e cosa possiamo fare tra consapevolezza individuale e inter-dipendenza globale?
Partiamo da un punto certo. È vero che per quasi 80 anni siamo riusciti a tenere sotto controllo (almeno in parte viste le recenti tragiche guerre in Ucraina e Gaza) gli antichi problemi della penuria alimentare e dell’acqua, delle malattie infettive, dei conflitti bellici e che se continueranno – seppure in altre forme più moderne – non potremo più incolpare né Dio né la natura come nelle migliaia di secoli precedenti. La perma-crisi (sanitaria, climatica, migratoria, finanziaria, energetica, dei conflitti armati) alla quale stiamo assistendo da oltre un decennio ci impone in primo luogo di proteggere il genere umano e il pianeta come una entità unica e integrata dai rischi molteplici derivanti dall’uso del nostro potere dove Dio e Natura c’entrano poco e il fatalismo diffuso non ci aiuta.
La formidabile crescita economica degli ultimi otto decenni ci ha infatti aiutato a dare risposte alla povertà assoluta, alla domanda di medicine, al fabbisogno energetico e delle materie prime. In secondo luogo, una crescita quantitativa del PIL come ricchezza materiale che tuttavia si sta rivelando in tutto il suo impatto sull’ambiente ecologico per livelli di non sostenibilità e di non equità. Una qualità della crescita che stà iniettando, da una parte, fattori di destabilizzazione degli equilibri planetari e, dall’altra, rendendo interdipendenti economia e società, tecnologia e ambiente legandoli inesorabilmente nell’intreccio tra esogeno ed endogeno, tra locale e globale, tra micro e macro. In terzo luogo, il genere umano e le élite politiche hanno solo ora cominciato a prendere in considerazione questo quadro strategico e trasformativo e i fattori antropici che lo stanno determinando per porvi qualche rimedio (esiti di Cop28).
Classi politiche che tuttavia sembrano “paralizzate” dall’apparente conflitto tra crescita economica quantitativa e stabilità ecologica qualitativa e guidate spesso solo dal “faro distorsivo” del primo fattore per inseguire un consenso a tutti i costi per scopi auto-confermativi vista la crisi di rappresentanza dei partiti politici e la diffusione di partiti personali da almeno tre decenni. Una ricerca forzosa (populista-nazionalista-sovranista) del consenso che ha fratturato il rapporto tra democrazia e benessere, tra civismo e potere per il semplice fatto che “la storia non tollera vuoti“, come dice Harari.
Dunque, in quarto luogo, se si riducono carestie, pandemie e guerre (certo non scomparse) cosa le sostituisce nei programmi umani planetari? Sappiamo cosa sta arrivando nelle nostre case dopo avere consolidato la consapevolezza della non-insolubilità dei grandi flagelli le cui soluzioni abbiamo sempre delegato a un qualche Dio “protettore” e/o a una Natura “matrigna”? Cioè non possiamo certo equiparare il mondo del 2014 (sull’orlo della prima Grande Guerra”) al mondo del 2024 come se non fosse successo quasi nulla. Perché non è cosi. Le guerre si sono ridotte, le malattie pure, la povertà assoluta anche e abbiamo controllato il Covid coordinando gli sforzi planetari e facendoci guidare dalla scienza.
Si poteva fare di più certamente, ma non si possono sottovalutare gli avanzamenti dimostrati anche dal super-salto demografico degli ultimi 150 anni e del volo nel quasi raddoppio della speranza di vita in soli 80 anni. Frutto dell’incrocio – in quinto luogo – tra ricerca medica, riforme economiche, avanzamenti tecnologici ed educativi, accordi di pacificazione. Entro una traiettoria di sviluppo del ceto medio e della mobilità sociale – in sesto luogo – che ha alimentato conquiste mai viste prima e consolidate dal welfare state e da un sistema sanitario universalistico oltre che da una diffusa accessibilità alla scuola di massa, nonostante le ancora diffuse povertà educative-culturali e sanitarie e le troppe diseguaglianze (geografiche, politiche e sociali).
Ma nel terzo decennio XXI sec. dovremo impegnarci di più a dare risposte al dis-accoppiamento tra crescita del reddito e ricerca di un benessere che non è solo materiale ma anche spirituale e connesso all’immateriale (educazione, cultura, comportamenti sociali). Connettendo meglio la Piramide di Maslow dei bisogni (da quelli materiali a quelli immateriali, culturali e spirituali sempre più connessi in modalità circolari e non gerarchicamente strutturati dai primi ai secondi) alla scala di Carrol delle motivazioni comportamentali (da quelle profit e no profit alla filantropia e al dono e anche queste inter-connesse).
