SUL TRANSUMANESIMO …

E SULLE SPERANZE (IRRAZIONALI) DEL NOSTRO TEMPO

A settembre l’European Society for Philosophy of Religion organizzerà il ventiquattresimo congresso internazionale questa volta organizzato sul tema della natura umana dal punto di vista della filosofia della religione e della teologia. Prenderò parte al convegno presentando una relazione nell’ambito del sottotema “natura umana, destino umano e transumanesimo” occupandomi di una tematica che certamente non si lascerà esaurire nello spazio di una relazione e sulla quale certamente non si dirà mai abbastanza. Il motivo per il quale presento a questa rivista alcune riflessioni sul tema che andrò trattare non è quello di saggiarne la tenuta teorica con una breve sintesi presentata al grande pubblico ma di contribuire alla sensibilizzazione comune circa il tema che sta sullo sfondo al movimento transumanista e che come un fondamento imprescindibile ne sostiene l’intera impalcatura filosofica. Il tema in questione è quello della morte.

C’è da fare innanzitutto una importante precisazione. Il movimento transumanista è certamente un paradigma filosofico, antropologico e tecno-scientifico di chiaro orientamento anticristiano. La visione centrale del transumanesimo, quella che lo pone in conflitto con il cristianesimo, è sostanzialmente riducibile alla volontà di relativizzare la morte secondo un piano graduale stando al quale al differimento della morte (il cui limite, è questa l’aspirazione, sarà sempre spostato più avanti) sarà presto o tardi sostituita o una certa forma di immortalità tecnologicamente procurata. Il differimento della morte è un fine che l’umanità persegue da sempre e non ha immediate valenze negative. Il fatto stesso che l’età media sia aumentata quasi dappertutto vuol dire che in effetti il progresso medico e tecno-scientico (e anche igienico) ha portato l’umanità verso una longevità cresciuta secolo dopo secolo. Il differimento della morte comincia ad assumere significati etici ed antropologicamente ambigui soltanto quando all’allungamento della vita non corrisponde difatti una progettualità ricca di senso che ne sostanzi il vissuto. Perché allungare in modo indefinito l’esistenza? Qual è lo scopo di questo prolungamento? Qual è il ritorno, in termini di significato esistenziale, che deriva da questo prolungamento?

Il differimento della morte può essere procurato in diversi modi, tutti sostanzialmente riconducibili ad un progressivo potenziamento della natura umana realizzato grazie ad una ibridazione tra uomo e tecnologie. Pochi sanno Le punte più avanzate del transumanesimo stanno lavorando affinché questo processo di ibridazione, finalizzato alla creazione di cyborg (entità che fino a qualche anno fa appartenevano soltanto alla letteratura fantascientifica), si realizzi fin da ora. Penso, tra tutti gli esempi che sarebbe possibile fare, alla startup biotecnologica Grindhouse Wetware, con sede a Pittsburgh (Pennsylvania).

Tim Cannon, il leader e cofondatore di Grindhouse nel 2014 si è fatto impiantare un dispositivo, Circadia, finalizzato alla registrazione e alla condizione tramite bluetooht di valori biometrici. Ma ancora più provocatorie e radicali sono le affermazioni di Sterlac (Stelios Arkaidiou, docente cipriota e transumanista convinto) riportate da Mark O’Connell nel suo famoso libro Essere macchine:

È ora di domandarsi se un corpo da bipedi respiranti con una visione binoculare e un cervello da 1400 cc sia una forma biologica adeguata. L’insieme non riesce a gestire la quantità, la complessità e la qualità delle informazioni accumulate; è intimidito dalla precisione, dalla velocità e dalla potenza della tecnologia ed è biologicamente male equipaggiato per il suo nuovo ambiente extraterrestre.

Come giustamente commenta O’Connell per Sterlac, e per chi come lui sposa questa visione transumanista, il corpo umano è una tecnologia obsoleta e la «carne è un format defunto». A questo livello il problema del differimento della morte si associa ad un tentativo di potenziamento tecnologico e il quadro antropologico che ne deriva non si riduce più ad un mero tentativo di allungare di un po’ la vita umana, ma all’obiettivo di trasformarne radicalmente la natura. Ben diverso è l’obiettivo di eliminare la morte dall’ambito della vita umana. Questo, come dicevo, è non soltanto l’obiettivo più radicale ma è l’elemento di reale contrasto tra la visione transumanista e la concezione cristiana che fa della morte della carne e della resurrezione finale un passaggio soteriologico fondamentale della vita umana. Eliminare la morte dall’esistenza umana significa tante cose. Innanzitutto c’è una recisione definitiva tra l’uomo e Dio. A quest’ultimo è tolto dalla tecno-scienza ogni potere sul destino umano e sulla salvezza e a all’uomo è delegata la prerogativa di decidere sul nuovo tipo di esistenza postumana che il paradigma transumanista propone. Ma eliminare la morte significa anche costruire un nuovo senso della vita. Quale senso potrebbe avere (non è una domanda retorica ma una reale interrogazione filosofica) un’esistenza allungata illimitatamente e deprivata della morte?

