RITRATTO DI ENRICO MONTESANO

di Giancarlo Governi

Ho pensato di scrivere per Mondo questo ritratto di Enrico Montesano perché da un po’ di tempo ne abbiamo perse le tracce, dopo un “incidente” che lo fece sospendere dal programma Ballando con le stelle, per motivi che non si sono mai chiariti. Spero con questo articolo affettuoso di stanarlo dal suo “rifugio” e di riportarlo alla ribalta, perché gli spettatori italiani ne sentono l’assenza e ne hanno nostalgia.

Enrico Montesano è nato il 7 giugno del 1945 a Roma nel popolare quartiere della Garbatella quando la guerra è finita da poche settimane ed è scoppiato il dopoguerra. A Roma con alcuni mesi di anticipo rispetto all’Italia del Nord. Insieme al dopoguerra sono scoppiati la voglia di vivere e il desiderio di dimenticare e di divertirsi.

La Garbatella fu costruita all’inizio degli anni Trenta per dare un tetto ai romani che abitavano nelle case che erano cadute vittime degli sventramenti mussoliniani, per creare quella che fu pomposamente chiamata la Via dei Fori Imperiali. E’ un quartiere gentile, costruito a misura d’uomo, con forme architettoniche aggraziate e strutture urbanistiche che favoriscono l’aggregazione sociale, tanto da essere oggi considerato quasi un quartiere di lusso.

In questa zona della Garbatella, al numero 32 di Via Vettor Fausto è nato Enrico Montesano, figlio primogenito di un ragioniere e di una casalinga, e in questo cortile ha giocato ed ha vissuto i primi momenti di gioia.

Ma la gioia e la spensieratezza dell’infanzia sono bruscamente stroncate dalla morte della mamma, che lascia due bambini in tenera età : Enrico che ha otto anni e il fratellino Giancarlo, nato tre anni dopo. Il padre non può assumersi l’onere di crescere i due bambini. Toccherà ai nonni paterni, che abitano a Via in Selci.

Via in Selci, un altro mondo, un’altra Roma, più cittadina, che non ha previsto spazi per i giochi dei bambini, ai quali è riservata la strada. Ma è una Roma paciosa, tranquilla, che non è stata ancora soffocata dal traffico e dalle lamiere delle automobili in sosta. Qui andranno ad abitare i piccoli Enrico e Giancarlo, nella casa dei nonni paterni.

La nonna Bianca era attrice d’operetta ed abbandonò il teatro per occuparsi dei nipotini.

Nonno Enrico continuerà ancora per anni la sua attività di apprezzato direttore d’orchestra nelle operette. Questo nonno, quasi sempre in viaggio, diventerà il punto di riferimento di Enrico che si può dire abbia ricevuto da lui la passione per lo spettacolo.

Ma la nonna era troppo anziana per badare ai due ragazzi che furono messi in collegio.

Enrico andò al collegio Santa Maria in Aquiro di Piazza Capranica dove vi trascorse tutti gli anni della scuola.

Il distacco dalla famiglia ed anche dal fratello Giancarlo gli pesarono molto. Da quel giorno iniziò una nuova vita scandita dagli orari, dai trilli della campanella. Nelle camerate e nei refettori dove mangiare e dormire insieme. Ma la severità di questa vita fu mitigata dalla amorevole cura dei padri somaschi, dall’ambiente confortevole e dalla vita comune con tanti coetanei con cui misurarsi e confrontarsi. E soprattutto, crescere insieme.

In quel collegio c’è un teatrino da cui Enrico è fortemente attratto e ben presto sale sul palcoscenico. Come protagonista de La Giara di Pirandello, nella parte di Zì Dima, che è entrato nella giara rotta per ripararla e vi è rimasto dentro.

A grande richiesta ci fu anche un terzo tempo dove Enrico si esibì nelle imitazioni dei personaggi più popolari dello spettacolo ma anche dei padri somaschi e degli insegnanti.

Dopo il collegio Enrico andò a studiare al Portico d’Ottavia, proprio nel cuore dell’antico ghetto ebraico, con i suoi vicoli angusti, le sue piazzette eleganti, le case cresciute addosso ai resti archeologici di una antica civiltà.

