Lunedì 4 maggio 1998 alle ore 21:00 nella caserma della Guardia svizzera, poco oltre l’ingresso di Sant’Anna (v. di Porta Angelica) nell’alloggio del Comandante della Guardia vengono rinvenuti tre cadaveri: quello del Comandante, Alois Estermann, di nazionalità svizzera, della moglie Gladys Meza Romero, venezuelana, appartenente al corpo diplomatico del Venezuela, e del vice caporale Cedric Tonday, svizzero anche lui. Tutti e tre sono stati uccisi da colpi di rivoltella: il rumore degli spari ha messo in allarme una signora che abita nell’appartamento accanto. L’arma del delitto viene trovata sotto il corpo del vice caporale: particolare non irrilevante, è un’arma di fabbricazione svizzera, una rivoltella SIG 75, a nove colpi.
I corpi sono nello studio di Estermann, la donna è in tuta, i due uomini indossano abiti civili. Il vice caporale ha lasciato una lettera, scritta un’ora e mezza prima, in cui chiede perdono per il suo gesto e si dice vittima di ingiustizie da parte dei suoi superiori. La Santa Sede il 5 magg o dirama un comunicato con una prima ricostruzione dei fatti: in un raptus di follia il vice caporale Tonday ha ucciso Estermann e la moglie e si è poi ucciso. Qualcosa però non quadra: sono stati sparati cinque colpi ma i bo>ssoli trovati sono solo quattro e qualcuno parla di quattro bicchieri presenti sulla scena del delitto e poi scomparsi, notizia successivamente smenttita dal portavoce vaticano.
L’autopsia viene eseguita il giorno dopo niell’obitorio vaticano da due medici italiani di fiducia del Vaticano Pietro Fucci e Giovanni Arcudi risulterebbe che il vice caporale usava sostanze stupefacenti. Su alcuni giornali cominciano ad essere espressi dubbi sullla figura di Estermann, uno degli uomini a più stretto contatto con Giovanni Paolo II fu lui che cercò di fare da scudo al Pontefice quando Alì Mehemet Agca, il 13maggio 1981, tentò di ucciderlo.
L’8 maggio il “Corriere della Sera” riprende una notizia apparsa sul “Berniner Kurier” del giorno prima e confermata lo stesso giorno da Markus Wolf, già capo dei Servizi segreti della Repubbliica democratica tedesca, in una intervista al giornale polacco Superexpress: Estermann era un agente della STASI, reclutato nel 1979, un anno prima che entrasse con il grado di sottotenente e con le funzioni di “Capitano di prima classe” nel corpo della Guardia Svizzera. Il “Berliner Kurier” pubblica anche il nome in codice – Werder – la data e il luogo di reclutamento. In una successiva intervista Wolf smentisce la prima dichiarazione: Werner era un anziano ricercatore tedesco che lavorava in un istituto scientifico della chiesa cattolica (Giovannini).
Ogni tentativo di individuare la vera identità di Werner è vano: una pratica a nome Werner risulta effettivamente esistente presso la divisione HVA del Ministero per la Sicurezza dello Stato dell’ex D.D.R ma non si riesce a trovarla, forse distrutta nel 1989 quando il regime comunista nella Germania orientale ha avuto fine. La notizia del “Berlin Kurrier” è confermata da una dichiarazione
del col. Gunther Bohnsack, già appartenente alla STASI, al Giudice lmposimato, che sta indagando sulla scomparsa di Emanuela Orlandi (21 dicembre 2001). Una informativa del SISMI (lmposimato, pag. 223) ritiene possibile un rapporto tra il comandante della Guardia svizzera e la polizia segreta dell’ex D.D.R. L’Amm. Fulvio Martini, al tempo degli awenimenti capo del SISMI, affermò che era noto ,ai Servizi segreti che il Vaticano sospettava l’esistenza di una spia al suo interno.
