UGUAGLIANZA, OPPORTUNITÁ E CAPACITÁ

Elena Granaglia insegna Scienza delle finanze nel dipartimento di giurisprudenza di Roma Tre. Si occupa di disuguaglianze e nello specifico del rapporto tra giustizia distributiva e politiche sociali. Nel suo ultimo libro “Uguaglianza di opportunità. Si ma quale?”, Laterza, 2022, Granaglia ragiona su diversi modelli e concezioni di “uguaglianze” e di “opportunità”, mostrando come il paradigma diffuso e accettato negli ultimi anni non sia l’unico possibile e nemmeno il più efficiente.

La Granaglia affronta un tema complesso e oggi al centro del dibattito politico: l’aumento tendenziale e progressivo delle disuguaglianze, questione su cui si misura la crisi, per molti quasi irreversibile, del modello neoliberista della globalizzazione per come la abbiamo conosciuta. Secondo l’autrice del libro oggi sarebbe utile ragionare in termini di uguaglianza di capacità più che di opportunità. L’idea appare forse provocatoria, visto che il grande tema della disuguaglianza si abbina spesso a quello della possibilità: ragionare in termini di capacità significa lasciare al caso poco o nulla. E soprattutto significa superare la logica della “competizione totale” pensando in termini di dignità umana e di libera espressione della persona. 

Un esempio concreto per capire di cosa parliamo e del perché serve un paradigma più attuale per guidare un possibile agire politico nel XXI secolo. L’idea che l’inclusione nella società fosse possibile attraverso la cooptazione nel mercato del lavoro, tipica della visione neoliberista di questi ultimi anni, ha ottime motivazioni. Tuttavia oggi mostra limiti evidenti, a causa del fatto che il lavoro con cui si rientra nel mondo del lavoro è spesso povero e non consente un tenore di vita dignitoso. L’idea stessa che i redditi da lavoro siano insufficienti obbliga a ripensare tanto alle povertà in tutte lo loro dimensioni quanto alle disuguaglianze, non solo in termini di accettabilità ed equità sociale, ma anche in funzione del rapporto tra quello che si spende e i risultati che si ottengono. Una questione di politiche e di visioni dunque, non solo di strumenti e di amministrazione.

Nei primi ventennio del XXI secolo si è diffusa nel mondo occidentale e nel nostro paese l’idea che la politica dovesse puntare all’uguaglianza delle opportunità, e che la partecipazione al mercato fosse tra tutte queste opportunità quella centrale. Per arrivare a garantire “uguaglianza di opportunità” secondo questa teoria ampiamente accettata nell’Occidente occorreva “livellare” le condizioni di partenza, cioè le disuguaglianze relative al “prima”, non preoccupandosi più di tanto del dopo. Secondo questa impostazione le disuguaglianze successive dei redditi sarebbero accettabili e giustificate: una volta livellato il campo da gioco gli esiti distributivi successivi devono essere accettati in quanto derivano e sono il riflesso della libertà o del merito. Gli strumenti per livellare le condizioni di partenza a disposizione della politica sarebbero principalmente tre: l’istruzione affiancata dalla formazione long life learning, il contrasto alla povertà dei minori e il sostegno alla cura.

Elena Granaglia cita un frase di Clegg, un leader del labour party del 2010: “la mobilita sociale è ciò che caratterizza un società equa più che un livello particolare di reddito. Le disuguaglianze diventano ingiustizia quando sono fisse, trasmesse di generazione in generazione. Per i vecchi progressisti ridurre le disuguaglianze di redditi è l’obiettivo fondamentale, per i nuovi progressisti è ridurre le barriere alla mobilita”. Per farlo si livella alla partenza. Oggi non basta più occorre dare ai cittadini le capacità e gli strumenti per accedere alle opportunità create e sviluppare la piena realizzazione della persona umana e della sua libertà.

“L’obiettivo non è livellare per rendere eticamente accettabile una gara che non potrà che sancire vincitori e vinti” secondo una visione iper competitiva e di conseguenza disuguale delle opportunità. È preferibile invece permettere di accedere a uno standard di vita che rappresenta per tutti e tutte il requisito per una vita civile.   

L’obiettivo delle policy di welfare deve quindi essere prevenire gli svantaggi oltre che risarcire le persone che sono in condizione di svantaggio. L’uguaglianza non va più intesa come la compensazione delle disuguaglianze dovute al caso o a varie circostanze, come il contesto, la famiglia di partenza, il luogo dove si è nati, la disponibilità di risorse e competenze. 

L’uguaglianza di opportunità, secondo l’autrice del libro, è solo una parte della giustizia sociale. Ragionare in germini di capacità significa prestare attenzione non solo ai risultati, ma anche alla trasformazione delle risorse utilizzate in risultati, tenendo conto sia degli ostacoli da rimuovere, o da livellare, sia della pluralità delle libertà che oggi sono ritenute dalle persone un valore assoluto per una qualità della vita apprezzabile.

In questo modo è possibile “coniugare paradigmi di politiche pubbliche solitamente considerati alternativi: i paradigmi re-distributivi, data l’importanza dei trasferimenti e, con essi, della tassazione, quelli pre-distributivi, data l’attenzione ai rapporti di potere e quelli della rappresentanza, data l’attenzione alle libertà, e del riconoscimento, data l’attenzione al pari trattamento.”

PS Se l’uguaglianza delle opportunità oggi è uno tra i più contesi dei valori pubblici allora i risultati da valutare non riguardano solo le opportunità create, ma quelle realmente utilizzate, pensando che i bisogni di oggi, esattamente come i meriti, sono a molte dimensioni e implicano politiche custodi, non piatte. 

https://www.ibs.it/uguaglianza-di-opportunita-si-ma-libro-elena-granaglia/e/9788858148921


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