Qui conobbe, e imparò ad apprezzare e anche ad amare, questo antico popolo di Roma, con le sue tradizioni, e il suo linguaggio forte e colorito. Enrico fece i tre anni della scuola media alla Ugo Foscolo e poi, siccome era bravo in disegno, fu avviato all’istituto tecnico per geometri Quintino Sella.

Negli anni Sessanta è tutto un fiorire di cabaret, a Milano, a Roma ma anche a Bologna, Torino e altre città. Che cos’è il cabaret? E’ un locale, di solito molto piccolo dove gli spettatori stanno a contatto di gomito e di ginocchio, di fronte ad un minuscolo palcoscenico, dove si esibisce una persona per volta in numeri musicali o in monologhi comici, quasi sempre sul versante satirico. C’è la satira di sinistra, c’è quella di destra, c’è quella sociale. Nei cabaret si respira aria di libertà e di trasgressione ma soprattutto è in queste minuscole e scomode cantine che nascono quasi tutti i nuovi comici che domineranno negli anni Settanta.

La maggior parte dei cabaret durano lo spazio di un mattino ma alcuni rimangono per anni, come il Derby a Milano, e come il Bagaglino a Roma, che prima di andare a insediarsi nel vecchio Salone Margherita, stava a Via della Campanella, e il Puff di Lando Fiorini, che prima stava a Via dei Salumi.
Negli anni Settanta la radio non è diventata ancora un missaggio di musica e parlati ma produce grandi spettacoli di varietà. Il più importante è Gran Varietà la cui sigla è molto popolare.

A Gran Varietà hanno partecipato tutti i grandi comici italiani. Persino Alberto Sordi vi ha riproposto, dopo più di venti anni, il Conte Claro e Mario Pio. E’ comunque più semplice menzionare chi non vi partecipò.

Montesano agli inizi degli anni Settanta è un comico giovane già affermato e quindi gli autori di Gran Varietà non possono non accorgersi di lui.

Per l’occasione mette a frutto le sue grandi capacità di imitazione e di trasformazione per creare personaggi nuovi, molto distanti da Felice Allegria, il personaggio d’esordio.

Nel 1967 nasce alla Rai di Milano un programma di varietà straordinario, e nuovo per la televisione di quell’epoca. Si chiama Quelli della Domenica e raccoglie quanto di meglio hanno proposto i cabaret di tutta Italia in fatto di comici. Il varietà diventa ben presto il punto di arrivo ed anche il punto di partenza verso una popolarità nazionale. Nelle tre edizioni che si sono susseguite, Quelli della Domenica fa conoscere ai telespettatori Cochi e Renato, Enrico Montesano, Pippo Franco, Pino Caruso, Ric e Gian e, soprattutto, Paolo Villaggio, a cui viene affidata la conduzione del programma.

Enrico Montesano è nato a Roma) ma la romanità non ha pesato molto sulla tua formazione, come invece fu per Aldo Fabrizi, ad esempio, perché seppe staccarsene ben presto per rivolgersi verso un tipo di comicità meno individuabile e limitata, spesso derivata dai classici del cinema muto, da Chaplin ma anche da Totò.

Comunque gli inizi sono romani. Con il personaggio di Felice Allegria, un tenero bulletto di periferia che racconta le sue disavventure e che Montesano, prima di portare in televisione, aveva sperimentato nel cabaret romano, il Puff di Lando Fiorini.

Il personaggio di Felice Allegria ben presto si evolve attingendo alla grande tradizione del varietà napoletano e quello romano di Petrolini e Montesano si rivelò attore completo, capace cioè di usare il gesto, il travestimento, la voce, il canto ed anche i movimenti coreografici.

Studiò i grandi del cinema muto e si dedicò ad una comicità costruita, grazie ad un paio di trasmissioni televisive memorabili: Io non c’entro e Quantunque io.

Le sue capacità mimetiche e l’occhio allenato a cogliere gli spunti dalla realtà quotidiana permisero a Montesano di mettere a fuoco una vasta galleria di personaggi, che riesce a caratterizzare non soltanto nella voce, ma anche nei tic, e finanche nell’abbigliamento curato nei minimi particolari.

Galleria di personaggi: Dudù e Cocò, Zia Sally, La romantica donna inglese, e due personaggi più recenti presi direttamente dalle televisioni locali : i maghi e i venditori, di cui capostipite dobbiamo considerare Vanna Marchi.

