Gigi Proietti ha “contagiato” molti artisti. Accade quando si è contaminati dalla libertà creativa che spesso è invasiva, strabordante, non spiegabile.
Da ragazzo ho avuto la sensazione di assistere per la prima volta ad uno spettacolo quando ho visto Proietti in scena al Kursaal Santa Lucia di Bari. Uno show spettacolare e spettacoloso. A me, come a molti che hanno assistito ad un suo show, sembrava d’aver scoperto il teatro con lui. Accade per ragioni indecifrabili – che tali devono restare – perché alcuni fantasisti nel calcio e nell’arte, in scena e nella vita, non devono essere compresi del tutto, sono portatori di energie così differenti che innamorano senza logica.
La stessa sensazione l’ho provata, per ragioni diversissime, assistendo al sulfureo Arlecchino di Ferruccio Soleri per la regia di Giorgio Strehler. Un incantesimo scenico ricco di fascino ed ingenuità ammaliante che non ammette repliche.
Ne scriverò in futuro.
La malìa attoriale di Proietti era elegantissima, i suoi occhi bistrati d’azzurro, il sorriso a grandi denti bianchi in simmetrica corrispondenza con la camicia inamidata da smoking, la libertà del muoversi con agio dentro “generi diversi” diventandone uno speciale e senza paragoni… hanno rappresentato per molti, una folgorazione.
…dammi la forza di fare uno spettacolo che non voglia dire assolutamente niente, senza significati, allergico a tutti i contenuti. Uno spettacolo filante, curioso, non polemico, innocuo, asettico, privo di istanze, ingiudicabile ma intelligente, qualcosa che sia grande ma anche… leggero leggero…
Iniziava cosìLeggero leggero, il figlio dello storico A me gli occhi please nato a inizio ‘90. Il baule era lo stesso degli anni ‘70, la geniale metafora del bagaglio dell’attore era ancora in scena. Accanto a lui i ragazzi del suo Laboratorio, tanti allievi di talento ed alcuni di loro sarebbero diventati miei grandi amici.
Proietti non è un grande attore della storia dello spettacolo italiano, è un’antologia intera di attori, un florilegio di modi, vezzi, tempi, carrellate. Una koinè che ha scartato il già sentito con invenzioni ritmiche inarrivabili. Il suo urlo: “La regia non c’è!” alla fine del capostipite di tutti i suoi show, è il manifesto che cambia un’epoca teatrale. L’urlo che apre la sdogana il monologo d’alta scuola di intrattenimento puro.
Proietti era naturalmente dotato di spirito teatrale, quello che non dev’esser finto o vero, naturalistico o epico, perché gli basta nutrirsi solo del sangue vivo che scorre, da secoli, nelle vene dei grandi uomini di scena. E dire che tanti acidi maestri d’Accademia lo hanno giudicato sempre troppo popolare!
Quanto avrebbe bisogno il teatro di essere meno spocchioso e più spassoso?
C’è il ritmo della vita romana che vedi per strada nella straordinaria parodia della telefonata di Proietti, c’è il nonsense guascone che t’aiuta a vivere meglio.
Proietti l’ho studiato, capito, osservato! All’Olimpico, allo Stadio, al Brancaccio ed ancora all’Auditorium… A lui, dietro le quinte del Brancaccio, ho confessato qualcosa che non dimenticherò. Una vera follia. Da ragazzo mi sono intrufolato nello Stadio Olimpico deserto, per assistere alle sue prove generali. Sono stato spettatore in silenzio ad uno spettacolo grandioso, acquattato nella curva deserta ma abitato dalla sua voce indimenticabile, dal sudore della sua vitalità.
L’ho incontrato, sia dopo l’Accademia, sia da autore anni dopo.
Ho sentito probabilmente di non voler vivere di solo teatro grazie a lui. Perché per me o si era come lui e pochi altri, o non si era.
Lui negli anni nella mia mente è stato sempre in scena, con la stessa foga intatta del ragazzo magro in camicia bianca che sbancava il teatro tenda a Piazza Mancini. Un ragazzo a tratti futurista a cui i nemmeno i capelli bianchi hanno sottratto l’entusiasmo con cui era capace di andar a briglia sciolta per ore.
Da quel tempo irripetibile scritto con Roberto Lerici, dalla tenda che “era un dirigibile”, quel ragazzo era arrivato con il suo mistero solforoso ed istintivo ad insegnarci cosa voleva dire stare in scena.
Oggi Roma galleggia un po’ spaesata sul Tevere in attesa che quest’aria da fine impero cambi.
Annamo daje Roma, chi se fa pecorone er lupo se lo magna,
abbasta uno scossone…
la continuerà ad incitare così Gigi, quel ragazzo in camicia bianca dal talento così misterioso che s’è allontanato da questo mondo leggero leggero…
SEGNALIAMO