QUALE FUTURO PER LA SOCIETÀ NON SOLO AMERICANA

Un New Deal alla Roosevelt?

Gli Stati Uniti d’America con i suoi circa 336 milioni di abitanti distribuiti in una superficie di 9.834.000 chilometri quadrati, cinquanta Stati e un Distretto Federale con 3.188 contee insieme alle numerose multiculturalità e multietnie, provenienti da vari Paesi del mondo (61% di origine europea, con la comunità italiana costituita da circa 20 milioni; 18,4% afroamericani…), da tempo, forse da sempre, sono stati il luogo, e lo sono tuttora, attraversato da mille contraddizioni, comprese le tante guerre affrontate nel tempo (Corea: 1950-53; Vietnam: 1965; Afghanistan: 2001…), come del resto lo è stata e lo è oggi ogni altra realtà nella Storia, perché nessuno è perfetto.

Con George Washington, proclamando che “Tutti gli uomini sono stati creati uguali” e dotati di “Diritti inalienabili”, il 4 luglio 1776 il Congresso adottò la Dichiarazione di Indipendenza dalla Gran Bretagna, redatta in gran parte da Thomas Jefferson. Tale data oggi è celebrata ogni anno come il Giorno dell’Indipendenza. Nella Convenzione di Filadelfia del 17 settembre 1787 venne adottata la Costituzione, che da allora andò incontro a ventisette emendamenti. I primi dieci, collettivamente denominati “Dichiarazione dei diritti” (Bill of Rights), furono ratificati nel 1791 e garantiscono diritti civili e libertà fondamentali.

I principi, dunque, che regolano i rapporti sociali negli Stati Uniti sono fondati essenzialmente sui due valori del rispetto della Libertà e quello della possibilità di realizzare i suoi contenuti in tutti i vari settori del vivere: c’è da dire, però, che nella loro vicenda umana essi sono andati incontro anche all’affermazione talora esagerata di questi due obiettivi, tentando di esportarli magari altrove, là dove si presentavano invece altre tradizioni dell’esistere.

Gli Stati Uniti intrapresero una vigorosa espansione per tutto il XIX secolo, spinti dalla controversa dottrina del cosiddetto “Destino manifesto”. L’acquisizione di nuovi territori e l’ammissione di nuovi Stati membri causarono anche numerosi conflitti con i popoli nativi. La Guerra Civile Americana del 1861 si concluse con l’abolizione della schiavitù, avvenuta con Abramo Lincoln il 1 gennaio 1863, nel Nord peraltro già eliminata dal 1804. Questi uscirono dalla Seconda Guerra Mondiale come una superpotenza globale, il primo Paese dotato di armi nucleari e come uno dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Dopo una grave crisi politica e sociale negli anni Sessanta e Settanta come conseguenza anche della sconfitta nella guerra del Vietnam, che sembrava aver minato il predominio mondiale statunitense, l’inattesa fine della guerra fredda e la dissoluzione dell’Unione Sovietica negli anni Novanta hanno riconfermato il loro ruolo di superpotenza.

Gli Stati Uniti sono certamente un Paese sviluppato, con una stima nel 2021 del prodotto interno lordo (PIL) di 27,68 migliaia di miliardi di dollari (circa il 29% del PIL mondiale a parità di potere di acquisto, a partire dal 2011). Il PIL pro capite è stato il sesto più alto del mondo dal 2010, anche se la disparità di reddito del continente americano è stata anche classificata dalla Banca Mondiale come la più alta all’interno dell’OCSE e di molte altre Nazioni.. Il Paese rappresenta una forza politica guida del mondo occidentale ed è la prima potenza economica e militare (suo è il 39% della spesa militare mondiale), ma manifesta anche forti contraddizioni interne con uno stato sociale più debole rispetto a molti altri Paesi sviluppati. Da questo deriva la necessità di non sbagliare direzione nelle prossime scelte politiche.