Il 9 maggio il giudice unico vaticano, Gianluigi Marrone, trasmette gli atti relativi al suicidio – omicidio al procuratore vaticano di giustizia (l’equivalente del nostro giudice istruttore) che proced·e all’istruttoria. Vengono eseguite perizie (1O) di ogni genere, acquisiti cinque rapporti di polizia giudiziaria (vaticana), effettuate 38 audizioni di persone informate dei fatti: il 5 febbraio 1999 il giudice unico Marrone decide l’archiviazione del caso: i fatti si sono svolti come indicato nel primo comunicato vaticano. Alcuni interrogativi restano senza risposta, principalmente quello relativo alla posizione della pistola: è possibile che, ricevuto un c, o lp o proveniente da un’arma così potente come la rivoltella che ha sparato, il corpo del vice caporale sia caduto in avanti, sopra l’arma, e non all’indietrro?
La madre del vice caporale, Muguette Baudat, contesta i risultati dell’incchiesta, sostiene che la lettera (che si afferma) di suo figlio è falsa e che il giovane non era malato e non faceva uso di stupefacenti: tenta, ma invano, di falr riaprire l’inchiesta.
A margine di essa accade di tutto: un noto “giallista”, Gerard de Villier, dopo un viaggio in Svizzera ed un soggiorno a Roma, scrive un romanzo (“L’espion du Vatican”), non tradotto in italiano, dove si racconta di un prete – killer che, su mandato di un gruppo di alti prelati, uccide due Guardie svizzere e la moglie di una di esse. Un giornale italiano pubblica un’intervista, poi smentita, in cui il delitto – suicidio è inserito in un contesto di rapporti omosessuali.
Nel 1999 viene pubblicato in Italia un libro anonimo (“Bugie di sangue in Vaticano”) in cui la morte di Estermann viene ricostruita come un episodio della lotta in Vaticano tra massoneria e Opus Dei: Estermann sarebbe stato vicino alla seconda ed anzi avrebbe avuto incarico di trasformare la Guardia svizzera in un corpo armato con funziotni anche di “intelligence”, ciò che avrebbe segnato la sua fine ad opera di tun misterioso killer. Niente contatti dunque con la STASI: semmai sarebbe dai indagare sul filone 1.0.R. – Calvi e sui relativi movimenti di denaro.
La ricostruzione è riconducibile ad un tentativo di depistaggio da parte dei servizi segreti, o a lotte di potere interne al Vaticano, o molto più semplicemente alla fantasia di chi ha scritto il libro?
Estermann, ammesso che fosse un agente segreto in Vaticano, non fu certamente l’unico: dal 1971 al 1989 neil piccolo Stato operarono ben 17 “talpe” della Germania orientale (nomi in, c odice Emilio, Ugo, Editore, H ubertl Antonius Lecc) facenti capo al reparto XX/4 della Stasi, la polizia segreta di quel Paese.
Lo spionaggio nel territorio della Santa Setde non è, d’altra parte cosa nuova, data l’importanza che il piccolo Stato ha assunto nella diplomazia internazionale, specie a partire dalla Il guerra mondiale.
Ciò non è ignoto allo stesso Vaticano, che ha un ufficio apposito diretto da un ecclesiastico per verificare l’esistenza di e!ventuali “talpe” nelle strutture della Santa Sede o in quelle che gravitano intorno ad esse: se l’accertamento compiuto si conclude positivamente, Ila misura adottata è di solito l’allontanamento della persona, civile o ecclesiastico. Solo in taluni casi particolari, come quando si tratti di missioni all’estero, viene richiesto l’intervento dei “servizi” italiani, come risuita ad esempio per il passato dalla relazione della Commissione parlamentarce d’inchiesta sul S.I.F.A.R. (1970); di ordinaria amministrazione è invece lo scambio di informazioni con i servizi segreti di tutto il mondo a proposito di interventi straordinari.
Talvolta restano dubbi, come a propositiO delle (pretese) informazioni dei servizi segreti francesi al Vaticano, alla C.I.A. e probabilmente anche ai servizi segreti italiani, circa un attentato (poi avvenuto) alla vita del Pontefice a Roma: sono restati sempre un miste1ro la sorte e gli effetti di quella comunicazione.
Durante il regime fascista anche l’Italia eblbe informatori in Vaticano, tanto da costituire a questo scopo una rete spionistiica. Informazioni alla polizia politica fascista fino al 1931 furono fornite da Mons. Enrico Pucci, canonico di Santa Maria in Via,ma nel dopoguerra prosdolto dall’accusa di delazione.
