UN ORIGINALE MODELLO DI SVILUPPO

PER IL SUD E LA SICILIA

Il Sud e la Sicilia, nel tempo, sono stati destinatari di modelli di sviluppo prevalentemente importati da altre aree del Paese o da altre economie. A distanza di parecchi anni, però, quei modelli si sono rivelati del tutto inadeguati ed hanno creato notevolissimi disagi, soprattutto di natura occupazionale e produttiva. 

Alla luce di simili esperienze il Meridione e la Sicilia hanno bisogno di affermare un proprio originale progetto di sviluppo, che non sia affatto importato da altre parti del Paese o d’Europa, in cui le condizioni ambientali e generali sono del tutto differenti dalle nostre.

Dire che a Milano si viva meglio di quanto non si viva a Catania, partendo dall’efficienza dei servizi, purtroppo, è semplice. Potremmo, però, affermare la stessa cosa se si partisse dal clima o dalle meraviglie ambientali dell’Etna o del mare? Ovviamente è solo un esempio!

Varare un modello di sviluppo per il Mezzogiorno vuol dire rivedere i parametri di valutazione partendo dalle condizioni e dall’offerta del territorio, estendendoli alle infrastrutture ed agli altri fattori: la scuola, gli impianti sportivi, le strutture destinate alla cultura, ecc. poiché per effettuare una valutazione equa, non basta solo un computo ragionieristico, ci vuole un efficace piano perequativo, che tenga conto delle risorse di cui si dispone e di quelle di cui, al contrario, non si dispone. 

In questo quadro, infatti, l’Italia non supera la crisi se non riallinea le proprie condizioni economiche e di vita su tutto il proprio territorio, partendo dalla perequazione sociale, ma non solo, dai livelli occupazionali ed infrastrutturali tra Nord e Sud e da tutta una serie di altri indicatori, in atto parecchio sbilanciati. 

Ad usare la “livella qualitativa” doveva provvedervi lo Stato, attraverso una ripartizione perequativa delle risorse, secondo un puntuale calcolo dei costi standard, dei fabbisogni standard e del livello essenziale delle prestazioni, ma non è accaduto, anzi, è accaduto il contrario, grazie al continuo ricorso alla cosiddetta spesa storica: un sistema che ha acuito le differenze tra aree ricche e aree povere del Paese.  

Per superare la condizione in cui versa attualmente, il Mezzogiorno deve essere messo nelle condizioni di contribuire, più di quanto non faccia, alla formazione del PIL, ma per farlo ha bisogno di strade, autostrade, ferrovie, porti e soprattutto del ponte, indispensabile a catturare il traffico merci che attraversa il Mediterraneo.

Il Mezzogiorno e la Sicilia devono poter diventare il cuore della “Regione EuroMediterranea”, il collegamento naturale tra l’Europa, il Nordafrica ed il Medio Oriente, invertendo, o comunque riequilibrando, il flusso di formazione degli attuali processi economici. 

Se questa inversione di tendenza non dovesse essere favorita, la Lombardia, recentemente passata dal 17° al 44° posto in Europa ed il Veneto, passato dal 36° al 74°, scenderanno ancora, poiché non riusciranno a tenere il passo della concorrenza, da una parte, dei paesi dell’Est e, dall’altra, della Cina e dell’India. 

Per raggiungere un simile obiettivo non basta la buona volontà, né una grossa mole di risorse, come quelle individuate attraverso il Recovery Fund, né ulteriori sacrifici: ci vuole una nuova visione di sviluppo territoriale e soprattutto ci vuole una classe politica in grado di governarla. 

Tuttavia, come disse Giovanni Spadolini in un’intervista del 1987:“È difficile che possa chiedere sacrifici al Paese una classe politica ritenuta inetta o corrotta. In democrazia più che altrove vale la forza dell’esempio.” 

E soprattutto ci vuole una convinta partecipazione popolare che invece, a giudicare dal tasso di astensionismo, stenta a determinarsi!

Insomma l’impegno civile e, perché no, l’impegno politico, che non è una brutta parola, costituisce il terreno di coltura di qualsiasi modello di crescita economica e sociale e non può non poggiare le proprie fondamenta se non che su un’educazione alla partecipazione ed alla scelta, componenti verso le quali la scuola e l’informazione non possono assolutamente sentirsi estranee.  


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