La politica come scienza filosofico-sociologica, Parte 15esima
C’è un altro aspetto peculiare della conoscenza della politica e nella politica, che fa parte integrante dell’esperienza politica, sia dei governati che dei governanti, ed è rappresentato da quella razionalità pratica che sta all’origine delle – e si perpetua nelle – istituzioni, vere e proprie sedimentazioni (storiche) di questo sapere pratico, inteso come sapere immanente o intrinseco alla prassi o esperienza politica, presa e intesa nella sua globalità, che, quindi, abbraccia il senso comune: senza il determinante contributo di quest’ultimo non si potrebbe spiegare il fenomeno delle “istituzioni” sociali e politiche (e non si dimentichi mai che il cosiddetto “senso comune” è il senso/ragione dell’“uomo comune”, e l’uomo comune è l’individuo-persona che convive con gli altri “individui-persone”, cioè l’individuo sociale e contestualmente razionale/volontario, dotato, insomma, di libero arbitrio).
La relazione politica è intrinsecamente e contestualmente relazione istituzionale in sé stessa e deve fare continuamente i conti con le altre istituzioni (sociali, economiche, culturali, religiose, ecc.; quanto alle “istituzioni politiche” in senso tecnico, si tenga presente l’analogia con i “poteri politici” o “organi” – legislativo, esecutivo, giudiziario – rispetto al potere politico tout court). La relazione istituzionale per eccellenza è la legge o, meglio, il diritto.
La massima istituzionalizzazione della politica corrisponde alla massima estensione del potere (come nella poliarchia-democrazia), nel senso della sua “spersonalizzazione” che, così, diventa sinonimo di “istituzionalizzazione” (e sempre tenendo presente il rovescio della medaglia, il rischio, cioè, che l’estensione del potere con l’allargamento dell’élite e l’appesantimento dello Stato amministratore si rovesci, appunto, in aumento complessivo del potere politico stesso, ma storicamente il discorso si iscrive in un quadro più generale che riguarda la proiezione dello spirito progressista ad infinitum tipico del sistema dello sviluppo).
L’estensione del potere non significa, però, la sua diluizione. Infatti, all’allargamento dell’élite (ai rappresentanti delle classi popolari) corrisponde l’aumento complessivo del potere di governo: aumento che non va inteso solo in senso quantitativo, cioè in riferimento al numero (anche indiretto) dei governanti ma pure delle funzioni e dei ruoli attraverso cui esso opera, dall’apparato amministrativo in senso ampio (burocrazia statale, fiscale, ecc.) a quello cui è affidato l’ordine e la sicurezza collettiva (sicurezza anche nel senso “sociale”).
Questo allargamento dell’ombrello del potere non è meno pesante e oppressivo, anche se più morbido, per il singolo cittadino di quanto lo sia il potere personale di un monocrate o autocrate (il tiranno): è quella che si potrebbe definire, sfruttando e parzialmente travisando un concetto tocquevilliano, la “tirannide della maggioranza” (intesa in senso ampio, tecno-burocratico, per un verso e, per l’altro, nel senso delle organizzazioni di massa non solo economico-sociali ma, specificamente, civili: dai partiti ai sindacati).
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