Per un Parlamento costituente, l’abolizione del potere di veto, il ritorno ai valori fondamentali
Quattordici/A Hermes Storie di geopolitica – Europa
Pier Virgilio Dastoli
Presidente Movimento Europeo Italia
Pier Virgilio Dastoli, Presidente Movimento Europeo – Italia, riunisce tre recenti contributi in un articolo per Democrazia futura “Tre temi per la decima legislatura europea”.
Il primo pezzo chiarisce le ragioni per le quali – in base alle “Lezioni di Altiero Spinelli e di Alexander Langer” – “Serve un Parlamento costituente se vogliamo un’Unione europea federale”. La seconda riflessione “Al voto il veto” spiega la necessità di abolire questo potere di interdizione che ha impedito sinora le riforme delle istituzioni e dei loro meccanismi, ovvero “Perché serve un’insurrezione politica (pacifica) contro l’immobilismo degli Stati”. Nel suo terzo scritto il Presidente del Movimento Europeo invita infine a “Contrastare chi vuole disgregare l’Unione europea (come Meloni) tornando ai valori fondamentali”, ovvero agli ideali di pace, tolleranza e multiculturalismo sui quali l’Europa era stata fondata dopo la Seconda guerra mondiale secondo un modello di “costituzionalismo europeo” che “affondava le sue radici nella convergenza fra l’universalismo cristiano, l’internazionalismo socialista e il cosmopolitismo liberale”.
24 maggio 2024
Le lezioni di Altiero Spinelli e Alexander Langer
1. Serve un Parlamento costituente se vogliamo un’Unione europea federale1
I due politici, già trent’anni fa, auspicavano un ruolo di maggior importanza per l’organo elettivo comunitario. Dopo le elezioni serve riprendere questa strada, prima di ulteriori allargamenti.
L’Università degli Studi Link ha organizzato a marzo due incontri di studi e di ricognizione sulle “Costituenti europee nel ventesimo secolo” e su “Alexander Langer. Ponti da costruire tra convivenza pacifica, conversione ecologica e federalismo europeo”. Questi eventi hanno avuto luogo non casualmente a settanta giorni dalle decime elezioni europee che si svolgeranno dal 6 al 9 giugno 2024. Nel primo incontro, le conclusioni sono state giustamente affidate al “Progetto Spinelli”, che il Parlamento europeo adottò a larga maggioranza il 14 febbraio 1984, e alla “relazione Herman” del 1994 che suscitò tuttavia meno consensi del “Progetto Spinelli” poiché il Parlamento europeo si limitò a prenderne atto riservandosi di discuterlo in una fase ulteriore.
Fra il progetto di Trattato, approvato dal Parlamento europeo nel 1984, e la relazione di Fernand Herman del febbraio 1994 ci furono: il referendum in Italia del 1989 per l’attribuzione di un mandato costituente al Parlamento europeo (proposto senza successo anche in Belgio e auspicato dal Parlamento europeo nel 1988 in una dichiarazione sottoscritta dalla maggioranza dei deputati europei e nella risoluzione di Carlos Bru Puron) secondo l’auspicio formulato da Altiero Spinelli davanti alla commissione affari istituzionali il 18 marzo 1986. L’entrata in vigore dell’Atto unico europeo (Aue) nel febbraio 1987 («Una montagna che ha partorito un topolino», disse Spinelli). La caduta del Muro di Berlino e la fine dell’impero sovietico alla fine degli anni Ottanta. L’entrata in vigore del Trattato di Maastricht nel 1993 che qualcuno qualificò, con un eccesso di infondato trionfalismo, «una rivoluzione copernicana».
Il federalismo europeo di Spinelli e quello di Langer hanno importanti elementi in comune e caratteristiche che li distinguono, ma non li oppongono, anche in relazione alle epoche storiche in cui sono stati formulati. Il primo è nato a Ventotene, mentre l’Europa era quasi tutta sottomessa al giogo nazista e fascista, allo scopo di ricostruire le democrazie contro i nazionalismi. Il secondo è legato a esperienze politiche in una dimensione di multiculturalismo essenziale non solo in Italia, ma anche nella vicina ex-Jugoslavia, per costruire dei ponti ed evitare l’esplosione di una sanguinosa guerra civile.
