SCIENZA (SCIENZE) E FEDE: CONFLITTO O CONFLITTI?

Nella Lettera a Madama Cristina di Lorena, che è uno dei massimi documenti della scienza moderna, Galilei, nell’ambito di una complessa argomentazione volta a dimostrare la non contraddittorietà del sistema copernicano con la teologia cattolica, si domanda come sia possibile che una teoria scientifica (astronomica, per essere precisi) possa essere accusata di eresia. Nella visione galileiana, infatti, le verità scientifiche adeguatamente dimostrate (con sensate esperienze e necessarie dimostrazioni) non sono materia de fide, e pertanto non hanno nulla a che vedere con quanto è scritto nelle Sacre Scritture, il cui scopo – ribadisce più volte lo scienziato pisano – non è quello di istruire gli uomini su questioni naturali, ma di assicurare ad essi la salute dell’anima.

Secondo Galilei è impossibile che tra le verità scientifiche e quelle teologiche insorga mai una qualche forma di contrasto, perché entrambe riguardano due libri, quello della Natura e la Bibbia, entrambi scritti dal medesimo Autore, Dio.

Questi due libri, per quanto si configurino come due strade maestre verso la trascendenza, concernono però ambiti separati afferenti a domini epistemologicamente ed ontologicamente differenti. Se è vero che, nel caso specifico, la sostituzione del sistema copernicano a quello tolemaico poteva ancora preservare la possibilità di dichiararsi cristiano e credente, la situazione appare del tutto diversa per altri settori della scienza in cui le visioni di taluni scienziati spesso finiscono per (di)mostrare come non tutte le teorie scientifiche permettono allo scienziato di mantenersi saldo nell’ortodossia cristiana, quantomeno non a livello della sua coscienza.

Nella bolla Apostolici Regiminis (Concilio Lateranense V, 1513) era fatto obbligo per i professori di filosofia di contraddire se stessi qualora le loro teorie e le loro conclusioni risultassero in contrasto con i principi della fede cristiana. Non si trattava di un’ingerenza della teologia nel merito dei procedimenti specifici della filosofia, ma semplicemente di un intervento ‘esterno’, per così dire, poiché essa difatti si determinava soltanto sulle conclusioni dei procedimenti filosofici.

Si trattava di una fallacia epistemologica assai evidente, o almeno risulta tale per noi oggi, abituati ad una scienza che progredisce in piena autonomia coerente soltanto con i suoi presupposti metodologici. Tutto ciò, però, era in qualche modo giustificato dal fatto che tutte le verità particolari delle discipline non teologiche non avrebbero mai potuto porsi in reale contraddizione con la verità massima e saldissima della teologia, che vede in Dio il suo centro, il suo culmine e il suo fondamento.

Stante così le cose la teologia poteva dunque valutare, pur da un punto di vista esterno alla filosofia, le sue conclusioni. La docilità dei filosofi naturali, e quindi dei primi scienziati, venne meno quando si comprese che i risultati e le conclusioni dell’indagine razionale non potevano essere contraddette da quegli stessi scienziati che riconoscevano la giustezza dei procedimenti specifici della nuova scienza (sperimentale). Sembra dunque, a partire da questa prospettiva, che sia davvero impossibile riuscire ad evitare che tra la scienza e la fede possano nascere dei conflitti più o meno radicali.

Se infatti ci sono teorie scientifiche che mantengono una certa neutralità nei riguardi della religione (e la questione copernicana, in fondo, poteva vantare questa neutralità come giustamente ribadisce lo stesso Galilei) ci sono invece altri settori della scienza in cui diventa davvero difficile armonizzare la fede dello scienziato con le teorie che, in sede scientifica, sostiene. Penso, ad esempio, alle punte più estremiste (materialismo ed eliminativismo) della ricerca neuroscientifica che, sulla base di certi dati sperimentali si muovono all’interno di un paradigma antropologico completamente contrapposto, ad esempio, all’immagine cristiana dell’uomo.

Penso anche alle difficoltà di poter armonizzare le idee della biologia evoluzionista con alcuni ben determinati principi della teologia creazionista cristiana. In queste circostanze l’argomentazione galileiana diventa davvero assai problematica, nella misura in cui le conclusioni scientifiche risultano davvero in evidente contrasto con quanto, nell’ambito della medesima coscienza dello stesso scienziato, la sua fede gli suggerisce con forza di credere. Ci sono, quindi, teorie scientifiche marginali (e con ciò non intendo affatto sminuire il valore di tali teorie) rispetto agli assunti della fede, e teorie invece che la toccano più da vicino. Le teorie che ho definito marginali sono quelle che non determinano, quindi, un’immagine del mondo che si pone in immediato contrasto con la Weltanschauung cristiana. Sono teorie, si potrebbe ancora dire, che non incrociano affatto l’orizzonte esistenziale dell’essere umano, e quindi si configurano come spiegazioni parziali e settoriali di porzioni di realtà.

Tutto ciò suggerisce, quindi, in primo luogo la necessità di indagare di volta in volta la natura del conflitto tra i principi della fede e la specifica teoria scientifica in gioco e in seconda battuta invita anche ad abbandonare l’idea – a ben vedere infondata – di un generale e totalizzante conflitto tra una scienza, immaginata come un unico blocco monolitico priva di distinzioni e la fede cristiana.


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