SULLA SCUOLA LIQUIDA

Ritengo che il sistema scolastico italiano assuma a volte tratti di palese disumanità. La disumanità non è determinata da malvagità e atrocità di sorta; non è quel tipo di male che viene perpetrato. La disumanità è determinata invece dalla dimenticanza delle storie umane che stanno dietro gli incomprensibili meccanismi di reclutamento scolastico. Gli equilibri, seppur precari, delle graduatorie provinciali per le supplenze (GPS) avrebbero potuto comunque garantire, sebbene non in tutti i casi, un delicatissimo equilibrio benefico per la continuità didattica di molti insegnanti se non si fossero introdotti – in taluni casi in modo immeritato – nuovi insegnanti con un grande punteggio aggiuntivo acquisito con i nuovi percorsi abilitanti.

La possibilità che è stata data a costoro di acquisire un punteggio così elevato, corrispondente a ben tre annualità di servizio, non soltanto ha determinato un ingiusto sconvolgimento delle graduatorie (che si sono viste letteralmente ribaltate e radicalmente riconfigurate) ma ha riconfermato un principio assurdo e surreale: un corso teorico è stato equiparato, in termini di punteggio, all’esperienza pratica nel vero contesto scolastico. Pertanto, com’è accaduto nel mio caso, insegnanti con un solo anno di servizio o addirittura con nessun servizio alle spalle hanno superato insegnanti che avevano maturato già diversi anni di esperienza scolastica.

Questo è vergognoso.

Ma oltre ad essere vergognoso è anche pericoloso soprattutto per tutte quelle persone fragili e indifese (gli studenti con disabilità) che a stento erano riuscite a costruire con i propri insegnanti relazioni autentiche e solide.

Ma il cieco algoritmo alla base di questo processo disumano (nel senso sopra specificato) di reclutamento degli insegnanti non perdona. Assegna ciecamente gli incarichi sulla base di sedi disponibili e preferenze espresse, in ordine di graduatoria. Ma è un ordine, quello delle GPS, non più costruito sulla meritocrazia, sull’anzianità di servizio e sui reali requisiti quanto piuttosto sull’acquisto delle competenze.

C’è infatti una cospicua fetta di insegnanti che, per legittime ragioni finanziarie, non è riuscita a completare l’iscrizione ai corsi abilitanti (il costo medio è di circa duemila euro) e per tale motivo è restata letteralmente dietro ai nuovi abilitati.

Chi ha potuto, invece, ha acquistato l’iscrizione e con essa un quantità altissima di punteggio fatto valere in un graduatoria, qual è quella del sostegno, che dovrebbe essere massimamente tutelata per ragioni umane ed etiche (continuità didattica è infatti una ragione profondamente umana ed etica).

Alla luce di tutto ciò siamo quindi autorizzati in un certo senso a parlare di “scuola liquida”, vale a dire di una scuola incapace di garantire la solidità delle relazioni che crescono e maturano nel suo seno. Tali relazioni si ritrovano poi, da un anno all’altro, ad essere sradicate completamente. Si badi che il problema in questo caso specifico non è quello del precariato (che pure è una piaga tutta di marca italiana) quanto piuttosto della diseguaglianza indotta tra coloro che hanno potuto acquistare il titolo abilitante e coloro invece che per legittime ragioni non hanno potuto farlo. Chi ha potuto farlo si è visto attribuire un punteggio elevatissimo nella graduatoria relativa all’insegnamento di sostegno con scavalcamenti di centinaia di posizioni. Impossibile non vedere del marcio in questo assurdo meccanismo.

Non si dimentichi infine la priorità riconosciuta, in modo davvero massiccio, anche a coloro che hanno presentato, nella domanda delle 150 preferenze per l’attribuzione degli incarichi annuali e fino al termine delle attività didattiche, titoli di preferenza (riserve e precedenze riconosciute o sulla base della L. 104/1992 o per aver prestato servizio civile universale – addirittura). Il mix letale che ne è emerso è stato devastante sotto ogni profilo.

La mia testimonianza è assai dolorosa nella misura in cui il mio studente (scrivo “mio” sulla base del particolare affetto e della solida fiducia maturate nei due anni scolastici precedenti) vedrà assegnarsi un nuovo insegnante che, senza quel punteggio aggiuntivo e senza quei titoli di preferenza, non avrebbe avuto l’incarico. Non si tratta, si badi, di un mero darwinismo scolastico, quanto di faccenda umana di profonda e radicale importanza. Quell’insegnante nuovo, privo di esperienza, affidato al “mio” studente si inserirà in una storia relazionale, didattica e umana, completamente lacerata dal sistema cieco e insensibile del reclutamento scolastico.

Si troverà di fronte la ribellione di un adolescente che “cerca il suo prof.”, di fronte lo sconcerto di una famiglia che dovrà ricostruire da zero un rapporto di fiducia e conoscenza, di fronte la complessità di una didattica nuova da ricostruire. Ma l’aspetto più inquietante è che il nuovo insegnante, realisticamente parlando, forse non incontrerà mai il “mio” studente perché da giorni, comprensibilmente, minaccia di abbandonare la scuola. Se anche il nuovo insegnante riuscisse ad incontrare il “mio” studente non lo farebbe perché la mia relazione con lui è terminata ma soltanto perché è stata tranciata alla radice da un sistema profondamente ingiusto.

Ecco lo scacco subito da una Scuola (parlo della Scuola italiana) che si vanta del suo elevato livello di inclusività ma che nei fatti, a ben vedere, distrugge le vite scolastiche (e non solo) di quegli studenti che pure si vanta di tutelare. Una contraddizione terribile e insensata alla quale lo Stato destina noi insegnanti (migliaia e migliaia di insegnati, migliaia e migliaia di storie umane).

La responsabilità, dunque, non è di chi ha acquistato ulteriore formazione (corsi abilitanti, corsi di lingua, corsi informatici, e altro) ma di chi ha consentito che l’acquisto di ulteriore formazione ledesse quel minimo di equilibrio precario che pure teneva in vita le speranza di tantissimi insegnanti e, soprattutto, di altrettanti studenti con disabilità. È, dunque, una responsabilità politica prima di ogni altra cosa.

NDT.: l’immagine di copertina è dal film IF di L. Anderson, film satirico sui College Inglesi degli anni ’70 .


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