L’analisi di Martin Wolf ci aiuta a capire i rischi di deriva autoritaria emersi dal voto europeo
Quattordici/A Hermes Storie di geopolitica – Italia
Carlo Rognoni
Giornalista, ex vicepresidente del Senato, già consigliere di amministrazione della Rai
A una settimana dal voto europeo Carlo Rognoni in “Puntare sull’Europa per salvare il capitalismo democratico e la democrazia liberale” dopo aver riassunto i sei punti qualificanti della consultazione elettorale nei 27 Paesi membri dell’Unione europea, prende spunto da un saggio dell’economista Martin Wolf, recentemente pubblicato da Einaudi, per capire e denunciare i rischi di deriva autoritaria, o meglio quello che definisce il desiderio di “un governo autoritario competente. E i leader autoritari competenti – aggiunge l’ex vice presidente del Senato – rappresentano una minaccia ancora maggiore dei leader incompetenti per il futuro della democrazia liberale”.
17 giugno 2024
In sette giorni abbiamo avuto tutto il tempo di studiare, interpretare, digerire i risultati delle elezioni europee. Ci sono punti largamente condivisi:
- I partiti di destra hanno avuto risultati importanti, anche se non sempre decisivi.
- Nessun partito si dichiara ormai contro l’euro e contro l’Unione europea, anche se molti continuano a essere critici e a lamentare i ritardi e certi eccessi di Bruxelles.
- Giorgia Meloni è la premier che ha avuto più voti e che può sostenere di guidare un governo più forte di prima.
- I leader di Francia ma anche di Germania, dei due Paesi storicamente più forti e uniti nella politica europea, hanno avuto un segnale pesante di altolà.
- L’astensionismo è probabilmente il primo partito in quasi tutti i 27 Stati dell’Unione Europea.
- Ebbene, mentre i primi quattro punti contribuiscono a rendere più incerto e meno sicuro il cammino dell’Unione Europea, è il quinto punto in assoluto il più drammatico, quello che più di tutto merita un approfondimento, una riflessione.
Eh sì! Perché l’astensionismo è il segnale di una crisi con la quale dovremo misurarci nei prossimi mesi. Quel risultato di mostruosa astensione (in Italia, per esempio, non era mai successo che un cittadino su due non andasse a votare) è figlio di una doppia crisi, della democrazia liberale e del capitalismo democratico, due capisaldi dell’Occidente.
Partiamo dall’economia. Non va come molti spererebbero. E questo dato di fatto ha eroso la fiducia di quasi tutti i cittadini nei confronti dell’establishment, ha colpito molto duramente la sicurezza reale (o percepita) dei gruppi vulnerabili. L’ansia crescente dei cittadini ha poi contagiato la politica.
“Il mutamento tanto radicale delle fedeltà politiche non lo si può spiegare solo sulla base di un vecchio risentimento, che sia dettato da fattori economici o culturali… Quando sono impauriti e insicuri, gli esseri umani cedono a un tribalismo rabbioso… quando rifiuta la classe dirigente, la gente ripone la propria fiducia non in nessuno, bensì in chiunque”.
Parole scritte da Martin Wolf che The Washington Post definisce “il miglior giornalista finanziario del mondo”. È uscito da poco un suo libro intitolato La crisi del capitalismo democratico1. Si tratta di un libro che aiuta molto bene a capire le ragioni che hanno portato al risultato elettore del 9 giugno. La gente – secondo Wolf – avrebbe cominciato a desiderare un governo autoritario competente. E i leader autoritari competenti rappresentano una minaccia ancora maggiore dei leader incompetenti per il futuro della democrazia liberale.
“Privati di leader naturali, al posto delle vecchie élite scelgono populisti di destra che sanno il fatto loro. Cercano, insomma, una forma di fascismo leggero”:
lo sostiene Shawn Rosenberg, docente all’Università di California a Irvine. Rosenberg afferma che sollecitando la devozione a una nazione idealizzata e a un “grande leader”, la retorica del populismo di destra
“solleva dalla necessità di pensare con la propria testa, chiede in cambio fedeltà assoluta al leader […] alimenta paura e rabbia”.
I fallimenti economici hanno compromesso le aspettative che molte persone avevano pe il futuro, per sé e per i figli.
E l’Italia?
“Un esempio eloquente degli effetti culturali e politici del fallimento economico. La produttività ristagna. Nel 2016 il Pil pro capite è grossomodo agli stessi livelli di vent’anni prima […] un simile scenario aiuta a capire l’ascesa al potere di leader populisti e il perché uno di loro (Matteo Salvini) abbia fatto della retorica contro gli immigrati uno dei suoi cavalli di battaglia”.
Scrive Wolf:
“Secondo lo European Council of Foreign Relations tra il 2007 e il 2017 in nessun altro Stato membro dell’Unione europea, a eccezione della Grecia, si registrò un calo del livello di “coesione” pari a quello dell’Italia, che nel 2017 era scivolata al ventitreesimo posto su ventotto nella classifica che la misura”. Giorgia Meloni è sicuramente meglio di Salvini. Ma per una ragione importante: si comporta in maniera molto contraddittoria rispetto a tutto quello che ha sostenuto prima e in campagna elettorale. C’è davanti a noi una grande sfida. I membri delle élite imprenditoriali, politiche e intellettuali devono sapere che puntare sull’Europa – anche immaginando una riforma delle attuali regole – è l’unica strada per salvare il capitalismo democratico e la democrazia liberale, i due pilastri su cui si regge l’Occidente.
- Martin Wolf, The Crisis of Democratic Capitalism, London, Penguin 2024, 496 p. Traduzione italiana di Maristella Notaristefano: La crisi del capitalismo democratico, Torino, Einaudi, 2024, 648 p. ↩︎
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