Tutti, quindi, riconoscono i loro grandi progressi nel campo della ricerca scientifica (con il FermilabBrookhaven National LaboratoryBell LaboratoriesSLACOak Ridge National LaboratoryInstitute for Advanced Study e Los Alamos National Laboratory, NASA…), dello sviluppo e applicazione della tecnologia alla vita di ogni giorno, della realizzazione dei tanti sogni personali in altri luoghi feriti o addirittura uccisi, delle numerose lotte affrontate, comprese quelle per la difesa dei diritti civili contro le discriminazioni razziali (Martin Luther King, 1964), dell’impegno pagato con la morte di tanti personaggi storici che intendevano costruire una società più equa e giusta (la “Nuova Frontiera” dei Kennedy), ma anche dell’accumulo di enormi risorse economiche perlopiù riposte nelle mani di poche persone, della diffusione purtroppo dell’industria delle armi senza i dovuti controlli, dell’assenza di un sistema sanitario che garantisse i più deboli, dell’affermazione di un liberismo a volte esasperato e di una globalizzazione mobile talora senza le adeguate regole di controllo. È stato con Barack Obama che veniva promossa finalmente l’approvazione di un’ampia riforma sanitaria e incentivate misure economiche per riportare a far crescere l’economia degli Stati Uniti in seguito alla Grande Recessione del 2006-2013. Altro avvenimento importante durante l’era Obama fu l’accordo sul nucleare iraniano. Ma il salario medio si aggira sui 70.000 dollari annui, mentre esiste ancora una larga fascia di povertà, che si attesta sul 10% della popolazione: non è tutto o sempre oro, dunque, ciò che si dice o si vede in giro!

È vero che lo spazio di accesso alla Libertà si è aperto per molti immigrati fattisi poi onore nella società americana fino a raggiungere i massimi livelli dello stesso potere (Barack Obama), ma è anche vero che i pregiudizi e le chiusure permangono e lo si è notato con il tentativo durante la Presidenza Trump di elevare nuovi muri alle frontiere con il Messico per chi bussava alla porta di un possibile benessere. Ci si sta rendendo conto, forse con disappunto e ritardo, che dal primitivo unilateralismo vissuto forzatamente durante la guerra fredda come un subíto bilateralismo (Stati Uniti-Unione Sovietica), oggi, con l’impetuosa entrata nello scenario del mondo di intraprendenti nuovi attori economici e politici come la Cina e l’India, si sta transitando verso il multilateralismo. Oltretutto gli Stati Uniti hanno vissuto con la caduta delle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 e le sue 3000 vittime anche la tragica esperienza della loro intrinseca fragilità. Che sia stato o sia un bene o un male tutto questo susseguirsi di insieme di osservazioni nessuno può dirlo: certamente il mondo sta riscrivendo i suoi connotati e parametri di esistenza sulla scena di questa terra. La Storia comunque si va orientando in questa direzione e ci si augura uno sviluppo seguendo il modello di una cooperazione maggiore fra i popoli fondata sulla reciproca comprensione, compresa quella nel campo scientifico e nella ricerca spaziale, desiderata certamente già con il primo allunaggio del 20 luglio 1969, anche se ancora da parte americana.

C’è da dire che i rappresentanti del ceto politico americano, pur in mezzo a tanti conflitti ai quali per molteplici ragioni, anche interessate, sono stati costretti a dover prestare la loro attenzione (Ucraina-Russia, Israele-Palestina-Libano…) non sempre sembrano essere stati né protagonisti né risolutivi di tali contrasti: troppi sono gli elementi in gioco in questo mondo così lontano da una corretta visione del vivere. Le alleanze certamente ci sono (NATO…), gli organi di controllo pure esistono (ONU), ma per una loro ancestrale debolezza non si riesce bene a capire in quali direzioni e con quali prospettive funzionano nel presente o funzioneranno in avvenire: con la chiusura come vorrebbe Donald Trump a qualunque eventuale affronto al tornaconto nazionalista o con una più intelligente e accorta apertura a una rinnovata collaborazione fra i popoli sul piano dello sviluppo sia nel settore del rispetto per i diritti di tutti, specialmente della gente di colore, come vorrebbero i democratici americani di Kamala Harris? L’eccessiva personalizzazione della dirigenza politica sta diventando un gravissimo rischio per la stessa democrazia americana e non solo (l’assalto del 6 gennaio 2021 al Capitol Hill con l’uccisione di cinque persone è un esempio emblematico), quando invece sarebbero necessari una maggiore attenzione e un più maturo servizio nei confronti del bene comune. La campagna elettorale che si sta sviluppando in quell’area sta adottando una serie di linguaggi fra loro incomprensibilmente contraddittori, una sorta di algoritmi miranti al più sottile controllo sociale con la ricorrente diffusione di fake news ormai galoppanti a livello globale: da una parte si intende parlare e discutere di Progettualità, dall’altra invece per tutelare e salvare interessi di parte, operazione tipica e familiare ai tycoons, si ricorre non allo svolgimento di un civile dibattito ma allo scontro violento e frontale utilizzando la squallida arma dell’offesa personale per denigrare l’avversario che non diventa così più tale ma un nemico da abbattere.