E’ probabile che la sua attività informativa, pieraltro marginale, fosse, come nel caso di altri informatori (tali Stoppa e Caterini) uno strumento adattato dalla Santa Sede per avere in cambio informazioni di suo interesse specifico da parte del Governo italiano. Una rete spiionistica – “Sodalitium pianum” o “Lega di san Pio V” – creata per la lotta aI modernismo fu forse utilizzata da Mons. Umberto Benigni e dal nipote Pietro Mataloni non solo per collaborare con il Ministero degli Affari esteri italiano, ma anche fornire informazioni ad altri Stati (la polizia politica fascista ebbe: il sospetto di rapporti di Mataloni con l’ambasciata russa a Roma).
Minore importanza ebbe negli anni ’30 1 l’ attività spionistica del giornalista Tommaso Arrigo Pozzi e di Giovanni Fazio, nome in codice Tassara, capo della polizia vaticana, informatore della pcolizia politica: rimosso dall’incarico nel 1942, aderì alla R.S.I. ed ebbe un posto all’AGIP a Torino. Anche il giornalista Virgilio Scattolini, dopo un’ilntensa attività informativa, aderì all’R.S.I. chiedendo il posto di direttore d,ei mercati generali a Roma. Negli anni suc_cessivi diffuse notizie false contro la Santa Sede.
Accanto a loro vi erano confidenti di minor,e importanza, i cui nomi apparvero nell’elenco redatto dall’Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo: Carlo Bronzini, alias Calò 303, ragioniere presso l’Osservatore Romano; Achille Villa, alias Gregorio 752, funziona rio vaticano; Luigi Filippi, nome in codice Filippo, maggiore dei carabinieri; Italo Tavolato, giornalista e impiegato presso la Direzione del turismo, nome in codice Tiberio 571.
Un caso particolare fu quello di mons. Antonio Prettner Cippico, nipote di un senatore della Dalmazia, sospettato dalla polizia politica di essere una spia russa durante la seconda guerra mondiale senza mai averne le prove, ma più probabilmente legato all’organizzazione che faceva capo al vescovo Michele Bourguignon d’Herbigny, un gesuita francese presidente della commissione “Pro Russia” che fino al 1933, quando fu rimosso da ogni incarico, fu sospettato di essere un agente francese operante nel mondo slavo. Alla vigilia delle elezioni politiche del 1948 mons. Cippico fu accusato di profittare del suo impiego presso gli uffici amministrativi vaticani per offrirsi di trasferire denaro italiano all’estero insieme ad un suo collega, tale Guidetti. Sembra che ad un certo punto non fu più in grado di restituire a richiesta le somme versate, anche se non è da escludersi una trappola della polizia per porre fine ad una situazione divenuta intollerabile. Cippico, ridotto allo stato laicale, fu processato e condannato: morì a Roma nel 1983. La vicenda fornì l’occasione per una dura campagna di stampa dei partiti di sinistra contro la D.C. e coloro che in Vaticano la sostenevano.
I rapporti inviati alla polizia politica dai sUJoi agenti si rilevano talvolta molto acuti, come quello di Zanetti del 1934 in cui, a proposito dell’allora addetto alla Segreteria di Stato Mons. Giovanni Battista Montini si parla di “un nemico che va tenuto d’occhio”. Dal suo punto di vista aveva ragione: durante la guerra che scoppierà di lì a qualche anrno, come risulta dai documenti del dipartimento di Stato ora desecretati, Montini tenne sempre al corrente il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti delle principali notizie che giungevano da tutto il mondo dai vescovi alla Segreteri.a di Stato.
La Germania nazista puntò molto in alto ed ebbe la fortuna di poter contare sulle informazioni di prima mano di Wladimir Ledòchowski, un gesuita polacco che negli anni ’40 era il superioire generale dell’ordine, dirigeva la radio vaticana ed era la tempo stes,so antisemita e promotore del “Segretariato per l’ateismo”, di impronta decisamente anticomunista (Franzinelli, Delatori).
La Germania nazista, almeno fino al 1940, aveva obiettivi diversi da quelli dell’Italia fascista, con la quale si era impegnata a non costituire una rete spionistica in territorio italiano ed a lasciare che fossero gli organismi di polizia italiana a controllare il Vaticano: restavano però fuori dall’intesa le informazioni più direttamente riguardanti i rapporti fra la Santa Sede, che Hitler sapeva essergli contraria, ed i cattolici tedeschi, che potevano essere indirizzati contro il regime dalla Chiesa di Roma. I servizi segreti nazisti cercarono pertanto di costruire un sistema di controllo sulle comunicazioni Vaticano – Germania. Trovarono particolari difficoltà, e subirono anche alcune sconfitte.
