In ogni forma di cultura il tema della Vita è sempre stato al centro della riflessione filosofica, religiosa e umana di tutti i tempi. Se si parla e si scrive di essa, ciò vuol dire che è compiuto da chi è in vita, cioè in questa realtà del visibile nella quale si va ad acquisire ogni forma ragionevole di esperienza.
Non si sa come sia nata la vita sulla terra. La sua comparsa è fatta risalire a circa 3,5 miliardi di anni fa, mediante processi di trasformazione chimica con la conseguente formazione di molecole organiche. A questa è seguita l’evoluzione biologica con la selezione naturale (Ch. Darwin). I mattoni biochimici fondamentali che la compongono sono: DNA, RNA e gli amminoacidi. Alcuni ne affermano il finalismo (Sant’Agostino, San Tommaso d’Aquino…) altri lo negano (J. Monod). Comunque la vita è solo un Grande Mistero, attraversato da luci e da ombre, da mille domande e da poche risposte, da un viaggiare con fiducia in attesa di Altro, da uno sguardo compassionevole e amoroso ma senza farsi condizionare da ciò che si osserva, da un entrare entro di sé e un contemporaneo uscire fuori da sé per interrogare l’Immensità…La vita è ciò che si vede ma anche ciò che solo occhi limpidi sanno intravedere. La vita è un continuo alternarsi fra giorno e notte, mesi e anni, sonno e veglia: è una corsa inarrestabile. Verso dove? E Dopo?
È qui che si inserisce la riflessione teologica. Prima, però, mi sembra opportuno oltre che necessario portare qualche valutazione di natura filosofica.
Nella filosofia greca antica tutto il reale è concepito come vivente secondo la teoria dell’Ilozoismo: Diogene di Apollonia considera l’aria come vita, Empedocle come armonica fusione dei quattro elementi primigeni (Fuoco, Acqua, Aria, Terra), Anassagora nell’aggregazione dei semi (σπέρματα). Tutti questi sono elementi materiali viventi che vengono connessi con il concetto di psyché, come nel Timeo di Platone dove l’intero mondo è visto come un organismo vivente, convinzione peraltro conservata presso molte culture orientali (Anima mundi).
Per Aristotele la vita s’identifica con l’anima (ἐντελέχεια), sia essa vegetativa, sensitiva o intellettiva, che è nel sinolo “causa e principio del corpo vivente”. La visione aristotelica sarà fatta propria poi anche dal Neoplatonismo, con il collegamento tra il mondo ideale e quello materiale delle realtà empiriche.
Nel Vecchio Testamento la vita umana è strettamente collegata alla volontà benefica di Dio creatore (Genesi 1,26: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza”), mentre la morte è rapportata al peccato. La filosofia medioevale accoglie l’idea neoplatonica dell’importanza del βίος ϑεωρητικός per una vita vissuta religiosamente e misticamente come strumento per giungere a quella esistenza oltremondana e riprende la concezione aristotelica della vita biologica.
Tra il 1600 e il 1700 essa viene concepita come appartenente a un essere vivente che va studiato come se fosse una macchina: R. Cartesio, Th. Hobbes. W. Leibniz invece è per la “monade” come entelechìa (ἐντελέχεια), cioè come anima.
I pensatori dell’Età romantica J. Herder, F. Hölderlin, F. Schiller, F. H. Jacobi concepiscono la vita inserendola nella nuova visione della filosofia della natura sviluppata da J. W.Goethe, F. Schelling e G. W. Hegel. All’inizio del XX secolo si afferma la filosofia della vita che si rifà a vari Autori, soprattutto a A. Schopenhauer e F. Nietzsche o riconducendo la razionalità a qualcosa di immanente alle stesse strutture materiali della vita, una sorta di “vitalizzazione della ragione” che porta spesso all’irrazionalismo, al misticismo, all’amoralismo.
Allora che cosa è in sostanza la vita? Certamente essa non è la risultante di semplici combinazioni caotiche di atomi e molecole (metano, idrogeno, azoto, ammoniaca: brodo primordiale), magari favorite da scariche elettriche, senza una loro elementare interna logica. Possiede, checché se ne pensi, un suo finalismo ben attivo, che tende alla conservazione del tutto dentro e fuori il tempo, anche se di esso non si è sempre pienamente consapevoli.
Nessuno “vuole” o “sceglie” di morire, neanche quelli che molto impropriamente noi definiamo “animali”. A questo proposito le posizioni di M. Heidegger (1889-1976: Il progetto dell’Essere è per la morte) e di J. P. Sartre (1805-1980: L’esistenza è priva di un senso) si presentano molto fragili a una più attenta e complessiva analisi filosofica. In esse, infatti, manca una strategia di approccio interdisciplinare al problema e alla relativa domanda, che richiederebbe una risposta di un più ampio spettro e più largo respiro.
