Una commedia drammatica
Tredici/D Lexicon
Silvio Maestranzi
Regista e sceneggiatore
Per la rubrica di anticipazioni letterarie nella quarta parte di Democrazia futura, pubblichiamo la sceneggiatura inedita di “Un piccolo grande tram. Una commedia drammatica”, scritta dal regista altoatesino Silvio Maestranzi e dedicato – scrive “a mia madre Lore, viennese autentica, che nel 1938, a 26 anni, non scese in strada per dare il benvenuto a Hitler… e dovette sopportare i pianti del suo bambino che voleva uscire a vedere i soldati”. “L’azione – chiarisce Maestranzi in apertura del testo – si svolge nel 1938 a Vienna, Berlino e soprattutto in un paesino austriaco che chiameremo Glockendorf.
Il nome deriva da un “anmutiges Glockenspiel” (grazioso carillon) incastonato nella torre del municipio, col ritornello del mozartiano Papageno”.
17 maggio 2024
“Quanto più la menzogna è enorme,
tanto più facilmente verrà creduta.”
Bertold Brecht
L’azione si svolge nel 1938 a Vienna, Berlino e soprattutto in un paesino austriaco che chiameremo Glockendorf. Il nome deriva da un “anmutiges Glockenspiel” (grazioso carillon) incastonato nella torre del municipio, col ritornello del mozartiano Papageno. A parte i nomi delle due capitali, quelli delle altre località sono di fantasia.
I personaggi
- Erwin Stolz un giovane tecnico
- Hilde Sauberbein vedova Stolz sua madre
- Pater Anton suo zio, il parroco
- Otto Moser Un tipografo, pacifista
- Claudia sua figlia
- Gauleiter Alois Kofler governatore, nativo di Glockendorf
- Peter suo figlio, un Hitlerjugend
- Brunner un tramviere socialista
- Oberst von Kollwitz comandante di reggimento
- Gefreiter Puff un caporale
- Frau Agnes la perpetua del parroco
E naturalmente gli abitanti di Glockendorf: quelli che divennero nazisti e i pochi che non lo divennero, in quel fatidico 1938. E poi giudici militari e ufficiali della Wehrmacht, nonché alcuni sinistri agenti della Gestapo.
UNA STORIA DEDICATA…
a mia madre Lore, viennese autentica, che nel
1938, a 26 anni, non scese in strada per dare il
benvenuto a Hitler… e dovette sopportare i pianti
del suo bambino che voleva uscire a vedere i soldati
Glockendorf, un piccolo paese di campagna non molto distante da Vienna, e tuttavia non facile da trovare sulla carta geografica, è appena terminata una giornata di festa obbligatoria. In occasione dell’Anschluss, Adolf Hitler ha tenuto in Heldenplatz a Vienna il suo grande discorso. Le autorità locali hanno voluto fare la loro parte per celebrare una giornata memorabile, che sarebbe passata alla storia. Il Glockenspiel, da cui prende il nome il paese, è stato messo a tacere: oggi niente Mozart. Nella piazza grande restano le bandiere con svastica, gli altoparlanti, il palco delle autorità e i suonatori della banda che ripongono i loro strumenti. La gente ha quasi finito di sfollare. Si fermano solo dei ragazzi.
Erwin, Peter e Claudia e altri amici sui vent’anni, commentano ancora entusiasti l’arrivo di Hitler a Vienna, che gli altoparlanti hanno diffuso in radiocronaca. Anche la musica che continua con marce trionfali, li induce a sottolineare le loro battute con gesti spavaldi e un po’ ridicoli.
Peter annuncia gagliardo che in paese sarà il primo a iscriversi nelle liste di formazione della nuova gioventù hitleriana e che entrerà in politica come suo padre.
“Adesso siamo Terzo Reich, capite? Basta con la vecchia Austria: siamo tutti germanici!”
Erwin lo ascolta con ammirazione e invidia, attento soprattutto alle reazioni di Claudia di cui è perdutamente innamorato. E che riesce a fissare solo quando lei guarda altrove, con occhi che si soffermano rapiti sul bel volto luminoso, incorniciato da capelli dorati raccolti a treccia. La ragazza, facile agli entusiasmi, appare affascinata da Peter che sul palco declama, con piglio teatrale e ispirato, le frasi più ad effetto del discorso di Hitler.
