STORIA DI UN UOMO LIBERO

LAURA PACELLI

Mario Pacelli era nato a Roma il 1° novembre 1933. Suo padre, detto Oscaretto, era un omino vivace che lavorava come truccatore a Cinecittà, ed era esperto in barbe che, pelo a pelo, collocava sulle guance degli attori dei telefoni bianchi. Sua madre, Elena, maestra elementare studiosa e intelligente, figlia primogenita del sindaco di Velletri, era stata per breve tempo la fidanzata di Giuseppe Bottai; poi, delusa da promesse che non si erano concretizzate, aveva ceduto al fascino del ragazzo romano con il cognome illustre e la parlantina sciolta e si era sposata, dando alla luce due figli, Mario e Lucilla.

Oscaretto Pacelli si rivelò presto quello che era, un simpatico e vispo popolano che viveva alla giornata, soldi a casa ne portava pochissimi, in compenso sapeva tutto di cinema, ma soprattutto di attricette e di quelle che allora si chiamavano soubrette. Così, spesso la padrona di casa lamentava il ritardo di molti mesi nel pagamento della pigione del piccolo appartamento di via Nicolò V. Elena, oltre a fare la maestra elementare, dava ripetizioni ai figli dei commercianti della zona.

Mario era sveglio, e la situazione l’aveva capita subito: meglio cogliere il meglio da tutto quello che aveva intorno, fosse l’amico abile a fare sassate di cui diventare il consigliere strategico, o il professore di latino che recitava Tacito a memoria, di cui non perdere una parola tra un allarme aereo e l’altro. Poi a lui, in effetti, interessava tutto, ma soprattutto la storia e il diritto e il potere affabulatorio della parola, quella che gli consentiva di convincere un medico ad ingessargli gratis le braccia rotte cadendo dalla bicicletta, o essere di citato nelle filastrocche scolastiche come “e poi c’è Mario Pacelli, che c’ha i voti sempre belli”. Quei voti belli se li trascinò sempre nella vita, come testimonia la sequenza impressionante dei giudizi di eccellenza che ebbe non appena riuscì ad entrare, nel 1962, come funzionario alla Camera dei deputati con un concorso che gli costò un anno intero di studi notturni, condotti mentre lavorava in banca come cassiere, mestiere che odiava.

Arrivò a Montecitorio forte della laurea in legge e degli studi classici condotti presso il noto collegio romano Pio IX senza pagare la retta grazie all’interessamento di un monsignore, il quale aveva ritenuto che quel ragazzino studiosissimo con un cognome così illustre meritasse un’occasione, e che magari una volta formato sarebbe entrato nel seno della Romana Chiesa sempre bisognosa di menti “fini fini”.

Mario, però, fu di diverso avviso: con la fede ebbe un rapporto di franca estraneità, condito di quella diffidenza che riservava a ogni credo. Si sposò in Chiesa e battezzò le sue tre figlie, ma quando una delle tre decise di recarsi a Lourdes ebbe un moto di reale sgomento.

Si definiva anarchico: cantava, stonatissimo, Addio Lugano bella, e dopo un periodo di luna di miele con le alte gerarchie della burocrazia parlamentare divenne insofferente a quelle regole che ormai padroneggiava benissimo. Nel 1979 fu promosso Consigliere caposervizio, ed entrò in netto contrasto con Nilde Iotti, allora divenuta Presidente della Camera dei deputati.

Mario voleva occuparsi dell’Ufficio studi: aveva nel frattempo conseguito la libera docenza in Istituzioni di diritto pubblico, aveva scritto almeno una ventina di articoli di diritto su riviste scientifiche ed era diventato il più importante studioso italiano di storia di Montecitorio; gli venne invece affidata la responsabilità delle Commissione bicamerali di inchiesta e, come contentino, l’Archivio storico della Camera dei deputati. I compagni comunisti non erano disposti ad attribuire l’Ufficio studi ad uno che proclamava a gran voce il suo dissenso rispetto a ogni regime, che partecipava alla marcia dei metalmeccanici senza chiedere il permesso ai suoi superiori e continuava a scrivere sugli argomenti più disparati, con quella facilità di scrittura e quella produttività fuori del comune che lo hanno contraddistinto fino al momento della morte. Furono anni duri per un uomo che aveva creduto nella bontà delle istituzioni e si trovò costretto a vedere il peggio del peggio: tra le sue mani passarono gli atti delle Commissioni di inchiesta sulla Mafia e sulla P2, e lui che aveva orrore della violenza fisica si trovò a occuparsi quotidianamente di efferatezze.

Nel 1993 andò in pensione dalla Camera dei deputati e per i trent’anni successivi tornò ad essere il ragazzo curioso di tutto, cordiale e amichevole che era stato: smise di fumare, divenne vegetariano, ambientalista, scrisse più di trenta libri negli ambiti più disparati, collaborò con la Rai, imparò ad usare il computer, navigando in rete per ore intere, aiutò chiunque glielo chiedesse a fare qualunque cosa lecita, dispensò consigli legali e poesie di Belli, ricette di cucina e lezioni di latino, chiacchierò con gli amici di sempre, e per finire, a quasi 90 anni, concluse la sua vita riconciliandosi con quello Stato che tanto aveva amato e con quel padre tanto differente : i suoi ultimi lavori sono stati la revisione del libro Il Colle più alto, sulla storia del Quirinale scritto con Giorgio Giovannetti con la prefazione di Giuliano Amato (Firenze 2023) e Cinecittà la pupilla del duce (Roma 2023).


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Commenti

2 risposte a “STORIA DI UN UOMO LIBERO”

  1. Avatar Ettore Zeppegno
    Ettore Zeppegno

    I racconti di una figlia sulla vita di suo padre sono sempre belli
    da leggere.

  2. Avatar gianpiero ricci
    gianpiero ricci

    Approfitto di questo spazio per fare le condoglianze a Laura, abbiamo lavorato insieme qualche anno fa e la ricordo con molto piacere, degna figlia di un babbo straordinario.

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