C’è una significativa convergenza tra le pagine dedicate da Spinelli nella primavera del 1986, nel bel mezzo del negoziato intergovernativo sull’Aue, al suo testamento politico su quello che si sarebbe dovuto fare al fine di mantenere e sviluppare la forza delle idee su cui era fondato il suo progetto del 1984 e le relazioni di Langer al Gruppo dei Verdi della primavera del 1995, quando si stava preparando la convocazione di una nuova conferenza intergovernativa che avrebbe approvato il 2 ottobre 1997 il Trattato di Amsterdam. Entrambe ritenevano che la strada da percorrere per giungere a un’Europa unita autenticamente federale dovesse essere fondata sul ruolo costituente del Parlamento europeo.
Non si trattava di ripartire da zero facendo tabula rasa del lavoro effettuato dall’Assemblea sui temi della costituzione europea, ma di aggiornare quei lavori alla luce dell’evoluzione dell’integrazione europea e della situazione internazionale. Per Spinelli, bisognava tenere particolarmente conto della inadeguatezza dell’Aue che non aveva risposto alle sfide degli anni ’80. Per Langer invece era necessario concentrarsi sulla prospettiva dell’allargamento dell’Unione europea dopo la caduta del Muro di Berlino e della necessità di creare le condizioni per la convivenza pacifica e la conversione ecologica di fronte alla guerra civile nella ex-Jugoslavia.
Si chiedeva Langer all’inizio del 1995:
«In quali tempi, e sino a quale limite geografico, si vuole l’integrazione europea? Che ne sarà di coloro che non vogliono farne parte? Quali cambiamenti sono necessari nell’Unione affinché l’allargamento sia possibile e da dove può venire l’impulso necessario perché ciò avvenga?».
Secondo lui, l’unificazione del mercato non poteva essere il fattore federativo. Questo fattore doveva essere la costruzione di una comunità politica, risparmiando all’Est la distruzione di quanto restava della sua agricoltura e delle sue strutture sociali e locali, con una politica per la democrazia e per la pace che desse la priorità alla federazione piuttosto che all’imposizione del mercato e della concorrenza. Langer definì contemporaneamente l’obiettivo di una comunità euro-mediterranea e un processo di deliberato intreccio economico, politico, culturale, istituzionale, ambientale e di sicurezza.
Per far questo, a Langer appariva più nitida la necessità di avviare un processo costituente che superasse i limiti e le storture di un modello europeo costruito nel negoziato fra i governi. Sapeva che non bastano taluni governi più europeisti né movimenti tradizionali, troppo spesso proiettati su un piano meramente istituzionale dove l’idea dell’Europa è di per sé vista come un toccasana senza andare a vedere criticamente il metodo dell’unificazione e i suoi obiettivi e principi ispiratori. Langer voleva aprire la strada a un europeismo critico con forti connotati ecologici, sociali, democratici, pan-europei e mondialisti insieme.
Al fine dì riportare le riflessioni di Spinelli del 1986 e di Langer del 1995 allo stato dell’Unione europea di oggi, sottoposta agli stress test delle guerre ai suoi confini, alle prospettive dell’allargamento e al disordine mondiale, l’idea dell’avvio, dopo le elezioni europee dal 6 al 9 giugno 2024, di un processo costituente non può essere sbrigativamente liquidata, di fronte all’immobilismo dei governi e dell’attuale Commissione europea, affermando che si tratterebbe di ripartire da zero prendendo atto della sconfitta dell’iniziativa del Parlamento europeo e avviando una lunga e incerta fase sottomessa comunque all’accordo dei governi e all’unanimità delle ratifiche nazionali. Inoltre, in questo modo si nasconderebbe sotto il tappeto di un europeismo acritico il fatto che sia il metodo della convenzione (che ha richiesto otto anni nella prima decade di questo secolo per passare dalla Dichiarazione di Laeken, nel dicembre 2001, all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona nel dicembre 2009), comunque sottomesso all’accordo unanime dei governi, sia il normale negoziato intergovernativo devono passare attraverso le forche caudine della dimensione confederale.
Quella che è stata sconfitta in questa fase è invece la logica di un passaggio esistenziale dall’Unione del Trattato di Lisbona a un modello di integrazione di natura federale e cioè di una sovranità condivisa. Questa appare indispensabile per rispondere alle attuali sfide europee e internazionali, una sconfitta a cui hanno certamente contribuito il metodo di lavoro non trasparente adottato dalla commissione affari costituzionali, la mancata ricerca di un continuo coinvolgimento della società civile e i tempi lunghi di un’elaborazione parlamentare che hanno condotto l’assemblea ad adottare, con una limitatissima maggioranza, un complicato testo fondato sul principio intergovernativo delle modifiche ai trattati, mentre i gruppi politici già sentivano l’influenza delle prossime elezioni europee.