Probabilmente entrarono in possesso, tiramite il S.I.M., nel quadro della collaborazione italo – tedesca, dei codici segreti vaticani, ma non riuscirono ad impedire nel 1942 contatti per trattative di pace tra alcuni alti ufficiali facenti capo al generale Ludwig Beck e Pio Xli, che fece da intermediario con il diplomatico inglese Francis D’Arcy Osbcorne. Le tattiche non ebbero buon esito (v. “Spie naziste”, pag. 48 e seg.) ma la congiura non fu scoperta per l’intervento dell’amm. Canaris, capo dei servizi segreti tedeschi e avversario segreto di Hitler, che riuscì a neutralizzare un rapporto a proposito di quelle trattative del benedettino Herbert Keller, monaco dell’abbazia di Beuron, che lavorava per i servizi segreti tedeschi.
Informatori dei servizi segreti nazisti neglu anni ’30 furono anche il vescovo Alois Hudal, rettore del pontificio istituto teutonico di Santa Maria dell’Anima, a Roma, detto “il vescovo bruno” per le su1e simpatie naziste, e il benedettino Peter Behman, che riferiva sui movimenti finanziari della Chiesa cattolica. Nel 1942 fu reclutato un estone, Aleksander Kurtna, che era probabilmente anche un agente sovietico e che alla fine della guerra, catturato dagli Alleati e consegnato ai russi, fu inviato in un “gulag” in Siberia, Kurtna, in stretto rapporto con il maggiore Herbert Kappller, che dalla fine degli anni ’30 rappresentava la “Gestapo” a Roma ed aveva una sua rete di informatori laici ed ecclesiastici (principalmente fino al 1940 il vice rettore del collegio teutonico di S. Maria in Camposanto, in territorio vaticano, la signora Kuehn – Steinhausen, ricercatrice presso l’archiviio vaticano se un ex ricercatore dell’Università Gregoriana) oltre che avvalersi della collaborazione delle strutture di informazione italiane. Fallì iinvece completamente il tentativo nazista di fondare a Roma in un Collegio georgiano che avrebbe dovuto celare una centrale spionistica clandestina con sei finti seminaristi appartenenti nella Legione georgiana delle S.S. e rapidamente smascherati dalle autorità ecclesiastiche.
Anche Gorge Elling, un ex benedettino che aveva nel 1933 militato nelle S.S., ebbe (1943 – 1944) una sua rete di spionaggio (due monsignori, due gesuiti, tre benedettini) ma l’occupazione di Roma (1944) da parte delle truppe alleate mise fine rapidamente alla sua attivrità.
Dopo la fine della 11° guerra mondiale, anche nello spionaggio in Vaticano si ebbero profondi rivolgimenti. Gli Stati Uniti che non avevano mai mostrato un particolare interesse ad avere propri ag1enti all’interno della Santa Sede, puntando piuttosto su rapporti istituzionali ad alto livello per uno scambio di informazioni (H. Tittmann, incaricato d’afffari presso la Santa Sede, per un breve periodo alloggiò addirittura in Vatitcano) nel dopoguerra mostrarono maggiore interesse per quanto avveniva in Vaticano.
Loro uomo di fiducia fu il domenicano belga Felix Morlion, già fondatore del comitato anti – Comintern, rettore dell’Università “Pro Deo”, legato ai servizi segreti statunitensi con lo sguardo rivolto però a quanto risulta dai talune interviste (G. Cipriani, Lo spionaggio in Italia) anche alla situazione politica italiana (nel 1945 Giulio Andreotti era il suo segretario). Fu probabvlmente Morlion a costituire il primo nucleo antispionaggio in Vaticano, per neutralizzare tentativi di infiltrazioni da parte dei Paesi del blocco comunista, utilizzando a tale scopo la “Pro Deon come struttura di riferimento.
