No, non è un errore di battitura.
Noi, secondo la Treccani: “pronome di prima persona plurale, usato cioè dalla persona che parla, quando si riferisce a sé stessa e, insieme, ad altre persone”, ma sarebbe meglio dire arcaismo linguistico o comunque espressione desueta.
Intendiamoci, “noi” è una espressione impegnativa e nel riferirsi a grandi o piccole collettività copre spesso anche manifestazioni deteriori tipiche della specie umana.
Probabilmente pensavano con il “noi” i gerarchi nazisti chiusi nella ultima difesa del Fuhrerbunker il 30 aprile del 1945.
Certamente pensa e parla con il “noi” Angelo Izzo quando, nei suoi diari, racconta ed esalta le atroci mascalzonate della sua banda di assassini e violentatori.
Ma con il “noi” parlano, per fortuna, tante altre realtà. La Chiesa, per esempio, ma anche la Patria, e tante altre importanti componenti della società.
Il “noi”, insomma è importante e dà importanza. Che si tratti della famiglia, del gruppo di amici o dei tifosi di una squadra di calcio il diritto di usarlo sembra configurare, e di fatto configura, una diversa ragione di esistere.
Indica una corrispondenza, piccola o grande che sia, di bisogni, di aspettative o di prospettive.
Può indicare anche soltanto una parziale, ma condivisa, visione momentanea di una cosa o del mondo.
Può arrivare, infine, a vette di grandezza eterna istituendo la distinzione fra i “noi” e i “non noi”, come nelle parole di Enrico V ad Agincourt.
“Noi pochi, noi felici pochi, noi fratelli in armi.
Poiché chi oggi verserà il suo sangue con me sarà mio fratello: e per quanto sarà di umili origini, in questo giorno si farà nobile la sua condizione. E i gentiluomini che ora, in Inghilterra, si trovano a letto, si danneranno l’anima per non esserci stati, e si sentiranno menomati, quando sentiranno parlare un uomo che combatté con noi il giorno di San Crispino!”
Bene, ma se è così (ed è così) perché nessuno usa più quella magica parola?
E questa scomparsa del “noi” indica forse qualcosa?
Certamente siamo in una fase di esplosione dell’individualismo, favorita dalla Rete che permette ad ognuno di esprimere qualunque opinione potendola trasmettere agli altri e garantendole comunque una esistenza eterna.
Tutto il flusso comunicativo che ci circonda sembra organizzato allo scopo di permettere l’espressione individuale attorno a qualunque argomento.
Quelle che un tempo erano chiacchiere da bar destinate ad essere dimenticate nel vacillante ritorno verso casa ora diventano documenti che si vanno a collocare in un immenso agglomerato di altri documenti, da cui però possono essere estratti e riproposti in qualunque momento.
Diciamo che è una cura contro la frustrazione. “Gliel’ho detto, gliel’ho scritto!” sibila lo sconfitto mentre si ritira assaporando la vittoria dell’esistere e dell’essere visto comunque.
Certamente questo conta, ma non basta a spiegare la crisi del “noi”.
Non lo usano più nemmeno i leader dei Partiti, ma questo potrebbe essere attribuibile alla assenza sia dei Partiti che dei leader.
La realtà è, probabilmente, più complessa e ragionandoci sopra ci porta alla scomparsa del concetto di condivisione.
Vale a dire quel concetto che richiamava la appartenenza a una stessa e specifica condizione umana come valore fondante delle comunità di ogni tipo e genere.
Nel linguaggio della sinistra, e per fortuna non solo, la condivisione veniva espressa con il sostantivo “compagno”.
Esso originava dal latino “cum panis” e indicava il versante più chiaro della condivisione: quella essenziale, basata sul mangiare e dividersi lo stesso pane.
Nella estensione politica della appartenenza elevava il senso della condivisione iniziale trasformandola nella adesione a una prospettiva comune: dal pane che ieri mangiavamo insieme tra pochi a quello che domani mangeremo tutti insieme davvero.
Questo è solo un esempio fra tanti. In effetti siamo stati abituati a valutare il grado di miglioramento di una società dalla capacità di estendere il senso di collettività e di appartenenza dai piccoli gruppi sino a scale sempre maggiori.
Il senso del welfare in generale come quello della nostra Costituzione risiede appunto nel “noi”, vale a dire nella capacità di estendere a tutti i diritti e i vantaggi di una appartenenza condivisa (ed anche i doveri, naturalmente).
Ma, come vediamo tutti i giorni, la battaglia politica e culturale è ormai deteriorata sino al punto da essere incapace di indicare e far propria una prospettiva davvero globale e condivisa.
L’Italia viene definita “questo Paese” invece che “il nostro Paese” e le istanze che vengono presentate sono sempre indicate come istanze di parte in contrasto con quelle di altre parti.
Così il povero pronome che dà il titolo a queste brevi riflessioni va perdendo il suo fascino e la sua ricchezza.
Tutto questo avviene in nome della Libertà, naturalmente. Ma di questo magari un’altra volta.
SEGNALIAMO
Commenti
Una risposta a “POVERO NOI”
Una riflessione molto vera ma anche molto triste.