Le esigenze cambiano con il passare del tempo, anche per il teatro; il nuovo, che stenta a venire, spinge a sperimentare nuove forme di linguaggio per suscitare l’interesse di un pubblico narcotizzato dalla frenesia di vivere e di consumare tutto e subito, in eterno “stand by” sperando nuove realtà.
Nel mentre gli artisti che, certamente, avvertono più degli altri l’esigenza di cimentarsi in nuove avventure, uniscono le loro professionalità per oltrepassare quel limite che li condurrà a soddisfare le aspettative di un pubblico sempre più impaziente. Negli ultimi tempi spesso assistiamo, nelle varie discipline artistiche a commistioni di stili come, ad esempio, anche nella danza, con esiti di performance di alto livello, a volte, però capita che, nel caso specifico, si sacrifichi l’essenza della danza distratti dall’intrusione non sempre appropriata di video e voci narranti a discapito dei bravi danzatori.
Un esempio concreto di quanto descritto ci viene da un’opera recente realizzata da tre grandi del teatro e, precisamente, Giorgio Battistelli (musicista), Massimo Popolizio (attore), Tonino Battista (direttore di orchestra) nonché dalla PMCE della Musica Contemporanea Ensemble.
L’opera in questione è un melodramma giocoso da camera: L’IMBALSAMATORE già rappresentata nel 2014 a Milano grande metafora dell’ideologia comunista ed ironica presentazione del suo leader Lenin.
Essa risulta un mix di musica, video e di una straordinaria prova offerta all’unico attore protagonista Massimo Popolizio, noto attore, allievo prediletto di Ronconi al quale è affidato il personaggio chiave di tutta la pièce; infatti egli è Aleksey Miscin creato da Renzo Rosso scrittore, drammaturgo e sceneggiatore, realmente esistito quale imbalsamatore della salma di Lenin ancora oggi conservata in un mausoleo sulla piazza rossa di Mosca.
La voce dell’attore principale la fa da conduttrice durante tutto lo svolgimento dello spettacolo, accompagnata da una musica che fa da contraccolpo ad ogni stato d’animo del protagonista con tonalità ora pacate ora esagerate, ma in ogni caso, assolutamente giustificate atte a sottolineare momenti salienti della pièce.
In più scorrevano ad ulteriore rafforzamento del monologo molte immagini riferite all’argomento in questione, a volte, volutamente burlesque delineate da un sottile sarcasmo, quello tipico di chi, non avendo coraggio per schernire una persona da vivo lo fa da morto.
Non si può relegare l’opera soltanto ad una parentesi politica visto che Lenin era il capo del Partito Comunista Russo convinto che tale partito potesse assumere il ruolo di “avanguardia rivoluzionaria”, poiché nello svolgimento pian piano si delinea la figura misera di un uomo “l’imbalsamatore” con le sue debolezze e i suoi interrogativi circa i fallimenti della sua vita, quasi in antitesi alla magnificenza e alla grandezza del suo illustre concittadino.
Come tutti i dittatori egli fu amato e odiato e il Miscin si fa da portavoce di tutti i malcontenti di quel periodo e, poiché lui passa molte ore della sua giornata in compagnia della salma da imbalsamare istaura con essa un colloquio senza risposte tra il triste e il faceto.
Così parlando egli si libera delle sue angosce personali di uomo piccolo e miserevole, quale egli stesso si considera dando così l’impressione quasi di una seduta psicoanalitica sul lettino di Freud. Supportato anche dalla vodka, sua fedele compagna, inizia il suo monologo “feroce” sì perché scava nella sua psiche e sembra addirittura divertirsi per poi riannuvolarsi quando parla di sua moglie Erina unica donna da lui amata ma, ahimè non da lei corrisposto!
Così tra un ricordo e l’altro va avanti per circa un’ora e più intrattenendo il pubblico rimarcando momenti politici che, anche se passati, si rapportano, in qualche modo ai nostri tempi calando gli spettatori nella realtà attuale.
Il finale pressocché surreale mette in luce tutta l’incapacità del protagonista che, dal momento che egli, convinto di sperimentare nuove formule di imbalsamazione, tali da rendere più morbida e somigliante la salma del suo compagno di confessioni, altera i contenuti della “porzione magica” e la mummia si disintegra sotto suoi occhi.
Preso dal panico il povero Miscin chiude la pièce sostituendosi alla salma, una scusa quasi preannunciata per concludere così la sua misera e triste vita.
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