Fondare il senso della vita nella vita stessa potrebbe sembrare a molti una manovra suggestiva e rispettosa dell’alto valore intrinseco della vita stessa. Ma ad un’analisi più attenta non sfuggirebbe il pericolo di un siffatto modo di pensare. Si tratterebbe infatti di promuovere un’esistenza che, allungata illimitatamente, finirebbe per non aspirare più a niente e per ripresentare all’uomo i medesimi contenuti in modo reiterato. La vita si consumerebbe allo stesso modo in cui si consuma in effetti un cd prodotto e riprodotto un elevatissimo numero di volte. Come un cd così logorato non è più in grado di esser letto dalla macchina, allo stesso modo un’esistenza sempre uguale a se stesso, per l’appunto illimitata, rischierebbe di porre l’uomo di fronte il non senso assoluto del continuo e sterile ripetersi della vita stessa. Deprivata del suo limite l’esistenza scadrebbe in un vacuo e inautentico esserci. Peraltro si tratta di scelte non certe e razionali ma basate su speranze molto lontane dall’essere scientificamente confermate.

A questo proposito forse pochi conoscono la Alcor Life Extension Fundation che è un’organizzazione con sede in Arizona proprietaria di uno dei quattro più grandi centri di crioconservazione esistenti al mondo. Sul sito della Alcor il visitatore ha la possibilità di toccare con mano i risultati concreti della concezione transumanista (Max More, l’amministratore delegato della Alcor è uno dei massimi esponenti del transumanesimo). Un’intera pagina del sito è dedicata alla morte nella quale leggere il nuovo modo di intendere la morte nell’ambito di questa concezione così apparentemente bizzarra ma in realtà così carsicamente diffusa. Innanzitutto si avverte un certo tentativo di relativizzazione della morte, considerata come permanente soltanto quando le strutture «che codificano la memoria e la personalità (necessarie per la coscienza) sono diventate così sconvolte che diventa teoricamente impossibile recuperare la coscienza”. La morte, si scrive inoltre sul sito della Alcor, non è un interruttore ma un processo. Questo significa che il passaggio dalla vita alla morte, essendo graduale, consente un intervento di sospensione, realizzato proprio grazie alla crionica. È grazie a questa tecnologia sperimentale che, si legge ancora sul sito, «la vita può essere fermata e riavviata se le sue strutture di base possono essere preservate». In un’altra pagina viene addirittura descritto il processo di crioconservazione, che inizia dal team di esperti che accompagnano il morente nelle ultime ore di vita, alla riattivazione artificiale della circolazione e della respirazione per il mantenimento delle ottimali condizioni degli organi, fino al raffreddamento del corpo, alla sostituzione del sangue con un liquido protettivo fino a giungere al raffreddamento criogenico a – 196° C.

Per comprendere meglio qual è lo spirito che anima il progetto della Alcor riporto le parole di Max More dette a Mark O’Connell nel loro incontro raccontato nel libro Esse una macchina: «La crionica è solo un’estensione della medicina d’emergenza». In effetti spiega ancora More quelli conservati nella struttura in Arizona non sono ‘cadaveri’, ma esseri umani che si trovano in uno stato liminare tra la vita e la morte. Posto che la morte è un processo e non un fenomeno puntiforme, al momento dell’arresto cardiaco molte cellule e tessuti sono difatti ancora vivi. La crionica interviene in questo processo, quando cioè la morte non è ancora raggiunta (sebbene per il senso comune si muoia quando il cuore smette di battere) e si limita a conservare lo status quo della persona per un tempo indefinito. C’è qualcosa di religioso in questo vago ma fortemente sentito anelito alla sopravvivenza. Si tratta di un anelito paradossale in quanto al momento nessun centro di crioconservazione sa “riattivare” un corpo crioconservato né è facile supporre quando ciò sia possibile (probabilmente nemmeno se sia davvero realizzabile). Eppure queste persone hanno scelto di abbandonare una speranza ritenuta non idonea, non soddisfacente e non convincente, quella della fede, e hanno però sposato una causa, quella transumanista, che si affida ad un’altra speranza priva di reale prevedibilità, fondatezza e sicurezza. Nel primo caso la speranza è che un Dio ci salverà, ci restituirà un nuovo corpo glorioso, fatto di una materia misteriosa, e vivremo beneficiando della Sua stessa gloria. Nel secondo caso la speranza è che una scienza che ha da venire ci riporterà “in vita in qualche modo”. Non sappiamo quando né come ma questa presunta super scienza darà all’uomo crioconservato forse un nuovo corpo o troverà il modo di rendere perfetto quello riattivato. Si tratta di scenari diversi ma formalmente simili che mostrano come anche la scienza possa coprirsi di ideologie e speranze e grandi dosi di irrazionalità.


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