SOSTENIBILITA’ K1, SOSTENIBILITA’ K2,

SOST………… Kn sulla “etichetta dei pelati”

“Se tutto può essere sostenibile,nulla è  sostenibile.”In questi ultimi tempi c’è stata una levata di scudi da parte delle imprese riguardo all’obbligatorietà morale ed anche normativa della sostenibilità agìta.Sull’esigenza morale tutti sono d’accordo(“tutti vogliono bene alla mamma:certamente,ma dipende come”),ma non altrettanto sulle modalità e sui livelli di attuazione e di evidenziazione comunicativa.

.Quindi è necessario che si ponga un livello  minimo misurato e valutato sulla sostenibilità delle imprese.La valutazione d’impatto è l’unica via insieme alla reattività dei cittadini che possono premiare o punire le imprese con livelli diversi di sostenibilità.

Ma che cos’è la sostenibilità?Un concetto così astratto da essere condiviso da tutti senza compromettere qualsiasi azione,cioè senza alcun riferimento attuativo oppure un concetto concreto che offre un rating alle imprese per cui :impresa alfa con sostenibilità K1,impresa beta con sostenibilità K2,impresa………. ecc.

Tutto questo si deve tradurre in un “bollino” che certifica sulla “etichetta dei pelati” che l’impresa ha una sostenibilità K1,K2….Kn.

In sintesi la sostenibilità è un principio che “mette a terra” la capacità di una impresa di operare senza compromettere la capacità di soddisfare le esigenze presenti e future delle parti interessare(cioè stakeholder) tra cui i dipendenti,i clienti,i fornitori,le comunità di riferimento,l’ambiente e la società.

Però deve avere una icona misurata e valutata ,rappresentativa del livello di sostenibilità altrimenti non esiste la traduzione dalla teoria alla pratica.Sarebbe aria gradevole sole per convegni.

Qualcuno dice”aria fritta”.

Le icone rappresentano  le dimensioni economiche,sociali ed ambientali  che rispettano le esigenze positive e virtuose degli stakeholders(si dice triple bottom line-TBL).In questo modo si deve integrare in modo equilibrato(non massimizzazione assoluta ,ma relativa)fra profitto,persone e pianeta.

Questo mix è la sostenibilità composta dai tre pilastri che riflettono l’idea che il successo aziendale deve abbracciare aspetti sociali, ambientali che fruiscono delle risorse economiche finanziarie  del profitto per generare in modo aumentativo ed addizionale  l’assetto sociale ed ambientale.

E’ evidente che il profitto (o l’avanzo di gestione)assume una dimensione calmierata(cioè non massimizzata ad libitum).

Il profitto deve essere equo e relativizzato rispetto allo sviluppo ambientale,sociale per preservare il benessere degli stakeholders interni,per esempio i dipendenti,quelli esterni per esempio la comunità,gli shareholders-investitori per avere un equo ritorno sugli investimenti in un processo con tempi brevi, medi ed “a lungo”.

Una modalità di management che non deve esaurire le risorse naturali ,che deve implementare coesione sociale e che fa partecipare i cittadini(cioè i clienti-stakeholder)alla gestione dell’impresa.

Tutto questo si traduce in un rating ESG (Environmental,Social,Governance) che deve essere misurato e valutato quantitativamente tramite indici(GRI-Global Reporting Initiative -; ESRS-European Sustainability Reporting Standards)per far percepire la loro CSR(Corporate Social Responsability).

In modo euristico  il cittadino è reso consapevole del valore della sostenibilità.

I cittadini come si pongono di fronte al principio della sostenibilità  sociale ed ambientale NON misurato delle imprese?

In una ricerca di Sodalitas-Assolombarda (1.000 interviste-campione rappresentativo dell’universo-con tecnica di intervista C.A.W.I),che verrà presentata a breve ,si risponde puntualmente :il 19% della popolazione sa esattamente cosa vuol dire sostenibilità,il 58% “sa abbastanza bene” cosa significa,il 23% ne h a sentito parlare,l’1% non sa cosa sia.

Questi dati potrebbero essere sufficientemente positivi ed  indicano che le imprese devono sviluppare la dimensione quantitativa ed iconica per farsi scegliere anche come acquisto e preferenza.

Le dimensioni ambientali e sociali sono ritenute importanti dai cittadini (> 70%) e comprendono che esiste interazione  reciproca.

Il 77% dei cittadini afferma che le crisi ambientali ricadono anche sugli assetti sociali.

Generare profitto in modo sostenibile vuol dire la gestione responsabile delle risorse naturali(il 70%  della popolazione vuole un corretto smaltimento dei rifiuti),la riduzione delle emissioni del gas serra,il 65% vuole una riduzione delle emissioni inquinanti),l’utilizzo di energia rinnovabile(60%),una gestione ecocompatibile.

Inoltre una ricaduta in termini di capitale sociale generato per esempio il rispetto dei lavoratori(58%),l’impegno per la salute ed il benessere dei dipendenti(46%).

Se questo è il quadro sintetico della percezione generale,è indispensabile dare una forma ai livelli di sostenibilità perché,altrimenti,ci fermiamo sul livello “alto” condiviso formalmente ,ma non incidente tramite un impatto misurato e valutato con evidenza  comunicativa.Quindi Sostenibilità K1,Sostenibilità K2,Sost………Kn sulle “scatole dei pelati”,  una banalizzazione che indica una scelta del sistema per offrire  ai cittadini la consapevolezza  e la trasparenza della sostenibilità dei prodotti e servizi .


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