Non si tratta di fare tabula rasa di quel che è stato fatto finora, non solo nel lavoro sulla riforma dei trattati ma anche sulle più importanti politiche dell’Unione europea, ma di aggiornare i risultati di quei lavori abbandonando l’idea del labirinto inter-istituzionale della convenzione la cui porta appare ermeticamente chiusa dai governi. Serve riprendere il cammino costituente scelto dal Parlamento europeo nella sua prima legislatura stando bene attenti a garantire un dialogo costante con i parlamenti nazionali, con le organizzazioni rappresentative della società civile, dei poteri locali, del mondo del lavoro e della produzione e associando anche i Paesi candidati. L’obiettivo è quello di dare alle raccomandazioni della Conferenza sul futuro dell’Europa forma e sostanza di una vera costituzione europea da sottoporre a un referendum pan-europeo prima che l’Unione si apra ai futuri allargamenti.
Perché serve un’insurrezione politica (pacifica) in Europa, contro l’immobilismo degli Stati
2. Al voto il veto2
La mancanza di visione d’insieme dei governi tiene in ostaggio le istituzioni comunitarie impedendo un processo di riforma che dovrà essere al centro del tavolo di lavoro della prossima Commissione.
Il fallimento del Consiglio europeo del 17 e 18 aprile 2024 è l’ennesima prova che l’Unione europea e i suoi Stati membri non possono pianificare il futuro affidandosi al negoziato fra governi che agiscono fondando i loro orientamenti solo sulla difesa di apparenti interessi nazionali.
Sul tavolo dei capi di Stato e di governo si sono accumulate molte sfide solo in parte sintetizzate nel rapporto sul mercato unico che lo stesso Consiglio europeo aveva affidato ad Enrico Letta a trent’anni dall’incompiuto obiettivo del 1993 se si pensa all’inesistente unione dei capitali o ai permanenti ostacoli sulla libera circolazione dei servizi per non parlare delle forti divergenze fra gli Stati membri nella gestione della competitività interna resa più frammentaria dalle continue violazioni delle regole sugli aiuti di Stato.
Enrico Letta ha messo l’accento sulle due transizioni gemelle relative all’ambiente e alla società digitale che si accompagnano alla prorompente urgenza di una difesa comune come parte integrante di una vera politica estera e della sicurezza.
Egli ha anche avanzato proposte sulla necessità di ridurre la frammentazione fiscale e di armonizzare la tassazione indiretta, senza la quale non può esistere un mercato unico equo e solidale, pur sapendo che questo tema rappresenta un tabù per i governi nazionali e ha tentato di aprire una riflessione su nuovi strumenti finanziari indispensabili per garantire un adeguato livello di bilancio negli investimenti sull’ambiente e sull’innovazione digitale lanciando l’idea di un safe asset europeo a cui si dovrebbero associare a nostro avviso vere risorse proprie europee.
La discussione fra i capi di Stato e di governo ha messo immediatamente in luce per ora insanabili dissidi sulla realizzazione di quel mercato unico che pur rappresenta la ragion d’essere dell’integrazione europea così come i dissidi sono per ora insanabili sulla difesa europea che è uno degli elementi della nostra autonomia strategica in un mondo scosso da un drammatico disordine.
Gli annunci del futuro rapporto affidato dalla Commissione europea a Mario Draghi sulla competitività all’interno dell’Unione europea e verso l’esterno, contenuti in parte nel testo scritto del discorso pronunciato a La Hulpe e in parte in un paio di frasi ad effetto che non si ritrovano in quel testo – come la necessità di un «cambiamento radicale» delle politiche economiche e finanziarie europee e il fatto che «non possiamo permetterci il lusso di attendere la revisione dei trattati per procedere sulla via del cambiamento» privilegiando le cooperazioni rafforzate – non hanno suscitato particolari emozioni fra i capi di Stato e di governo che hanno rinviato all’incontro informale dei leader del 17 giugno le riflessioni su chi governerà l’Unione europea dopo le elezioni europee e sull’agenda strategica 2024-2029.
