Il grande Torino e la tragedia di Superga
Era il 4 maggio 1949,a Torino, collina di Superga. Poco dopo le 17, il rettore della basilica, padre Ricca, avverte un boato seguito da un lampo accecante provenire dalla parte posteriore della costruzione e si precipita col cuore in gola verso il giardino. Lo spettacolo che si presenta ai suoi occhi è agghiacciante. Un aereo si è infranto contro la parte posteriore della basilica: tutto sta bruciando e corpi umani, valigie, effetti personali, documenti, frammenti della carlinga sono sparsi tutt’intorno, in un silenzio appena rotto dalla pioggia.
Padre Ricca si rende conto che non può essere di aiuto a nessuno e si inginocchia recitando una preghiera e impartendo la benedizione. Ma a chi appartengono quei poveri corpi? Da dove venivano, e dove andavano, quei passeggeri? Appena arrivano i vigili del fuoco, la Croce rossa e le autorità si comincia a raccogliere ciò che resta di quei miseri resti e dei loro effetti personali: una maglia granata con lo scudetto tricolore sul petto, un passaporto intestato a Castigliano Eusebio, un paio di scarpette da calcio… Lentamente, l’atroce verità si fa strada: si tratta dei giocatori del Torino, di ritorno da Lisbona.
L’Italia apprende dalla radio la prima agghiacciante conferma, mentre i giornali approntano le edizioni straordinarie: a Superga sono morti in trentuno, tra giocatori, tecnici, dirigenti, giornalisti, membri dell’equipaggio.
Il dolore ferma l’Italia, la unisce in un abbraccio commosso e ai funerali partecipa una folla immensa, quasi settecentomila persone.
Ma come era nata questa straordinaria squadra di calcio che aveva vinto cinque scudetti consecutivi ?
Nasce negli anni della guerra, quando il presidente Ferruccio Novo, dall’augurale nome, imprime alla squadra la svolta vittoriosa, anche circondandosi di preziosi collaboratori, come il direttore tecnico ungherese Ernesto Egri Erbstein e l’allenatore inglese Lievesly. Novo attua una politica di acquisti spregiudicata : strappa Loik e Mazzola al Venezia, Menti alla Fiorentina, Gabetto alla Juve. Costruisce una squadra forte, durante la guerra ne protegge i giocatori facendoli lavorare nelle fabbriche di Torino per impedire che vadano al fronte e si ritrova con un gruppo di alto livello calcistico. Le loro figure, stampate sulle figurine, diventeranno le più popolari tra i ragazzi.
Ma chi c’era dietro a queste immagini sbiadite? Ecco, chi c’era.
Valerio Bacigalupo, 25 anni, portiere, nato a Vado Ligure, gioca prima nel Savona e nel Genoa, 157 partite, 3 in nazionale. Frequenta l’università perché vuole diventare medico. Nel suo portafoglio, a Superga, verrà trovata la foto del portiere della Juve Sentimenti IV, amico e maestro. Un dettaglio che ci parla di un momento in cui il calcio era davvero, ancora, umano e non solo un grande mercato all’insegna dei miliardi e di un diffuso cinismo imprenditoriale.
Aldo Ballarin, 27 anni, terzino destro, proviene dal Rovigo e dal Venezia, 210 partite, 9 volte nazionale.
Padre di due figli, porterà con sé il fratello Dino, portiere, a Lisbona, come premio, e a Superga moriranno in due.
Virgilio Maroso, il più giovane, 24 anni, terzino sinistro, nato a Marostica ma cresciuto nel Torino. 103 incontri, sette in nazionale, 4 scudetti. Corteggiatissimo, è considerato il bello della squadra. Si innamora di una ragazza, Carla Maria, che lo lascia e lo riprende, tanto che Novo la chiama nella sede del Torino e le dice: “Signorina, o lo lascia o lo sposa”. E lei lo sposa, ma il matrimonio dura solo 11 mesi.
Giuseppe Grezar, mediano destro, 31 anni, triestino, cresciuto tra gli alabardati, 5 scudetti coi granata, otto volte nazionale, 34 reti nella sua carriera. Grezar gestisce con Ballarin un negozio di abbigliamento nel centro di Torino, un modo per guardare oltre il calcio. Già, perché salvo Maroso e Bacigalupo, nessuno del Torino è più giovanissimo, la guerra ha fatto perdere loro gli anni migliori e bisogna pensare al dopo-calcio.
Mario Rigamonti, centromediano, 27 anni, nato a Brescia, 4 scudetti, 140 partite, 34 reti, tre presenze in azzurro. La sua grande passione è la motocicletta ma i numerosi incidenti lo consigliano ormai di muoversi più a piedi che sulle due ruote. Le gambe, in un calciatore, sono tutto.
Eusebio Castigliano, mediano sinistro, 28 anni, vercellese, quattro scudetti, 116 partite, 66 reti, 7 volte nazionale.
Romeo Menti, ala destra, 30 anni, vicentino, esploso nella Fiorentina, 4 scudetti, 131 partite, 53 goal, sette presenze in nazionale.
