Eccentrico, arrogante e insofferente verso la scuola, così è descritto dai compagni e dai professori Sergej Prokofiev.
Ma bravissimo; tanto è vero che passa l’adolescenza a vincere concorsi di pianoforte a destra e a sinistra.
Comincia presto anche lui, sotto la tutela della madre, una discreta pianista dilettante, la quale, convinta del suo talento, a un certo punto lo porta a San Pietroburgo per studiare musica seriamente. Qui entra, anche se di parecchi anni più giovane degli altri studenti, al conservatorio, dove però baruffa spesso con gli insegnanti a causa del suo stile troppo moderno e del carattere aggressivo.
Nel 1907 incontra Stravinskij che riconosce immediatamente in lui un suo simile. Nasce un rapporto di amicizia, stima e, naturalmente, rivalità che li accompagnerà a lungo.
Nel 1910 muore suo padre e lo lascia senza un rublo. Per fortuna una piccola notorietà in arrivo, insieme ai primi diritti d’autore lo aiutano a non morire di fame.
In questo periodo vince il primo premio al Concorso Rubinstein, gara di altissimo livello, e compone il secondo concerto per pianoforte e orchestra, opera difficilissima e virtuosistica, che alla prima esecuzione provoca reazioni furibonde nel pubblico per la sua modernità.
Durante la prima guerra mondiale rientra al conservatorio per perfezionarsi all’organo. Scrive l’opera “Il giocatore”, ma le prove sono sospese e poi l’esecuzione salta definitivamente per lo scoppio della Rivoluzione d’Ottobre.
Subito dopo compone la sua prima sinfonia in stile classico, ispirato a Haydn. Tanto per non smentirsi Prokofiev dichiara che se Haydn fosse stato ancora vivo l’avrebbe scritta nello stesso identico modo.
Nel 1918, a 27 anni, lascia la Russia per Parigi, Londra, Chicago. Serie di successi, ma con alti e bassi. Compone ed esegue altre opere, finché comincia a nascergli dentro quella pericolosa nostalgia della patria che spesso colpisce gli esuli, specialmente quelli russi.
E allora, nel 1932 torna a casa, deciso a partecipare attivamente alla marcia trionfale del suo paese verso il sol dell’avvenire. Ma trova una realtà molto diversa da quella che si aspettava. Tanto per dargli il benvenuto viene accusato di formalismo e del declino della cultura da parte dell’Unione dei Compositori, onnipotente organo del regime.
A questo punto il povero Prokofiev ripiega sulla musica per bambini (è allora che nasce il famosissimo “Pierino e il lupo”) scrivendo, secondo le direttive dell’Apparato, melodie facili e orecchiabili.
Un altro bello schiaffone lo riceve nel ’38 quando la sua “Cantata per il XX anniversario della Rivoluzione d’Ottobre” viene solennemente bocciata dal Comitato per le Arti e non sarà mai eseguita. Anche la sua musica di commento per il film “Alecsandr Nevskij” subisce pesanti revisioni, imposte dallo stesso comitato, perché non sufficientemente patriottica.
Infatti, esaurita la distrazione rappresentata dalla Seconda Guerra Mondiale, il Partito, con la minuzia burocratica dei regimi, è tornato a occuparsi degli artisti; e ricominciano i guai.
La musica di Prokoviev viene di nuovo accusata di formalismo e di eresia.
Nel ’48 la sua ex moglie viene arrestata per spionaggio, poi muore il suo amico di una vita Miaskovskij e per finire il teatro Kirov cancella tutte le sue opere dal programma.
E’ la fine.
Ma di lì a poco accade quello che potrebbe essere un capovolgimento della malasorte: alle 10 di sera del 5 marzo 1953 muore Stalin.
Fine dei guai di Prokofiev? Macché: lo stesso giorno, solo un’ora prima, è morto anche lui. Quest’uscita di scena fuori tempo lo priva del giusto risarcimento dopo i maltrattamenti subiti dal Piccolo Padre; e oltretutto lo deruba di qualsiasi celebrazione perché le autorità impongono alla stampa di concentrare l’attenzione su Stalin, e di comunicare la notizia della morte del musicista solo una settimana dopo.
Al suo funerale ci saranno sì e no una trentina di persone.
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