Figlio di Alois Kofler, il neo governatore che amministra il territorio a sud di Vienna ed è nativo di Glockendorf, Peter è un giovane furbastro e vanesio che cerca di piacere alla gente. Intanto pare che stia riuscendo a incantare Claudia. E a gettare Erwin nella disperazione più profonda. È lui pertanto che farà presa sul cuore della ragazza? Non è detto, perché i “nostri” giochi sono appena agli inizi: l’energia che mette in moto i meccanismi di questa incredibile storia, è generata in origine dalla rivalità tra Erwin e Peter, perché entrambi innamorati della stessa ragazza, e sarà poi potenziata da imprevedibili forze socio-politiche e dalle risorse della fantasia e dal coraggio insospettabile del più timido e introverso dei due.
A casa, Erwin cena con la madre Hilde, una donna magra, dall’aria triste e tormentata, col carattere reso aspro da un matrimonio malriuscito. Che l’ha fatta andare persino in depressione. E da ultimo, vedova senza pretendenti. Tanto che le lingue più malevoli l’hanno soprannominata “Die unlustige Witwe” (La vedova non allegra).
Silenzio, frasi banali sul mangiare, poi senza alzare la testa dal piatto, Erwin chiede se le piace Hitler. La donna risponde con uno scatto infastidito e ultimativo:
“Neanche fisicamente”.
Il ragazzo non replica e lascia perdere. Lei accende l’ennesima sigaretta e si butta sui rebus che pare non le riescano mai. Erwin vuol dare una mano. Lei rifiuta seccata:
“Per forza, tu hai studiato, lascia stare, devo risolvere da me, sennò che gusto c’è?”
Per il caffè arriva Anton, lo zio materno, anziano parroco del paese, che secondo il nipote capisce meglio di tutti gli altri come va il mondo, il sacerdote è stato grande ammiratore di Engelbert Dollfuss, l’ex cancelliere assassinato dai nazionalsocialisti austriaci. Per questo certi discorsi con lo zio si possono fare e Erwin dopo quella giornata memorabile, ne vuole approfittare. Alle domande un po’ ingenue ottiene risposte prudenti, ma piene di ironico scetticismo quanto al futuro della popolazione austriaca, che contrastano nettamente con l’entusiasmo dei paesani in festa, per non parlare di quelli come Peter che hanno già indossato la camicia bruna. Per l’anziano sacerdote tra cattolici e nazisti non ci potrà mai essere sintonia.
Erwin è deluso e perplesso, così preferisce ascoltare.
Lo zio prevede che denunce e persecuzioni si intensificheranno. Chiunque provi odio per un altro o vuole portargli via la casa o l’impiego, non farà altro che accusarlo di essere un nemico del popolo. Al resto provvederà la Gestapo. Un esempio? Al Gauleiter Kofler fa gola la tipografia di Moser, e prima o poi succederà qualcosa, ne è sicuro. Magari non la vorrà per sé, ma per sistemare qualcuno.
Erwin è più sconcertato che mai: è lì che lui lavora, dal signor Moser, il padre di Claudia. Chiede il permesso di alzarsi e porta il suo silenzio in un magazzino dietro la casa, usato da suo padre che faceva il fabbro. Tra strumenti meccanici, ferraglie e vecchi giocattoli rudimentali fai-da-te, sorride al modellino di un tram elettrico, rosso come tutti i tram: la sua creatura.
Si sdraia per terra, completa una serie di congiunzioni tra cavetti, spine doppie e altri fili e il tram si muove, anzi corre. Corre sempre più forte. Che meraviglia! Non potrebbe essere quello a far colpo su Claudia? Ma lui non tiene una curva, esce dalle rotaie e rotola sul pavimento. Troppo forte, Erwin!
L’indomani domenica, in una piazzetta periferica del paese, Erwin osserva le faticose manovre che un tramviere fa col pantografo per fargli cambiare posizione. Dal capolinea di Glockendorf, il tram deve infatti invertire il senso di marcia per tornare a Vienna. Erwin si mette a osservare le manovre del conducente Brunner che conosce di vista. Gli chiede qualche informazione tecnica, con competenza. Il tramviere lo guarda incuriosito:
“Lei è un ingegnere?”
A Erwin sarebbe piaciuto tanto studiare, ma i pochi soldi in famiglia, la necessità di un lavoro immediato alla morte del padre, lo hanno spinto a fare l’apprendista nella tipografia di Moser.
