Italia una via d’uscita autoritaria: illusoria, certo, ma almeno esplicita e chiara.

Egualmente non vi sarebbe da stupirsi se i cosiddetti “poteri forti” decidessero di assumere su sé stessi il compito di garantire al nostro Paese una via di uscita stabile, per quanto parziale.

In entrambe queste due ripugnanti ipotesi prevarrebbe comunque il bisogno di confrontarsi con la realtà reale e assumere atteggiamenti conseguenti invece che trastullarsi in una finta e deteriore guerriglia senza accennare a soluzioni possibili.

Sia l’affermarsi del Deep State sia quello di un regime sarebbero la sconfitta finale della concezione riformistica dello Stato e della società.

Nonostante il crescente livello di imbarbarimento e di semplificazione, nonostante nella società italiana siano evidentemente sopravvissuti paradigmi e moduli apparentemente superati, si può tuttavia ritenere e sperare che nelle varie formazioni politiche e nelle strutture delle Istituzioni (a cominciar dalla Magistratura) sia ancora presente una vasta maggioranza di individui non imbelviti e corrotti dall’andazzo.

Una serie di scadenze nelle prossime settimane scuoteranno profondamente in diverse direzioni l’attuale quadro dominante.

Forse per l’ultima volta ognuno sarà chiamato a rappresentare non soltanto sé stesso ma l’intero interesse collettivo e ad esprimere su questo analisi e valori.

Se si avvia un processo di questo tipo l’Italia potrà ancora farcela.

Se non succede assisteremo al degrado ulteriore, al diffondersi di ribellismo e violenza, al crescere dello scontro tra Stato e società civile sino a una delle “soluzioni” qui paventate.

A metà Dicembre sarò a Cagliari a commemorare Riccardo Lombardi.

Vorrei prendere ancora una volta la nave portandomi dietro il suo lucido ma tenace ottimismo che gli permetteva di guardare al mondo armato di un ironico punto di vista che gli invidiavamo e ci guidava.


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