CLAUDIO MARTELLI
Questo libro di Francesco Carbini, una raccolta di meditazioni e di commenti dedicata ad un vasto numero di effetti prodotto dalla pandemia non soltanto sulle persone fisiche ma anche sulla vita del corpo sociale, merita attenzione per una quantità considerevole di motivi. Innanzi tutto per il metodo che caratterizza il lavoro. Con la diffusione sempre più capillare della comunicazione attraverso la rete, si è radicata nell’opinione pubblica una consistente diffidenza nei confronti di nuove forme di trasmissione dei messaggi e delle idee.
Il messaggio informatizzato, alimentato in prevalenza da veloci affermazioni, rivolto ad un pubblico spesso frettoloso perché sommerso da valanghe di argomenti, è di frequente considerato come una manifestazione marginale della produzione politica. Pesa sopratutto, contro la comunicazione attraverso la rete, un pregiudizio che avversa sistemi argomentativi semplici e non macchinosi. Nelle pagine di Carbini è raccolta una serie di sue osservazioni, veicolate attraverso Facebook, che hanno accompagnato i giorni, le settimane, i mesi della percezione, della scoperta, delle risposte al virus.
La brevità delle considerazioni non le impoverisce. La raccolta di un susseguirsi di valutazioni e giudizi non produce contraddizioni. Il testo, con le sue numerose sfaccettature, suggerisce una meditazione più complessa. Un’analisi relativa ai contesti che hanno accompagnato l’evento pandemico, alle condizioni dei sistemi istituzionali che sono stati chiamati a gestirlo, all’adeguatezza del ceto politico, alle trasformazioni dei sistemi politici, alle modificazioni di alcuni valori che sembravano radicati nelle società sviluppate.
Un secondo pregio del lavoro sta nello sforzo di collocare un’emergenza, le matrici della quale sono nel mondo naturale, in uno specifico contesto storico e sociale.
Carbini si ichiama, nella valutazione degli impulsi dirigistici che hanno accompagnato le scelte pubbliche, ad un appello lanciato da Mario Vargas Llosa (condiviso nella politica e nella cultura). Alcuni governi, sottolinea Vargas Llosa, hanno individuato in una grave situazione sanitaria un’occasione per arrogarsi un potere smisurato.
Hanno sospeso lo Stato di diritto e alcune regole della democrazia rappresentativa. Uno degli aspetti più gravi dell’attuale, drammatica, contingenza sta inoltre, secondo Carbini, nella modifica delle «nostre abitudini», del «nostro essere animali sociali».
La maggioranza delle persone si sta «abituando a rinunciare alle libertà fondamerntali, come se stare senza libertà fosse vivere». Carbini evidenzia una modificazione dei sistemi di governo che va progressivamente radicandosi nel nostro paese. Sistemi che ricorrono in modo sempre più frequente ad imposizioni autoritarie, mitigate in apparenza da elargizioni e misure assistenziali prive di prospettive e di motivazioni razionali. Una forma di apoteosi, afferma l’Autore, «del corporativismo sulle spalle dei giovani».
Un terzo pregio del lavoro sta nei suggerimenti che esso offre alla rilettura di un passato non lontano. L’intrecciarsi di una emergenza sanitaria con nuove forme dell’agire politico porta l’Autore ad una serie di riflessioni su anni e su decenni che ci stanno alle spalle. Per Carbini si assiste oggi ad una modificazione radicale delle prassi di decisione, derivate da scelte dai ceti dirigenti ma forse anche da un cambiamento delle culture diffuse nel corpo sociale.
La lettura del libro di Carbini suggerisce molte meditazioni sul valore di alcune strategie che hanno caratterizzato una fase della Prima repubblica e propone anche una riflessione sulla attualità di forti messaggi politici lanciati da Bettino Craxi. Il lavoro di Carbini spinge a valutare l’esperienza di Craxi, alla guida del PSI e del governo, come espressione di una strategia socialista adeguata alle trasformazioni della modernità.
Craxi non chiede un’asettica modifica del meccanismo decisionale. Cerca piuttosto di attribuire un ruolo nuovo a quel mondo del lavoro che aveva portato alla nascita dell’esperienza socialista nell’Occidente sviluppato. La linea di Bettino sulle istituzioni è comprensibile nella sua pienezza soltanto se viene esaminata alla luce di alcune grandi scelte compiute agli inizi degli anni ottanta. In quella fase Craxi decide di allontanare il socialismo italiano da una visione burocratica e statalista dei diritti del lavoro, del ruolo che la classe operaia può esercitare nella società.
Bettino porta il partito ad appoggiare le scelte del settore più avanzato del sindacato, la Uil di Benvenuto, la Cisl di Carniti, la parte più dinamica della CGIL sul superamento di una politica salariale fondata su automatismi e ispirata ad una concezione paternalistica dei diritti del lavoro. L’impegno del PSI nel rifiuto di una concezione arretrata e burocratica della politica salariale, lo scontro accettato e vinto con il referendum sulla “scala mobile”, manifesta la volontà e l’intenzione di valorizzare un modello di vita collettiva animato dal conflitto, dalla partecipazione del lavoro, non da regole imposte da mediazioni politico/burocratiche e dalla previsione di automatismi in una dinamica sociale che deve derivare da azioni consapevoli.
Carbini propone una meditazione su prassi e strategie che hanno caratterizzato la Prima repubblica. In essa, egli afferma, la politica non era stata sempre amata a parte forse il periodo dell’immediato dopoguerra.
Tuttavia essa era supportata dall’agire e dalla presenza di moltitudini di donne e di uomini che sentivano la necessita di partecipare e di combattere. «Chi andava a votare non seguiva solo il leader del momento ma in primo luogo le idee e i programmi che venivano rappresenta ti. E c’era sopratutto una formazione delle classi dirigenti (da quelle periferiche a quelle centali) che era garanzia di buon governo».
Per tornare ad una forma di partecipazione politica impegnata ed efficace, Carbini suggerisce un modello di comportamento, un atteggiamento che deve accompagnare chi vuole veramente cambiare. Un atteggiamento che è proposto nel titolo e che riemerge in molte parti del testo. Carbini non nasconde il proprio apprezzamento per un soggetto della vita animale che è spesso utilizzato per etichettare figure umane che si vogliono condannare o emarginare: la pecora nera. La pecora nera scrive Carbini è derisa, disapprovata fino ad essere emarginata.
«Eppure la pecora nera rappresenta di solito la parte migliore della famiglia nella quale è nata e dalla quale ha scelto di distinguersi rifiutando di ricalcarne modelli, tradizioni e mentalità». Il messaggio di Carbini non è di pessimismo o di sfiducia nel mondo e nella vita sociale, piuttosto di apprezzamento e di stimolo della indipendenza di spirito e del coraggio. «Il coraggio di essere diverso, di dire no, di osservare il mondo da un altro punto di vista, di battere percorsi sconosciuti, di non tornare indietro neanche quando la faccenda diventa complicata». «Non lo sapevo – prosegue Carbini- ma ricerche scientifiche hanno messo in luce che le pecore nere sviluppano un elemento fondamentale: la resilienza, ossia la capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi.
Si tratta del potere di risorgere dalle proprie ceneri, di trasformarsi e rigenerarsi senza cambiare la propria natura e traendo vantaggio dalle esperienze negative»
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