Brunner conosce l’ottima fama della tipografia e non ritiene Erwin troppo sfortunato, tanto più che il principale ha anche una bella figliola, o no? Ride il conducente, e ride anche il ragazzo che però sospira sconfortato perché Claudia non lo considera come lui vorrebbe, come lui sogna. Il tram fila nella campagna, supera il fiume. I finestrini sembrano fotogrammi di un film che inquadrano il volto ammiccante di Claudia… ah, se solo… I sogni di Erwin finiscono all’improvviso davanti ad un posto di blocco sui binari.
Alcuni poliziotti in divisa scura salgono armi alla mano, e i passeggeri si ritrovano sull’attenti, perquisiti e maltrattati. Erwin non fa in tempo a capire cosa sta succedendo, che viene apostrofato in modo sospettoso da un poliziotto: dove stai andando?
E lui risponde facendo lo spiritoso:
“a Vienna per incontrare la mia morosa e non vedo la necessità di una scorta”.
Il poliziotto con un gesto cattivo fa per stringergli le palle. Erwin reagisce fermandogli il braccio con forza. Sta per nascere una colluttazione, ma l’ufficiale ordina di lasciar perdere lo stupidello e di passare oltre.
Il conducente Brunner viene ammanettato e portato via. Il tram resta abbandonato sulle rotaie. Tra i passeggeri c’è paura e soprattutto rabbia per il viaggio interrotto. Si leva un grido di protesta:
“Tutta colpa dei tramvieri socialisti!”
Altri imprecano.
Facendo finta di non sentire, si mette alla guida e porta il convoglio lontano dai poliziotti. I binari che scorrono via veloci danno un’idea di fuga dal pericolo. Tutti si complimentano con lui, qualcuno lo applaude.
Erwin racconta l’avventura al suo datore di lavoro, il signor Moser, che si mostra dispiaciuto per il tramviere, una brava persona, che forse ha solo il torto di non essersi iscritto al partito nazista. Sopraggiunge Claudia che porta il pranzo al padre e, quasi per caso, invita l’amico ad andare al cinema con lei e Peter. L’idea del terzetto non entusiasma Erwin, ma non riesce a dire di no. E poi vai a vedere, non si sa mai …
A casa fa un bagno, indossa una camicia pulita fischiettando un valzer allegro, studia allo specchio qualche espressione da uomo di mondo. Prima di uscire infila sulla manica sinistra una larga fascia rossa con la croce uncinata.
“Andiamo al cinema, non so a che ora torno”.
Sua madre salta su dalla poltrona e gli strappa via la fascia.
Erwin è paralizzato:
“Ma perché?”
La donna ha la voce angosciata: la vita in paese non è più quella di prima, succedono cose strane, nessuno può essere più sicuro nemmeno delle persone che conosce. Meglio restare appartati, non esibirsi: prendere posizione è pericoloso. Perfino lo zio, benvoluto da tutti i parrocchiani, perché sa raccontare le barzellette meglio di tutti, potrebbe essere sospettato di tradimento e rischia molto perché gira la voce che abbia aiutato qualche antinazista a sottrarsi all’arresto.
Erwin appare perplesso:
“E io cosa dovrei fare?”
La madre lo scruta in silenzio, sconfortata, poi con voce atona, che sembra arrivare da lontano:
“Niente. Assolutamente niente”.
E accende l’ennesima sigaretta.
Erwin tira un calcio alla fascia in terra ed esce alzandosi il bavero della giacca per darsi un tono.
Sullo schermo scorrono le immagini dell’entrata di Hitler a Vienna. Folla plaudente. Fazzoletti bianchi sventolano irrefrenabili. Ragazze che lanciano fiori e baci. Saluti a braccio teso. E LUI che sorride compiaciuto: è un austriaco che torna a casa da padrone supremo.
Nel mezzo della sala Claudia è seduta tra Erwin e Peter che indossa la camicia bruna della gioventù hitleriana, sulla cui manica risalta la stessa fascia a cui Erwin poco prima aveva dovuto rinunciare.
L’umore di Erwin diventa pessimo quando scorge Claudia che si stringe al braccio di Peter. All’uscita in strada, appare taciturno anche perché parla solo l’altro, più che mai esaltato, che tratta la ragazza come se fosse ormai conquistata, e vuole accompagnarla a casa con la moto. Erwin si sente tagliato fuori.