Nulla è emerso, come era noto e prevedibile, sugli orientamenti dei governi per quanto riguarda le riforme interne necessarie al fine di consentire all’Unione europea di pianificare il proprio futuro, con particolare riferimento all’allargamento dei suoi confini politici verso i Balcani e l’Europa orientale, sapendo che una larga maggioranza dei capi di Stato e di governo – 19 su 27, ma ogni elezione nazionale aumenta il numero degli immobilisti – è informalmente contraria ad entrare nel labirinto interistituzionale della Convenzione prevista dall’articolo 48 Tratto sull’Unione europea (Tue).
Una parte dei governi è contraria alle modifiche ai trattati ed in particolare all’abolizione del potere di veto o all’estensione delle competenze europee ed un’altra parte dei governi teme invece i rischi di un metodo complicato che potrebbe sfociare in una divisione pubblica e radicale nella Convenzione, che esige un accordo fra le sue componenti secondo il principio del consenso.
Il metodo della Convenzione esige poi una conferenza diplomatica destinata a chiudersi con un compromesso all’unanimità e con l’unanimità delle ratifiche nazionali che dovranno avvenire in tredici casi per referendum diluiti nel tempo sulla base di dibattiti nazionali senza nessun spazio all’ipotesi di una unione «sempre più stretta» a cerchi concentrici o a più velocità.
Vale la pena ricordare l’esperienza della precedente Convenzione sull’avvenire dell’Europa, a cui fu affidato il compito di modificare il Trattato di Maastricht e i successivi aggiornamenti di Amsterdam e di Nizza attraverso un Trattato costituzionale con un iter iniziato a dicembre 2001 con la Dichiarazione di Laeken e concluso otto anni dopo a dicembre 2009 con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (Tue) e del carattere vincolante della Carta dei diritti modificando il Trattato istitutivo della Comunità europea (Tfue).
Resta ancora oggi valida la critica a questa articolazione dei Trattati del vicepresidente della Convenzione, Giuliano Amato, sul loro carattere «ermafrodita» perché dotati in buona parte degli attributi pattizi tradizionali e in parte di quelli innovativi costituzionali.
Il lunghissimo testo di proposte di modifiche di due trattati – approvato da una ristretta maggioranza semplice della Assemblea il 22 novembre 2023 in una versione resa complicata dai compromessi imposti dal Partito popolare europeo (Ppe), socialdemocratici (S&D), Renew e Verdi con soluzioni talvolta contraddittorie e talvolta confliggenti con la risoluzione politica che precede quel testo – non faciliterebbe certamente il lavoro di una eventuale, nuova Convenzione se essa fosse per avventura convocata dal Consiglio europeo.
Last but not least, l’idea che circola fra alcuni parlamentari della Commissione affari costituzionali di un ricorso alla Corte europea di Lussemburgo contro il Consiglio europeo per violazione dell’articolo 48 (Tue) sottoporrebbe il Parlamento europeo ad una seconda sconfitta dopo la non-convocazione della «convenzione» perché quell’articolo non impone ai capi di Stato e di governo un termine perentorio di tempo per decidere – al contrario del ricorso in carenza sulla politica dei trasporti del Parlamento europeo contro il Consiglio – e la giurisprudenza della Corte non aiuta sull’interpretazione della norma del Trattato sulla cooperazione leale fra istituzioni.
Per tutte queste ragioni noi riteniamo che il Parlamento europeo eletto dal 6 al 9 giugno dovrebbe dare mandato alla Commissione affari costituzionali di riaprire una riflessione sul testo votato il 22 novembre 2023 (e sulla risoluzione, adottata da una più confortevole maggioranza assoluta il 29 febbraio, sui rapporti fra allargamento e approfondimento tenendo anche conto di proposte di riforme interne e di politiche dell’Unione europea approvate sulla base dei lavori di altre commissioni parlamentari).
Questa riflessione dovrebbe essere sottoposta ad una sessione straordinaria della Conferenza sul futuro dell’Europa immaginando anche la convocazione di una riunione delle assise interparlamentari come quelle che si svolsero a Roma nel novembre 1990 in modo tale da coinvolgere da una parte la società civile e dall’altra tutte le forze politiche nazionali di maggioranza e di opposizione invitando come osservatori, sia nella Conferenza che nelle assise, rappresentanti dei paesi candidati all’adesione.