Una connessione più robusta che conduca verso forme istituzionali imprenditoriali di investimento con orientamenti ESG (environment, sustainability, governance) e scelte strategiche attraverso CSR (corporate social responsibility) coerenti con un mondo sempre più interdipendente. Capaci di fondare un capitalismo più partecipato e socialmente responsabile vista anche la crisi del welfare standard verso imprese-comunità in senso olivettiano e che sanziona comportamenti monopolisti-oligopolisti con authority forti e possibilmente sovranazionali guardando ai beni pubblici e comuni per una prosperità condivisa e dell’umano.
Per condurci ad un uomo dunque che possa essere soddisfatto da quel che ha bilanciando meglio fattori materiali, immateriali, emozionali e spirituali e non necessariamente desiderando sempre di più se non guardando ad un benessere che è fisico, cognitivo, emotivo e spirituale insieme. Un benessere che deve poi essere condiviso con gli altri per una prosperità altrettanto condivisa che possa trasformarsi anche in frammenti di felicità. Perché è ormai evidente che dopo avere “sconfitto” (almeno in parte) le carenze alimentari e le carestie, le malattie e la violenza dei conflitti armati globali (confidando di trovare soluzioni stabili e condivise in Ucraina e a Gaza) tra i nostri obiettivi umani ritroviamo la lotta all’invecchiamento (dalle cure antiage all’epigenetica, dalle staminali alla bio-riproduzione degli organi, ecc.) fino a toccare il contrasto alla morte con la nuova medicina rigenerativa.
Qualche osservatore attento dice “per farci avanzare dall’Homo Sapiens all’Homo Deus”(Harari), dopo che abbiamo ucciso la Religione e i suoi Dei con risultati tuttavia non particolarmente confortanti dato che anche i “mercati e le organizzazioni falliscono o evolvono in monopoli”. Un fenomeno che quasi in “translucido” vediamo nella immensa solitudine che sembra attanagliare la post-modernità Occidentale di una società (iper)individualista e (iper)consumista e ora (iper)tecnologica incollata e dipendente da un video di 6 pollici come al proprio cagnolino sotto le spinte al potenziamento delle capacità con AI e “visioni transumaniste” a cui delegare (tragicamente) “tutto”.
Che fa dire alla massima autorità sanitaria americana che il 30% degli adulti (USA) sono a rischio morte, proprio per inedia e solitudine (in Europa forse meno ma comunque una enormità). Eppure ci mandiamo circa 1 milione di sms al secondo durante le festività natalizie tra ritualità, illusionismo e banalità di un gesto che ha perso profondità di riconoscimento dell’Altro con 2,5 miliardi di account Facebook. Social certo utili ma immersi e guidati da distorsioni monopolistiche che vanno contrastate e sanzionate per proteggere privacy e uso dell’informazione (protezione dei minori) e dove l’Europa avanza prima di altri in Occidente.
Perché nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo non c’è solo scritto che abbiamo diritto alla vita ma anche a una “vita dignitosa” lavorando per un salario che sia tale come leggiamo con giusta enfasi nella enciclica “Tutti Fratelli” di questo Santo Padre.
Certo “sconfiggere la morte” sarebbe un grande passo ma qualora ci arrivassimo nei prossimi 100-200 anni sapremmo poi cosa farcene? Sapremmo ricostruire un “senso della vita” di fronte al “non-finito” o anche al solo raddoppio della speranza di vita attuale come avvenuto nel secolo scorso? Vogliamo l’immortalità o semplicemente la a-mortalità ricercando una felicità molto terrena o della “roba”?
Cosa avremmo oltre la prima fase dell’apprendimento e la seconda del lavoro? Basterà la contemplazione etica-estetica dell’essere e per quale valore del tempo chiederebbe Heidegger? Perché finora ci ha guidato un “riconoscimento dei nostri limiti e delle nostre imperfezioni” e superare l’estremo atto vitale forse non ci aiuterebbe se non preparati adeguatamente. Dunque tra Sapiens e Deus dovremmo forse cercare ancora nella Terra di Mezzo di Sapiens-Sapiens per ridurre le probabilità di estinzione alle quali ci stiamo pericolosamente avvicinando per le nostre scelte distruggendo opportunità per le generazioni future e dunque per il genere umano. Ricordandoci che la Natura non ha bisogno dell’uomo, mentre è vero il contrario.
Perché un futuro c’è anche se ci comportiamo come se non ce ne fosse alcuno, eppure è li che ci guarda va solo riconosciuto e accolto con intelligenza emotiva condivisa sapendo che viviamo in un piccolo-grande villaggio globale e che un Piano B ( o un pianeta dove fuggire) non c’è, almeno per ora.
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