Nella primavera del 2007, il Comune di Roma, su iniziativa del sindaco Walter Veltroni, decise di dedicare un viale di Villa Borghese ad Antonello Trombadori. Erano passati quasi quindici anni dalla sua morte. Dopo quel meritato riconoscimento, sembrava che la damnatio memoriae che aveva colpito Antonello fosse venuta meno, invece no, il nome di questo straordinario protagonista della nostra storia recente cadde nuovamente nel dimenticatoio. Io stesso quel nome lo avevo sentito pronunciare solo in rarissime occasioni.
Nel 2017, un caro amico, Matteo Smolizza, mi mise in contatto con Mario Fiorentini, comandante dei GAP (Gruppi di Azione Patriottica) durante l’occupazione nazista di Roma. Io e Mario diventammo amici e molto spesso, durante i nostri incontri, lui era solito dirmi che avrei dovuto scrivere un libro sul suo amico Antonello, che dei GAP centrali era stato ideatore e organizzatore. L’argomento mi affascinava molto. Quasi per gioco un giorno dissi a Duccio, figlio di Antonello, che avrei voluto buttar giù un ritratto di suo papà. Duccio si dimostrò estremamente generoso nei miei confronti incoraggiando il mio progetto e mettendosi a disposizione per eventuali chiarimenti. Mi consigliò anche di contattare sua zia Donatella, sorella di Antonello, che si dimostrò altrettanto disponibile. La vita di quest’uomo si rivelava ai miei occhi come un romanzo d’avventura: bersagliere, eroe di guerra sul fronte greco-albanese, prigioniero a Regina e Coeli prima e via Tasso poi, confinato politico, patriota militante partigiano durante l’occupazione nazista della Capitale, politico e intellettuale nel dopoguerra, vero e proprio “eroe del nostro tempo”, che ha vissuto al centro della vita pubblica del suo paese per più di mezzo secolo, in un rapporto diretto e osmotico con gli artisti e gli uomini di cultura più significativi, influenti e rappresentativi dell’Italia del Novecento. Nonostante questo, Antonello è stato capace di mantenere intatto per tutta la vita un animo di fanciullo. Lealtà, coraggio patriottismo, senso di appartenenza sono stati tratti peculiari del suo carattere.
Ma soprattutto Antonello è stato un libero pensatore, che amava distinguersi dalla massa, e che mal riusciva a tenere a bada le sue idee nel circuito chiuso delle regole e delle convenzioni fissate dal suo stesso partito politico.
Togliattiano della prima ora, con il leader comunista condivise l’idea di costruire in Italia una democrazia capace di promuovere e introdurre graduali riforme dell’ordinamento economico, politico e sociale. Fu proprio per questo motivo incline a condividere l’impulso rinnovatore di Giorgio Amendola già dagli anni Sessanta.
Le sue prese di posizione così “eterodosse” rispetto alle posizioni ufficiali del PCI, gli valsero una crescente insofferenza e incomprensione del gruppo dirigente che finì con allontanarlo e tenerlo ai margini degli incarichi rappresentativi di partito e di maggiore responsabilità. Così fu anche quando entrò in polemica contro l’estremismo di sinistra presente tra gli studenti e gli operai, suscitando reazioni di aperta ostilità nella sinistra extraparlamentare e nelle stesse file del PCI. Controcorrente Antonello fu anche quando affrontò i temi del femminismo, dell’aborto, e quello economico sociale della “scala mobile”, che favorì una netta spaccatura sindacale tra istanze del socialismo riformista e la rigidità del partito comunista. Per questo, all’inizio degli anni Ottanta, scelse di non ricandidarsi deputato di quella organizzazione nella quale era ormai da molti ritenuto un rappresentante del passato, lui che forse in quel momento più di chiunque altro aveva lo sguardo proiettato al futuro.
Cito qui un breve brano, tratto dal mio libro “Antonello Trombadori una vita partigiana”, in cui ancora una volta Antonello dimostrò di essere fuori dagli schemi precostituiti:
Un episodio emblematico su tutti fu quando scoppiò il turbolento e controverso “caso Pinelli” (1972). In quell’occasione drammatica, che coalizzò quasi interamente l’opinione pubblica a puntare il dito contro il presunto responsabile del “suicidio” dell’anarchico milanese, indicato nel commissario Calabresi, Antonello fu tra i pochissimi uomini della sinistra italiana ad astenersi dall’esprimere condanne sommarie (vedi la famosa lettera degli intellettuali pubblicata da «L’Espresso»).
Antonello vedeva lontano partendo dall’analisi acuta del presente. La sua lungimiranza gli permetteva di avanzare proposte innovative corrispondenti all’esigenza dei tempi piuttosto che alla regola dell’ideologia. Cito ancora una volta un passo dal mio testo:
Di questa libertà creativa, in campo politico, sentiva estrema necessità Trombadori quando predicava, quasi isolato e inascoltato, l’urgenza di andare a ricongiungere le anime divise del movimento operaio e socialista italiano fin dal 1921, in nome di una ricomposizione unitaria di PCI e PSI in versione riformista e socialista democratica.
Trombadori, all’inizio degli anni Novanta, in una lettera scritta e mai spedita all’amico di sempre, Paolo Bufalini, confesserà di considerare ormai conclusa la sua esperienza comunista. Gravemente malato si spegnerà il 19 gennaio del 1993.
Oggi più che mai si sente il bisogno di uomini come Antonello, intellettuali capaci di proporre idee e politici in grado di realizzarle. Leader carismatici, in grado di proiettarsi e proiettare le masse che sono chiamati a governare nel futuro e non a condannarle a vivere in un eterno presente.
La speranza è che questo mio piccolo lavoro su una persona che per tutta la vita si è battuta per costruire un mondo migliore possa far scattare, soprattutto nei giovani lettori, la consapevolezza che la libertà non è scontata e che se oggi noi possiamo goderne è perché ci sono state persone, come Antonello, che si sono battute per donarcela. Questo perché è soltanto conoscendo il valore di ciò che possediamo che impariamo a volerlo difendere.
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