C‘è un “quid”, dunque, all’interno della vita, che, pur servendosi questa delle strutture fisico-organiche per relazionarsi alla realtà materiale, sfugge e non si identifica minimamente con queste ultime, perché le trascende nel suo dinamismo e implica una richiesta di indipendenza e di autodeterminazione dallo spazio-tempo.
La si definisca come si vuole, questa tensione esiste: un fatto, però, è chiaro ed è che una simile espressione vitale è una forma di “energia” che è predisposta a una continua evoluzione verso il “meglio”, sviluppando una personale coscienza del proprio esserci nell’universo. In altre parole, una volta posta in moto, questa potente “forza psichica” (scientificamente non si sa da chi, anche se certamente non da una realtà superiore “cieca” fatta esclusivamente di reazioni chimiche), essa si rende percepibile come una “freccia” scoccata per dirigersi verso Altro, senza più alcuna possibilità o desiderio di rientrare nel tempo, con il rischio di autoannullarsi.
“Vita mutatur non tollitur” dicono la Liturgia e la stessa Scienza (A-L. Lavoisier). Per usare un’immagine, è come una sorta di “ultramateria”, non di “antimateria”, destinata ad assumere configurazioni di luminosità e di autosufficienza esistenziale. Perciò, anche se l’involucro “materia” deperisce con il tempo, perché i suoi elementi energetici vanno consumandosi, la parte vitale che muove l’involucro è spinta a andare oltre, anche senza di esso. Da qui il bisogno di immortalità, cosa che non si avvertirebbe se quest’ultima non esistesse o se non si ponesse come domanda. E qui, però, gioca molto l’Intuizione, una sorta di Intelligenza Superiore: chi ci arriva, ben per lui!
Per quanto riguarda il Cristianesimo, soprattutto negli ultimi decenni, a queste conclusioni conduce la ricerca teologica, che fa della vita il punto centrale attorno al quale ruota l’intera Rivelazione. Ne ricordo solo alcuni fra i suoi massimi esponenti: Romano Guardini, H. Urs von Balthasar, Karl Rahner, André Chenu, Jean Danielou, Hans Küng, E. Schillebeeckx, Y. Congar. H. de Lubac, J. Ratzinger, J.B. Metz, B. Häring, Th. de Chardin, L. Boff, G. Gutiérrez, C. M. Martini, B. Forte, W. Kasper…
Dall’analisi di alcuni brani del Nuovo Testamento, per esempio, la vita dell’uomo viene indicata con due termini greci differenti: bìos, che rappresenta soprattutto la vita nel suo aspetto materiale (il denaro, le sostanze: Vangelo di Maco 12,44; Luca 8,14.43; 1 Lettera a Timoteo 2,2; 1 Lettera di Giovanni 2,16, ecc; ma il termine è abbastanza raro) e psyché (Vangelo di Matteo 2,20, 6,25; Marco 3,4, 8,35; Luca 1,46; Giovanni 10,11.15.17, ecc.). Gesù è indicato come Sorgente di vita (Giovanni 3,14), Buon Pastore che conduce ai pascoli della vita (Giovanni 10), Fonte di acqua viva (Giovanni 4), Luce del mondo (Giovanni 1,9; 8,12) e Pane di vita (Giovanni 6). In particolare in Giovanni 6, dove zoé ricorre ben nove volte, Gesù si rivela come Parola e pane di vita eterna, il cui dono è il compimento della promessa fatta ai Padri. Non solo la sua Rivelazione è vero pane di vita, ma anche il pane che Egli darà è “la sua carne per la vita del mondo” (Giovanni 6,51), aggiungendo “Io sono la Via, la Verità e la Vita” (Giovanni 14,6).
Nella Teologia paolina si sottolinea come la ‘vita nuova’ (anche in Paolo il termine è zoé ) caratterizza il cristiano (Lettera ai Galati 6,15; 2 Lettera ai Corinzi 5,17; Lettera agli Efesini 4,24; Lettera ai Colossesi 3,10); essa è Partecipazione al Cristo morto e risorto ed è frutto dello Spirito che egli invia in dono (1 Lettera ai Corinzi 15,45 e 1 Cor 15,22). A questo dono l’uomo partecipa per la grazia di Cristo: con le sue sole forze infatti egli non può salvarsi. Solo nel dono dello Spirito egli partecipa alla vita del Nuovo Adamo ed è solo alla luce dell’universalità della salvezza in Cristo che Paolo nella Lettera ai Romani 5 afferma l’universalità del peccato in Adamo. Salvato per la fede (Romani 3,27-28) e battezzato nella morte di Cristo (Romani 6,3), il cristiano “vive per Dio… in Cristo Gesù” (Romani 6,10-11).