Nel 1964 il settimanale “Mondo d’oggi”, nottoriamente legato ad uno spezzone dei servizi segreti militari italiani, pubblicò una enorme foto di Padre Morlion, preannunciando la pubblicazione di una inchiesta giornalistica su “Gestapo”, CIA, Vaticano e servizi segreti di tre Paesi della NATO: fu l’ultimo numero del giornale diretto da Mino Pecorelli, che ritornerà sull’argomento successivamente con la nuova rivista “O.P.”.
Per i paesi del blocco comunista la penetrazione in Vaticano fu molto difficile anche per “il clima di sfiducia e di sospetto, oltre che dell’influenza dei mezzi di informazione ostili e del fanatismo religioso a particolari individui” esistente alla data del rapporto (1980) (rapporto lmpedian n. 260, in “Dossier Mitrokhin”).
La strada indicata era l’arruolamento di laici che lavoravano in Vaticano con prestazioni occasionali, pirofittando delle loro non elevate retribuzioni. Non esistono precisi riscontri sulla riuscita dell’operazione, anche se qualche risultato, più nel senso di raccolta di informazioni speciali che di una vera e propria attività spionistica, dcovè esserci: le persone in diretto contatto con il K.G.B., almeno a quanto risulta dal Dossier Mitrokhin, erano molto poche: Giorgio Girardet, fino al 1977, con l’incarico di segnalare in particolare i rapporti con la chiesa russa f i dissidenti (rapporto lmpedian n. 13); Albert, che negli anni ’70, dopo aver frequentato l’Università Gregoriana, viveva a Roma presso l’ostello del “Russicum”; Miloslavskiy, altro nome in codice, ex studente del “Russieum”, che ainche lui negli anni ’70 trascorse sei mesi in Italia; Santini, nome in codice di un giornalista dell”‘Unità’” specializzato in questioni vaticane, attivo ancora negli anni ’80 tale Daks, agente del K.G.B., arrivato in Italia agli inizi degli anni ’90 quale diplomatico del Costarica, ebbe molti contatti ad alto livello in Vaticano nella sua falsa identità (i cardinali Borgoncini Duca, Celso Costantini, Agadzthanyan, ed altri che non sospettarono mai l’inganno) fino a quando nel 1953 non tornò in Unione Sovietica (Rapporto lmpedian, n. 21O). In missione in Italia, ma non specificamente per occuparsi di questioni vaticane, fu inviato negli anni ’70 anche Aleksandr Petrovich Pustustov (nome in codice Yesanlenko), agente del K.g.b., monaco, rappresentante permanente del patriarcato di Mosca al centro di Praga della Conferenza Mondiale Cristiana (Rapporto lmpedian, n. 220). “Saul” infine era un prete cattolico lituano che dal 1959 seguiva corsi in Vaticano e di cui si parla ancora nel 1998 (Rapporto lmpedian n. 241).
Nel complesso l’infiltrazione non riuscì ma1lgr ado il tentativo operato nel 1973 di una immissione massiccia di mille studenti comunisti in seminari e noviziati, confidando nella loro successiva capacità di penetrazione in Vaticano. Due spie del K.g.b., due religiosi che lavoravano a stretto contatto con Mons. Silvestrini che dirigeva il Consiglio per gli affari pubblici della Chiesa, una sorta di Ministero degli estteri vaticano, furono scoperte ed espulse dall’Italia tra il 1980 e il 1983. Non ebbe miglior esito il tentativo di introdurre microspie nell’abitazione del cardinale Casaroli, di cui fa fede un appunto del C.E.S.I.S. del 5 luglio 1990, fondato su contatti del S.I.S.D.E. con un servizio segreto dell’Europa orientale. La microspia venne inserita da
Irene Trollerova , cittadina cecoslovacca, moglie di Mario Torretta, nipote del cardinale Casaroli, che fu dal 1953 era stato arruolato dal K.G.B. quale agente esterno. La microspia, sostituita ne,I 1989 con un’altra, restò attiva fino alla fine del mese di maggio 1990 (serntenza del giudice per le indagini preliminari Priore 21 marzo 1998 n. 2675/815A).
Una microspia fu collocata in una vecchia radio nella camera da pranzo di Giovanni Paolo Il e scoperta dopo l’attentato: fu rimossa ma rimase ignoto chi l’avesse collocata.