Come si pone il ruolo dell’Europa in questo pur necessario futuro scenario di confronto? Si discuterà finalmente sul problema del cambiamento climatico, superando gli interessi di parte nella prospettiva di un Superiore Bene o si continuerà a far finta di niente o, peggio, a ignorare questo mutamento epocale, che inficerebbe sul nostro pianeta la sopravvivenza delle future generazioni? Saranno capaci i due competitor di affrontare o almeno tentare di risolvere queste drammatiche situazioni, che stanno impoverendo la terra, costringendo così a favorire le migrazioni di massa e a dilatare i luoghi di desertificazione con il rendere impossibile la presenza della stessa vita sia umana che animale e vegetale con la siccità? Si firmeranno finalmente gli Accordi sul clima come dal Protocollo di Kyoto del 2008 fino a quelli di Parigi del 2015, non accettati dagli Stati Uniti insieme ad altri sette Paesi? I condizionamenti interni da parte delle lobbies del petrolio sono, purtroppo, ancora tanti. In fondo sono esse (insieme a quelle dell’Industria e delle Banche) a decidere le scelte politiche, con un sindacalismo che si presenta, purtroppo, piuttosto debole, quando invece ci sarebbe molto da cambiare in direzione di uno sviluppo più a misura di uomo con la conseguente necessità di riorganizzare la natura dello stesso lavoro.

Chiunque, dunque, riesca a vincere il confronto elettorale è bene non dimentichi la drammaticità di simili questioni oltre a quelle sociali legate al sottosviluppo, senza la cui soluzione, la stessa Vita è posta in serio pericolo e al duro rischio di una sua progressiva e totale estinzione su questa nostra terra. Perciò è dalla natura della risposta al dilemma “apertura democratica al confronto o isolazionismo trumpiano” che dipenderanno la positività o negatività dei rapporti internazionali fra gli Stati nei loro gravi e numerosi problemi ancora purtroppo irrisolti come la fame nel Terzo e Quarto mondo e oggi la sicurezza soprattutto in alcune aree geografiche come l’Est Europa e il Medio Oriente attraversate da distruzioni di vite umane e città. Come sarebbe auspicabile oggi un New Deal alla Franklin Delano Roosevelt! Poiché tutto ormai è interconnesso, a questo punto ci si appella alla responsabilità di chi deve determinare le sorti del futuro di questa umanità offrire la risposta, perché è dalla qualità e serietà di tali forze che dipende la stabilità del mondo che verrà. Mi auguro sinceramente che possa accadere tutto questo. Ci potrebbe essere allora ancora una speranza per le nuove generazioni che si stanno affacciando all’esistenza né ci si può permettere più di prospettare a loro unicamente lo spettacolo talora vuoto, avvilente ed egoistico del vivere, senza una sua sostanza o un serio punto fermo di riferimento.

Vogliamo riprometterci tutti che alla fine vincano il buon senso, i personaggi giusti, il rispetto per una visione superiore dell’Essere nella soluzione dei problemi, la certezza di un avvenire veramente più fraterno per tutti. Qualche dubbio, però, purtroppo in me permane. Naturalmente vorrei anche tanto sbagliarmi nella non erosione della Speranza!


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