Anche al cinema, dove ha interpretato una cinquantina di film alcuni dei quali di un certo rilievo, e soprattutto in teatro, Montesano ha dato prove di grande maturità artistica, con alcuni musical memorabili. Il primo fu Rugantino, che ereditò da Nino Manfredi che lo aveva interpretato 15 anni prima, poi vennero Bravo, Se il tempo fosse un gambero e Beati voi, fino ai recenti Il Marchese del Grillo e Il conte Tacchia.

E poi per Enrico Montesano arrivò il cinema, la grande aspirazione per un attore. Arrivò per ben 53 volte, con film di, cassetta, film di qualità e film popolari. Ci fu anche una regia. Ha avuto la possibilità di lavorare con grandi compagni come Gigi Proietti e come Carlo Verdone, di essere diretto da registi come Mario Monicelli, come Steno, come Pasquale Festa Campanile e come Giorgio Capitani. Ma l’avventura cinematografica iniziò ben presto, grazie all’intuito del grande produttore Dino De Laurentiis.

Nella storia del cinema c’è stata una grande coppia comica, quella di Stanlio e Ollio. Da allora tutti i produttori hanno sognato di inventarne un’altra.

Dino De Laurentiis mette Enrico Montesano in coppia con Alighiero Noschese, il principe degli imitatori, l’uomo dai mille volti e dalle mille voci.

Nella filmografia di Enrico Montesano ci sono anche dei film che sono entrati nell’immaginario nazionale o come si usa dire fra gli appassionati di cinema addirittura dei cult movie. Come Aragosta a colazione, una scatenata farsa cinematografica…

Come I due carabinieri, in cui fu in coppia con Carlo Verdone….O come Febbre da cavallo, diretto da un maestro del cinema comico come Steno, in cui in coppia con Gigi Proietti, interpretava l’irresistibile personaggio del Pomata.

Nella filmografia di Montesano ci sono anche ruoli drammatici. Il più importante è Il ladrone, la storia di un imbroglione che viene soggiogato dalla figura di Gesù e finisce crocefisso sul Golgota accanto a lui.

La comicità di Montesano è istintiva, perché, pur appartenendo alla categoria dei comici normali, quelli cioè che non hanno la faccia da comici, è un comico naturale, ma nella sua comicità si sente anche la grande lezione dei comici del muto ma anche dei comici inglesi che nei nostri anni hanno studiato la comicità nei suoi meccanismi complessi, primi fra tutti i Monthy Phyton….Marty Feldman,  Igor in Frankestein Junior…. e Benny Hill, le cui comiche hanno resistito per venti anni nelle televisioni di tutto il mondo.

L’occasione per mettere a frutto la lezione dei maestri gli fu offerta dalla televisione con il programma Quantunque io, basato non su una comicità tradizionale fatta esclusivamente di parola, ma su una comicità quasi costruita in laboratorio come si faceva per le comiche classiche.

Un esempio mirabile di comicità costruita è lo sketch dell’orchestra. Il suo grande predecessore Totò amava calarsi nei panni del direttore. In questo sketch, realizzato per Io non c’entro, Montesano va oltre: fa tutti gli orchestrali.

Nel 1976 Enrico Montesano realizza un sogno. La meta di tutti i comici italiani: Garinei e Giovannini e il Teatro Sistina

Rugantino ebbe grande successo e fu replicato per due anni. Alla fine, riuscirà a interpretare bel 12 spettacoli per il Sistina diventandone il re

Negli anni della maturità Montesano mise a frutto la sua grande esperienza e la sua capacità di cogliere i caratteri e si mise a creare una vasta galleria di personaggi, che riesce a caratterizzare non soltanto nella voce, ma anche nei tic, e finanche nell’abbigliamento curato nei minimi particolari.

Sono tutti personaggi nati dall’osservazione della realtà che andranno ad arricchire la galleria dove già si trovano Felice Allegria, Dudù e Cocù, Zia Sally e la romantica donna inglese.

Ma il personaggio che conquista le platee di tutta Italia è Torquato il pensionato, un simpatico e arzillo vecchietto, arrabbiato e contestatore.

Vi abbiamo presentato le mille facce di un grande comico.

Di un attore completo che sa usare con grande sapienza il gesto, il travestimento, la voce, il canto ed anche i movimenti coreografici. Capace anche di rifarsi ai grandi esempi classici e di essere nello stesso tempo innovatore.