QUOUSQUE TANDEM

Appare straordinariamente contemporaneo l’incipit della prima Catilinaria ciceroniana che si può tradurre semplicemente con “ma sino a quando?”.

Quel che colpisce nella sua aderenza alla fase che stiamo vivendo è che, a parte la potenza oratoria (ma è Cicerone, mica Beppe Attene) il grido di insofferenza che oggi ci caratterizza non proviene da una parte specifica contro un’altra ma si estende orizzontalmente su tutti e contro tutti i partecipanti al tragico gioco.

Tutti, proprio tutti: entità collettive, aree politiche e culturali, singoli cittadini.

Qualcosa di profondo deve essere successo per giustificare questa incredibile insofferenza collettiva che pervade ognuno contro qualcuno e non lascia indenne nessuno.

A un mondo popolato da qualche “vincitore” e molti vinti sta facendo seguito un tessuto organico di “fregati”, nessuno dei quali sembra in grado di portare avanti le sue idee e i suoi bisogni. Giusti o sbagliati che siano.

Ma sino a quando la nostra Nazione potrà sopportare di vedere venduta la sua rete di comunicazione TIM a un colosso americano diretto dall’ex capo della Cia?

E sino a quando sopporterà che a compiere questa dismissione strategica sia un governo di centro destra, che in teoria avrebbe dovuto fare il contrario?

Si potrà certo dire che se non lo avessero fatto i post fascisti lo avrebbe fatto D’Alema ma, in fondo in fondo, da un post comunista te lo saresti anche aspettato.

E sino a quando dovremo accettare di vedere la politica internazionale ed europea condizionata e indebolita dai deliri di un leader politico che non soltanto danneggia l’Italia ma contemporaneamente offende e deride i suoi stessi elettori?

Mai si sarebbe potuto pensare di dover rimpiangere la vecchia e cara Lega del Nord di bossiana memoria.

Sino a quando? urlano oggi quegli elettori e quelle terre italiane così importanti e significative..

Sino a quando l’incompetenza e la orgogliosa ignoranza saranno legittimate ad operare nel qui ed ora ai danni di tutti noi?

Ce lo dissero, un giorno, che “uno vale uno” ma ci illudemmo che fosse un astratto principio democratico legato alla cabina elettorale e non un principio di assegnazione di ruoli e di incarichi.

E sino a quando la vecchia base popolare della sinistra italiana dovrà sopportare di essere ridotta, nei suoi valori e nella sua storia, alle pur giuste “battaglie” LGBTQIA+, abbandonando o dimenticando per la strada il valore di un progetto complessivo di riorganizzazione della società?

E chi nei partiti (di sinistra, di destra e di centro) ha creduto e si è riconosciuto come potrà ancora digerire di vederli scomparire nelle nebbie delle chat, nelle polemiche strumentali, dei cambi di posizione da un giorno all’altro senza preavviso?

Non per molto, credetemi, staranno buoni. Il grido “ma sino a quando dovremo sopportare” riecheggia ovunque per le strade d’Italia.

Lo gridano i giovinastri fascisti che fanno il saluto al Duce e picchiano il giornalista di passaggio.

Lo gridano a chi hanno portato al potere e ora guarda altezzosamente da un’altra parte senza riuscire a dire una parola chiara, senza assumersi alcuna responsabilità.

Lo grida, nei suoi modi più compiti, l’elettorato di centro che vede un governo da esso sostenuto sbagliare qualunque passaggio tattico a Strasburgo nel nome di un segnale di destra che viene evocato senza che sia mai esistito.

Lo grida l’elettorato di sinistra, abituato consapevolmente al governo, che vivacchia stretto in un’alleanza fittizia, unificato soltanto dal richiamo all’antifascismo.

Lo gridano tutti, esposti in una dialettica inventata tra fascismo tornante (che non c’è) e antifascismo militante (che, ovviamente, non c’è neanche lui).

Ma lo grida, soprattutto, la maggioranza dei non votanti a cui va aggiunta la percentuale dei “votanti a vela” che cambiano bordo giusto per vedere come va a finire.

Ignorando, volutamente forse, che proprio il navigar di bolina ha bisogno di un punto di arrivo predeterminato e preciso.

Ma, già, dove trovarlo?

Il distacco tra la società civile e la sua espressione politico – istituzionale sta dilagando su tutti i versanti che garantivano comunque la continuità del rapporto su cui si fondava l’esistenza e la vita del nostro Stato – Nazione.

Il sistema informativo, inoltre, ha purtroppo imparato ad inseguire soltanto la polemica di breve respiro, evitando accuratamente qualunque richiamo a questioni strutturali o strategiche.

Ognuno dà la colpa a qualcun altro e via ad andar così

Quel che rende gravissima questa condizione italiana è la sua casuale (?) corrispondenza con la più grande fase di transizione che il mondo intero sta affrontando da diversi decenni a questa parte.

Di fronte alla finanziarizzazione dell’economia unita alla mondializzazione del mercato la classe dirigente italiana (soprattutto nella sua porzione politica) risulta totalmente impreparata, pronta solo a dar la colpa all’altro. Proprio come nelle coppie in crisi.

È evidente che nessuno, proprio nessuno, sta dicendo la verità ai cittadini.

Tutti temono di perdere, nel dirla, un poco dell’inconsapevole consenso che ancora rimane.

Prendersela con le responsabilità degli altri è la via più semplice per reggere ancora un giorno e poi si vedrà.

Era il lontanissimo 63 avanti Cristo quando Cicerone, il console Cicerone, si trovò a dover fronteggiare la congiura di Catilina.

Scelse la chiarezza e il coraggio.

A noi non rimane che sperare che qualcuno assuma con decisione le proprie responsabilità e operi, dal suo punto di vista, per il bene dell’Italia.

E, comunque, ci sosterrà ancora la potenza espressiva di Cicerone, spingendoci ad urlare “O tempora! O mores!”.

No, meglio sperare che non ci si arrivi.


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