Di fronte all’immobilismo dei governi nazionali si tratta di avviare dopo le elezioni europee una «insurrezione politica: pacifica, istituzionale e costituente» per aprire la strada ad una profonda riforma democratica dell’Unione europea al fine di renderla capace di pianificare il proprio futuro e quello delle sue cittadine e dei suoi cittadini mettendo al centro il ruolo di leadership del Parlamento europeo.
Pars construens
3. Contrastare chi vuole disgregare l’Unione europea (come Meloni)3
Bruxelles ha perso progressivamente la capacità di difendere i suoi valori comuni e rischia il declino. Serve un ritorno agli ideali di pace, tolleranza e multiculturalismo sui quali era stata fondata dopo la Seconda guerra mondiale La risposta di Pier Virgilio Dastoli al discorso tenuto dalla Presidente del consiglio italiano e leader Conservatori europei Giorgia Meloni alla conferenza del partito di estrema destra spagnolo Vox.4
Il costituzionalismo moderno in Europa, radicato nelle Carte costituzionali elaborate ed adottate in tutti i paesi democratici dell’Europa occidentale dopo la fine della Seconda guerra mondiale e in tutte le nuove democrazie dell’Europa centrale alla caduta dell’imperialismo sovietico, affondava le sue radici nella convergenza fra l’universalismo cristiano, l’internazionalismo socialista e il cosmopolitismo liberale.
Le tre principali culture politiche erano nate in una dimensione transnazionale nel diciannovesimo secolo e hanno condiviso la stessa idea: l’unica risposta agli orrori dei nazionalismi è il superamento delle sovranità assolute (e dunque delle “nazioni” come territorio di un’unica etnia) sostituendole con le ragioni della convivenza pacifica, della tolleranza e del multiculturalismo.
Se la società europea è entrata, con l’inizio del ventunesimo secolo, in una fase di apparente declino e di incertezze ciò è dovuto al perpetuarsi del pensiero unico dominante liberista, alla prevalenza del mercato iniquo sul modello sociale, alla rinascita dei nazionalismi in un mondo globalizzato, all’ideologia del mono culturalismo o, meglio, alla fine delle ideologie.
In un mondo sempre più scosso dalle guerre e dai disastri ambientali, dalle crisi delle democrazie e dalle ripetute violazioni dei diritti universali, l’Unione europea ha perso progressivamente la capacità di difendere i suoi valori comuni. Quest’ultimi risalgono nel tempo all’umanesimo come parte essenziale della società europea e alle università come luogo del libero confronto delle idee perché lì risiedeva il senso dell’Europa come civiltà, con al centro la giustizia e la pace.
Al di là delle differenti visioni sul futuro dell’Europa su cui dovrà discutere la prossima legislatura europea secondo un metodo coerente con la cultura del costituzionalismo europeo (salvaguardando la priorità della conversione ambientale della società, che è molto di più della sola transizione ecologica, nella prospettiva di una piena sostenibilità e della convivenza fra l’uomo e la natura), la distruzione dell’Europa, cioè del suo modello originale ed innovatore, sarebbe inevitabile se: fosse accettata la fine della convergenza naturale fra le culture politiche europee, la cancellazione del multiculturalismo, il ritorno alle nazioni come strumenti essenziali della cooperazione fra Stati apparentemente sovrani, la regressione al posto di una prosperità condivisa, l’Europa dei muri invece dell’Europa dei ponti.
Dovremo batterci e lottare nella prossima legislatura per contrastare l’azione di chi, come i Conservatori europei, si pone l’obiettivo di distruggere l’idea dell’unità dell’Europa scegliendo la disgregazione al posto dell’integrazione. La disgregazione è la causa del declino e del ritorno al passato.
- Linkiesta, 5 aprile 2024. https://www.linkiesta.it/2024/04/europa-federale-parlamento-costituente/ ↩︎
- Linkiesta, 25 aprile 2024. Cf. https://www.linkiesta.it/2024/04/europa-immobilismo-stati/. ↩︎
- Linkiesta, 23 maggio 2024- Cf. https://www.linkiesta.it/2024/05/elezioni-europee-meloni-perdita-valori/. ↩︎
- Vedilo on line https://www.linkiesta.it/wp-content/uploads/2024/05/meloni-vox-integrale.pdf?x21847. ↩︎