Con la venuta di Gesù il messaggio riabilitativo del “soffio vitale” (Libro della Genesi 2, 7) si è evidenziato nella sua più compiuta chiarezza. Egli, come scritto sopra, rivela di Se stesso: “Io sono la Via, la Verità e la Vita” (Vangelo secondo Giovanni 14, 6).
Recita un proverbio taoista: “La Via della Pratica è di fare del Cuore dell’Universo il Proprio Cuore.” Pulsare, cioè, in armonia con tutto ciò dal quale emana il profumo della Vita! Partendo dai testi su menzionati Dio, nella Teologia cristiana, non partecipa da spettatore assente o inerte alle vicende umane né è quel “Totalmente Altro”, irriducibile e problematico nella Sua paradossalità, come sosteneva K. Barth (1886-1968) rielaborando il pensiero di R. Otto (1869-1937: il concetto di “numinoso”) e portandolo alle estreme conseguenze. Egli soprattutto è Amore (I Lettera di Giovanni 4, 7, 16). Scrive ancora l’Apostolo Giovanni nella stessa Lettera: “Chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui” (cap. 4, vss.7-16). Cristo porta una autentica rivoluzione religiosa e culturale nel modo di concepire la vita, il suo profondo significato e il suo destino ultimo. La Teologia della Vita, oltre che a indicare la rivalutazione della parte migliore dell’essere umano, implica anche quella della risurrezione dei corpi nel giorno finale. Questo è un altro Grande Mistero!
L’immortalità, allora, in questa visione della realtà non è altro che uno sviluppo della vita stessa, ma su un altro piano di consistenza e di manifestazione, senza nulla perdere della sua primitiva natura di quella “fiammella” che una volta si era accesa nel Tempo. Questo processo di trasformazione avverrà a livello psichico o, se si vuole, spirituale, senza la dispersione né dei ricordi né dell’identità né dei sentimenti e né di tutto ciò che ha caratterizzato e caratterizza l’individualità originale di ogni essere vivente. La Vita, oltre che un miracolo, resta un dono gratuito e unico proveniente da un Pensiero creativo (Dio) e dalle scelte operate da un uomo e una donna (i genitori) ed è immessa così nel Tempo e nella Storia: come tale è sacra e inviolabile, anche se spesso è costretta a manifestarsi in forme di non-vita, di povertà, di invisibilità. Se Dio è Vita, anzi è “la” Vita, allora la ricerca teologica non può che confluire in questa chiara e precisa direzione. In fondo in cosa consiste l’Escatologia se non nella promozione e salvaguardia della Vita? Del resto anche l’Etica religiosa, specialmente quella cristiana, fa molta leva sulla “carità”, su una “relazione” cordiale cioè che occorre stabilire con la Natura e l’intero creato e il prossimo, con chi in ultima analisi è “portatore di Vita”.
Presso molte Istituzioni Pubbliche sono nati i Comitati Nazionali di Bioetica con lo scopo di avere come “oggetto dei suoi studi l’esame sistematico della condotta umana nel campo della scienza della vita e della salute”. Per alcuni, come per il filosofo tedesco Hans Jonas, nella Bioetica non possono darsi risposte definitive in quanto ogni valore morale deve commisurarsi sulla mutevole realtà a cui deve essere applicato. Auspica inoltre una piena libertà della ricerca medica fiducioso che essa abbia in sé stessa le capacità di autoregolamentarsi, cosa naturalmente che si spera lo sia.
Purtroppo c’è da dire che ogni anno, come nel 2021 in Italia, si perpetrano molti omicidi volontari (295) e femminicidi (104). Attenzione poi all’uso indiscriminato dell’Intelligenza Artificiale: può essere pericoloso!
All’idea della sacralità e indisponibilità della vita nella Teologia cristiana si connettono la proibizione dell’aborto, l’illiceità del suicidio ‘consapevole’, il rifiuto dell’eutanasia e l’immoralità della manipolazione genetica. La Bioetica cattolica, in particolare, sostiene che ciascun essere umano ha il diritto/dovere alla vita, intendendosi, con questa definizione, la forma di vita umana dal momento del suo concepimento a quello della sua morte naturale. Questo, però, è un altro discorso.
Concludo con un pensiero del grande poeta portoghese nato a Rio de Janeiro Paulo Coelho. “Sogna ciò che ti va; vai dove vuoi; sii ciò che vuoi essere, perché hai solo una vita e una possibilità di fare le cose che vuoi fare”.
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