C’è poco da ridere!
Ho avuto modo, ultimamente, di rivedere il film di Mario Martone con Toni Servillo: Qui rido io. L’argomento trattato fa rifermento alla vita di Eduardo Scarpetta considerato l’ultimo attore della Commedia dell’Arte nonché commediografo e attore del Teatro Napoletano tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900. Il racconto ha mostrato i lati più intimi del personaggio, le relazioni amorose con diverse donne, i figli concepiti tanti da non conoscerne il numero esatto, il contatto con il pubblico che lo acclamava in nome di una rivincita in forma prosaica della propria condizione di vita misera in cui molti versavano. Insomma, certamente, un’analisi poco rassicurante per un attore-autore di lavori importanti che sarebbero sfociati poi, suo malgrado, in una morte/rinascita del teatro.
Le scene del film si susseguono in modo sincopato seguendo la recitazione di Toni Servillo alias “Scarpetta” che si compiace della sua vita agiata che, con gli introiti delle rappresentazioni, riesce a permettersi ed a permettere alla sua grande famiglia che oggi diremmo allargata.
Il ritratto che ne scaturisce è quello di un uomo molto avido, ansioso, che ingurgita e divora tutto ciò che la vita gli offre cosicché, preso da questa smania, si allontana dalla sua vera passione e diventa dipendente da essa solo per procurarsi ricchezze e ottenere così il consenso degli altri per giustificare una vita immorale quale la sua.
Le sue donne e i figli diventano per Lui persone da gestire a favore di un teatro che, a poco a poco, perdeva di interesse anche da parte degli stessi figli che lo contestavano avvertendo la necessità di trovare altre strade come, ad esempio, quella del cinematografo. “Io Pulcinella l’ho ucciso” gridava Scarpetta al primo dei suoi figli, il quale non godeva di grande considerazione da parte del padre che pretendeva da lui nient’altro che la continuazione pedissequa del personaggio da lui creato quale “Felice Sciosciammocca” ma il momento, a cavallo tra due secoli, richiedeva altro e il figlio più giovane avvertiva nell’aria l’imminente necessità di un salto di qualità.
Un incontro, forse il più significativo ed importante, è quello che riesce ad ottenere con il Vate Gabriele D’Annunzio. Questi, personaggio completamente diversi da lui, e lontano dal suo teatro napoletano così verace, amante anch’esso della bella vita ma con prospettive e modi di vivere agli antipodi di quelli di Scarpetta lo deluse, non solo ma gli causò molti problemi anche dal punto di vista penale. Infatti egli fu accusato di vilipendio per aver parafrasato un lavoro del D’Annunzio ricavandone una farsa ridicola a discapito del testo originale ciò coincise con l’inizio della sua decadenza, in Tribunale egli si difese mettendo in scena se stesso e usò la sua capacità attoriale per incantare ancora una volta il suo pubblico.
Come affermato precedentemente egli ebbe molti figli, tra questi sono da annoverarne in particolare tre a cui non diede mai il suo cognome, ma che poi avrebbero ereditato quello della madre: De Filippo. Titina, Eduardo e Peppino questi i tre figli naturali di Scarpetta i veri eredi essendo essi figli d’arte che hanno coltivato l’amore per il teatro custodito nel loro DNA. Nella versione filmica il più piccolo dei tre Peppino, viene presentato come un bambino discolo, ribelle, che non voleva adattarsi alla vita di città, dal momento che per ragioni logistiche era stato in campagna a balia presso dei contadini che si presero cura di lui.
In una scena laddove il piccolo Peppino si rifiutava di recitare una parte in nome della sua libertà attirandosi le ire del padre, il fratello Eduardo lo afferrò e indicandogli il palcoscenico gli disse: Questa è la nostra libertà! Questa frase fu per Peppino profetica e da quel momento la sua carriera di attore fu segnata da applausi e consensi tantoché ancora oggi, lo rivediamo nelle vecchie pellicole con ammirazione Tutto cambia per cui anche il teatro che è al passo con la vita non può non comprendere quando è il momento di cambiare rotta!
Ad Maiora!
SEGNALIAMO