Un video del 2017 spopola oggi sui social scatenando forti reazioni: è Kamala Harris che pronuncia la frase “We have to stay woke. Everybody needs to be woke“. La vicepresidente democratica è stata attaccata come “funzionaria comunista” e definita “troppo radicale” per ricoprire la carica di presidente, un’accusa che evidenzia la polarizzazione politica attorno al concetto di “woke”.
Ma cosa significa woke? Perché questa parola è politicamente così fastidiosa?
Il video in questione è stato girato durante la Code Conference del 2017, un evento annuale organizzato da Recode che riunisce leader del mondo politico e tecnologico per affrontare tematiche globali. In quell’edizione, la conferenza si concentrava su argomenti come immigrazione e ambiente.
Durante il suo intervento, Kamala Harris criticava duramente le politiche antidroga e migratorie dell’amministrazione Trump, esortando il pubblico a “restare svegli” (stay woke), ovvero a non chiudere gli occhi di fronte alle ingiustizie e alle disuguaglianze sociali.
La scelta di questo termine non è stata affatto casuale.
Woke affonda le sue radici nella comunità afroamericana ed esorta a prestare attenzione alle ingiustizie sociali, in particolare al razzismo e alle disuguaglianze sistemiche. In inglese, “woke” è il participio passato del verbo “to wake” (svegliarsi); simboleggia quindi l’essere “svegli” o consapevoli rispetto alle problematiche sociali.
Negli ultimi anni, questo termine è stato rilanciato dal Black Lives Matter ed ha assunto un significato più ampio, riferendosi a chi è attento alle ingiustizie di vario tipo, inclusi il sessismo, l’omofobia, le discriminazioni di genere, e altre questioni legate ai diritti civili. Tuttavia, è stato anche oggetto di critica e ironia, soprattutto da parte dei conservatori e da parte di chi lo vede come eccesso di politicamente corretto o come atteggiamento moralistico.
In sintesi, “woke” è associato a una sensibilità sociale verso le disuguaglianze, ma il suo utilizzo varia molto a seconda del contesto; e in base a quest’ultimo può indicare approvazione oppure critica.
La vicenda di Kamala Harris è un esempio lampante di come il linguaggio politico sia continuo terreno di scontro tra visioni diverse.
I conservatori hanno utilizzato la sua dichiarazione per rinforzare la narrativa secondo cui i democratici, rappresentati da figure come l’ex procuratrice, stiano portando l’America su un sentiero “troppo radicale”, allontanandola dai valori tradizionali; mentre i progressisti continuano a vedere nel termine “woke” un richiamo all’impegno sociale, alla resistenza contro le ingiustizie e all’inclusività.
Il video ha dunque riacceso in questi giorni il dibattito su cosa significhi essere “woke” in politica e come questo concetto venga interpretato a seconda dell’orientamento ideologico. Fa riflettere infatti come la frase di Harris, nata come semplice invito a restare consapevoli e attenti rispetto alle ingiustizie sociali, nell’arco di pochi anni e di molti click sia diventata un campo di battaglia tra visioni opposte, una bandiera ideologica e, per alcuni, una provocazione, tanto da arrivare a travisarne il messaggio originale.
A leggere la stampa di destra, non c’è male peggiore in questo momento di quello che va sotto il nome di cultura woke.
Ascoltando il discorso di Harris e analizzando la genealogia di woke mi sono, inoltre, tornati alla mente dei frammenti greci.
L’espressione “stay woke” mi ha curiosamente ricordato la dialettica tra svegli e dormienti di Eraclito e la sua visione dell’eterno conflitto tra opposti. In particolare, per il filosofo del panta rei il mondo si divideva in due categorie: quello dei dormienti, ossia di coloro che possiedono una conoscenza superficiale e illusoria e che rimangono dell’opinione (doxa) che tutto sia stabile e univoco, e quello degli svegli, dei sapienti ridestati dalla verità (logos).
Allo stesso modo, chi oggi critica Harris e riduce il “woke” a una formula vuota e denigratoria sembra ricalcare il ruolo dei dormienti di Eraclito, ancorati a una visione limitata della realtà e spaventati dal cambiamento. Chi invece può essere identificato come sveglio, crede che la coscienza sociale e la lotta alle disuguaglianze siano elementi fondamentali per una società più equa.
Detto ciò, sicuramente l’origine dello “stay woke” non risale agli antichi greci, ma la somiglianza coi frammenti eraclitei rimane curiosa: “Non bisogna agire e parlare come si stesse dormendo. Unico e comune è il mondo per coloro che sono desti” sembra proprio risuonare nel contemporaneo “We have to stay woke. Everybody needs to be woke”. Oggi, più che mai, lo stay woke non è solo un imperativo sociale, ma una responsabilità politica che richiede un impegno sincero.
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