“Sordi, Sordi, Sordi” ossia, trattandosi di romanesco, “Soldi, Soldi, Soldi”.
Questo lo slogan della pièce teatrale “Tanti Sordi – Polvere di Alberto” a cura della Compagnia Frosini/Timpano, Lorenzo Pavolini andato in scena dal 3 al 5 ottobre alla Sala Umberto di Roma nell’ambito di Roma Europa Festival
Un’apertura insolita: una donna piuttosto sciatta, seduta in modo volgare su di una sedia rimane in silenzio per parecchi minuti quasi con atteggiamento sfrontato e provocatorio verso il pubblico. Fin qui niente da eccepire è da un po’ che attori in scena si rivolgono allo spettatore con questi modi provocatori con l’intento bonario di scuoterlo dal torpore quotidiano ed attirare la sua attenzione. Finiti i momenti di suspence, si è passati alle azioni, intanto i protagonisti del gruppo si sono subito presentati attribuendosi così la paternità, nel bene e nel male, della riuscita dello spettacolo.
Dal titolo si intuiva che l’argomento fosse Sordi, Alberto Sordi, l’Albertone nazionale per intenderci, il rappresentante dell’italiano medio, con i suoi pregi e i suoi difetti, degli anni post-bellici fino ad arrivare ai giorni nostri. Il fil rouge di tutto lo spettacolo si è dipanato al contrario; infatti, l’ironia è stata sostituita da un dire sarcastico e canzonatorio con lo scopo di sottolineare quanto, oggi, la cultura e il concettuale siano sotto accusa.
“Sordi” inneggiavano gli attori facendo finta di convincersi che, affrontando temi leggeri e prosaici, si potevano riempire le casse dei botteghini e accontentare gli spettatori procurando loro risate grasse con parole ed atteggiamo alquanto discutibili.
È pur vero che oggi è valido il motto del “famolo strano” tanto che, in base a questo input, i più si sentono autorizzati a storcere volutamente copioni ed altro pensando di interessare la platea così da rendere, in mancanza di elementi strutturali, attoriali e innovativi, la stessa minestra servita in una scodella falsamente rinnovata. Anche la scelta del linguaggio non è stata proprio delle migliori, spesso scurrile e irriverente usato continuamente con lo scopo di attirare l’applauso e l’approvazione del pubblico.
E Alberto Sordi? Where is? Io non l’ho incontrato, se non in qualche battuta vintage e abusata presa a spunto per declamare altro.
Non che ci si aspettava un necrologio per l’Albertone, anche se, all’apertura, qualcosa di falsamente shakespeariano e di matrice macabra si è paventata, certamente un artista di quel calibro forse meritava un approccio diverso.
Il risultato di tutto questo è stato piuttosto deludente, qualunquista nonché obsoleto; il pubblico, bisogna prenderne atto, è cresciuto pertanto è diventato più esigente; i tempi sono cambiati e tutto, quindi anche il teatro, necessita di cambiamenti importanti. Esso è lo specchio della società, uno specchio magico che induce alla riflessione e che tenta di trovare risposte valide per un divenire migliore.
Alla fine, si è ripetuta la scena iniziale: cioè la donna seduta come in apertura rivolta al pubblico (questa volta non muta) ha sottolineato (qualora qualcuno avesse frainteso) la necessità di ritornare al concettuale con un dire e un fare in opposizione a quanto mostrato fino ad allora, come per dire che si era scherzato poiché il teatro è al di sopra e non si può rinnegare la sua funzione altamente educativa nonché spudoratamente concettuale.
La Compagnia ha così concepito l’omaggio al grande Sordi e noi rispettiamo il suo punto di vista, anche perché l’impresa non era cosa semplice!
Pertanto, ringraziamo e le diciamo: Ad majora!
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