Ezio Loik, mezzala destra, fiumano, prima nel Milan, poi nel Venezia con Mazzola, 5 scudetti a Torino, 176 incontri, 70 reti. Carattere chiuso, ma generoso e inesauribile, come seconda attività vende vernici, con preferenza per quelle granata…
Guglielmo Gabetto, centravanti, 33 anni, torinese, cresciuto alla scuola juventina, poi coi granata, 303 partite, 164 reti.
Anche papà Gabetto pensa al domani e gestisce con Ossola il famoso bar di via Roma, ritrovo di tutti gli sportivi torinesi, anche juventini.
Socio di bar e di brillantine, Franco Ossola, ala sinistra, 28 anni, varesino, è stato il primo ad arrivare nel nuovo Torino: 5 scudetti, 176 incontri, 86 reti e un grande rammarico. “Non giocò mai in nazionale, perché Pozzo preferiva i giocatori di ruolo, mentre mio padre”, conferma Franco Ossola, “era un jolly. Eccola la maglia azzurra che tenne sulle spalle ma non sporcò mai”, dice mostrando quel caro oggetto. Ossola, è tra i primi giocatori a fare della pubblicità. Insieme a Gabetto. Pubblicità della brillantina solida Brio. Ma, purtroppo, entrambi vengono pagati solo in natura, con i tubetti di quella brillantina che pubblicizzano. E allora “se ne sparavano un intero tubetto prima della partita” dice Franco Ossola “e nemmeno la doccia più insistita riusciva a mandarla via”. “Ci tenevano ad essere ben pettinati anche i campo”, conferma Tosatti.
Infine Mazzola, capitan Valentino, il simbolo stesso dei granata e della nazionale, 30 anni, mezzala sinistra, primi passi a Cassano d’Adda, dove è nato, poi nella squadra aziendale dell’Alfa Romeo di Milano, dove lavora. A Torino nel 42-43, 5 scudetti, 130 reti, 256 partite di cui 12 in azzurro, e una attività di fabbricante di palloni. Due figli avviati al calcio, e Sandro sarà assai quotato e popolare. Vive però una difficile situazione famigliare: lascia Emilia Ranaldi per risposarsi con Giuseppina Cutrone, ma il matrimonio, celebrato all’estero, provoca non pochi problemi giuridici in Italia (tanto che dopo Superga la sua salma verrà disputata dalle due donne, in un sinistro contrasto). Ma ai tifosi non importa: Mazzola è Mazzola, l’atleta che al suono della tromba si rimbocca le maniche e segna.
Ma c’è un altro personaggio, da troppi ignorato, forse perché in epoca di guerra fredda qualcuno lo accusò di essere una spia al servizio di Mosca, che deve essere ricordato.
E poi c’è Ernesto Egri Erbstein, il direttore sportivo del Torino, l’artefice, insieme al presidente Novo, di questa grande squadra.
“Mio padre”, dice la figlia Susanna Egri, grande danzatrice, la quale come coreografa ha fatto la storia della nostra TV “era un agente di borsa che poi s’era messo a giocare al calcio, nel Fiume, poi era andato anche negli Stati Uniti. Qui lo aveva sorpreso la crisi del ‘29, quando giocava nel Wonderin. E allora era emigrato in Italia. Giocò nel Bari, nella Nocerina, nel Cagliari, poi diventò direttore tecnico e portò la Lucchese dalla serie C alla serie A in tre stagioni. A Lucca era un mito, lo portavano in trionfo. Quindi passò al Torino, nel 1939. Ma aveva un problema. Era di origine ebraica…”
L’Europa è ormai preda della febbre antisemita scatenata da Hitler e accolta da Mussolini. Ernesto Egri Erbstein, fiutando la tragedia imminente e la persecuzione inevitabile, tenta di raggiungere l’Olanda con la famiglia ma per ben due volte il visto gli viene negato dalle autorità tedesche. Non resta che tornare nel paese d’origine, l’Ungheria, da dove riesce però a mantenersi in contatto col presidente Novo. Riesce a tornare di quando in quando in Italia, di nascosto “ed è a Venezia che vede Loik e Mazzola e ne consiglia a Novo l’acquisto”, precisa Susanna Egri, la quale vede nella figura del padre non solo uno sportivo “ma un filosofo, uno che considerava importante vincere ma soprattutto fare spettacolo”.
“Un uomo dalle idee avanguardistiche, millenaristiche”, aggiunge Antonio Ghirelli “all’avanguardia ancora oggi. Tutti dovevano essere attaccanti e tutti difensori. Anticipava di trenta anni il calcio totale olandese”.
Con Egri Erbstein il Torino è grande, il Torino vince tutto, il Torino è l’anima della Nazionale. Chi potrà fermarlo? Ma a questo punto la mano del destino comincia a scrivere il copione di uno spettacolo destinato a farsi tragedia e che si consuma su quella maledetta collina di Superga, il 4 maggio del 1949.
Una squadra imbattibile che però, come dice una canzone dell’epoca, « soltanto il cielo dominò »
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