Secondo recenti notizie (Ansa, 18 febbraio1 2003) Gennadiy Bliyabin (nome in codice “Bogun”) e Ivan lvanovic Bunky (n.ome in codice “Il filosofo”) erano i controllori per conto del K.G.B. Andrzej Bondeeki, prete polacco che aveva l’incarico di spiare il cardinale arcivescovo) di Cracovia Karol Wojtyla. Con la sua elezione al Pontificato si accentuò l’importanza di controllare da vicino un papa che, come è scritto in una informativa al Ministero degli interni della
D.D.R. del 25 ottobre 1978, “sfrutta tutte le occasioni per apparire contro il governo polacco”.
Molto attiva tra le mura leonine fu la “Stas.i”, forse la polizia segreta in quegli anni meglio organizzata tra quelle dei Paesi del blocco comunista. In Vaticano poteva contare su mons. Eugen Brammertz (lmposimato, 29), monaco benedettino che lavorava all”‘Osservatore Romano”, che era molto legato al Card. Casaroli ed aveva frequenti contatti con Jacob Stehle, giornalista del settimanale “Die Zeitung”, accusato e poi assolto, e con il polacco Mons. Krawezyk, che lavorava in Vaticano come cerimoniere (allontanato dopo l’attentato al Papa di Alì Agca).
Marcus Wolf, l’ex capo della STASI, in urna intervista del 2002 (lmposimato) ha teso a ridurre l’importanza dell’apparato spionistico della sua organizzazione in Vaticano: si sarebbe trattato solo di “Antonious”, nome in codice di Alfons W, giornalista dell’agenzia di stampa cattolica K.n.a., oggi portavoce dell’arcivescovo di Treviri, i cuii collaboratori si sono dichiarati al corrente del passato del giornalista.
Wolfe nella stessa intervista accenna anche agli agenti segreti polacchi ed ungheresi in Vaticano: quello ungherese ., che aveva operato a Roma per “alcuni anni” era un diplomatico: Bogye Yanos. Quando esplose il caso della uccisione di Estermann, il capo della guardlia svizzera, e si diffusero voci sulla sua appartenenza alla “Stasi”, Wolf si preoccupò di smentire la notizia affermando che suo agente in Vaticano eira un “anziano ricercatore tedesco che lavorava in un istituto scientifico della Chiesa cattolica” (Giovannini).
I polacchi, coloro che erano più direttamente interessati ai comportamenti del Papa polacco Giovanni Paolo Il ed ai suoi rapporti con Solidarnose, avevano un proprio apparato spionistico in Vaticano o utilizzavano quello degli altri paesi comunisti? Una parziale risposta è emersa da un documento dell’Istituto nazionale polacco della memorria per i crimini nazisti e comunisti, incaricato di esaminare i documenti del regime comunista: un collaboratore dei servizi segreti di quel periodo era Dominik, nome in codice di padre Konrad Hejmo, frate domenicano e stretto collaboratore del Pontefice per le visite dei pellegrini polacchi a Roma.
Venti ricevute rinvenute negli archivi dell’Istituto proverebbero il rapporto del domenicano prima con la polizia segreta e dopo il 1979, anno dell’elezione di Giovanni Paolo Il, con il ministero dell’interno polacco. L’interessato, in un’intervista al “Corriere della Sera” (29 aprile 2005) ha smentito di essere stato una spia, pur ammettendo di aver avuto rapporti con un tale “Andrej”‘ della “Stasi”, senza però ricevere denaro. Ha ammesso invece di averlo ricevuto da sacerdoti per i quali compilava una rassegna stampa sulla Chiesa polacca.
Secondo uno studioso polacco, Jan Zarin (“Corriere della Sera”, 30 aprile 2005), l’attività informativa di padre Hejnno era limitata ai pettegolezzi dei pellegrini polacchi e sugli emigrati: un problema erano piuttosto i preti polacchi presenti a Roma di cui circa il quindici per cento riferiva puntualmente su ogni cosa che riguardasse il Pontefice, per denaro o più spesso sotto la pressione di ricatti riguardanti i loro comportamenti privati. I veri agenti segreti in Vaticano sarebbero stati invece tre personaggi, uno solo dei quali noto con il suo vero nome – padre Kulczyeki – mentre degli altri due si conoscono solo i nomi in codice: Tarano e Zagielowski.
SEGNALIAMO
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