Salito sulla moto con Claudia avvinghiata dietro, Peter lancia al rivale un’occhiata trionfante, maligna e mette in moto. Erwin abbassa lo sguardo e se ne va come un cane bastonato, facendo finta di niente. È robusto e alto di statura, dimostra più della sua età, è diplomato col massimo dei voti in fisica e meccanica, e sembrerebbe un vincente. In realtà per molti aspetti è ancora un immaturo, un sognatore, un timido soprattutto con le ragazze.
Per strada cammina spedito, la testa insaccata nelle spalle. Pieno di sconforto tira calci rabbiosi a niente.
Il modellino del tram rosso corre veloce incollato ai binari. Sdraiato per terra Erwin lo guarda come se ne dovesse trarre un’ispirazione e all’improvviso batte felice i pugni sul pavimento: hurrà! … hurrà!
Ancora il tram, ma quello vero. Questa volta Erwin è seduto accanto al finestrino. Stringe tra le mani una cartella gialla. Quando scorge, affascinante ed evocativa, la scritta “WIEN” sotto la volta della stazione, salta giù deciso.
Dentro un caffè, seduto ad un tavolino che guarda verso la strada, scrive con grande cura alcune lettere. La cartella gialla è aperta con i fogli, buste e timbri vari. Nella prima si rivolge alle Ferrovie del Reich: domanda che “venga preso in esame l’allegato disegno tecnico” in cui viene descritto un nuovo tipo di pantografo pluridirezionale, che consente un facile contatto con le linee aeree di alimentazione elettrica, da qualsiasi posizione.
Pausa per una birra. Erwin guarda la strada. Passa una bella ragazza e poi un’altra.
È Claudia!? Figuriamoci, con la sua immaginazione la vede dappertutto…
La seconda lettera, su carta intestata, è indirizzata a sé stesso ed è la risposta alla precedente, con la quale lo si informa che il suo progetto è stato inviato al Ministero dei Trasporti. Lettera molto personale firmata dal Dirigente capo in persona.
Ancora una birra: la terza lettera conferma che l’idea di un nuovo modello di tram ha destato vivo interesse presso la Commissione Tecnica Centrale del Ministero, e riporta testualmente la frase:
“i giovani di valore come voi possono essere protetti e aiutati soltanto dal Regime Nazional-Socialista”.
Però manca la conclusione e anche l’ultima birra. Infatti su un altro foglio intestato, le Ferrovie del Reich comunicano a Erwin Stolz che, entro breve tempo, una fabbrica inizierà la costruzione di un prototipo della vettura da lui progettata e gli offrono un incarico “consono alle sue eccezionali capacità ingegneristiche”.
Erwin spedisce le lettere. Prima di imbucarle le bacia per propiziarsi la fortuna.
Al ritorno a casa, ai rimproveri della madre per aver saltato il lavoro, si aggiunge un’allarmante notizia: la Gestapo è entrata in parrocchia e ha minacciato lo zio senza ragione, forse solo per insufficiente patriottismo nazionalsocialista. Erwin non sa cosa dire, ma passa una mano affettuosa tra i capelli della madre scoppiata in lacrime. Prende una mela ed esce morsicandola e facendola saltare tra le mani come un abile giocoliere, mentre la donna guarda sconsolata quel figlio che non vuole crescere.
Erwin entra alla tipografia che è quasi notte.
Si scusa col signor Moser, che la sera esce sempre per ultimo, e comincia a fare le pulizie del macchinario. Sa di aver dato il via a un gioco pericoloso, a cui ormai non può sottrarsi, ma se vuole Claudia deve puntare molto in alto.
Rimasto solo, si mette alla macchina da scrivere e indirizza una lettera a sé stesso, con cui viene informato che il Politecnico di Berlino, su segnalazione dello stesso Führer, lo ha insignito del titolo di ingegnere ‘honoris causa’, e inoltre che il 25 agosto, alle ore 11 antimeridiane, Herr Ingenieur Erwin Stolz deve presentarsi alla cancelleria del Reich per essere ricevuto dal Reichskanzler in persona.
Tornato nel suo magazzino, termina la contraffazione: stampiglia sul francobollo “Berlin” con uno dei timbri che si è fatto in tipografia. Prende i disegni tecnici e ci stampiglia sopra ESAMINATO-VERIFICATO-APPROVATO… mentre il piccolo tram riprende a correre senza più uscire dai binari, e lui scoppia in una irrefrenabile risata.
Presto di mattina passeggia su e giù davanti all’ufficio postale ancora chiuso. Quando arriva il furgone con i sacchi della posta, Erwin si avvicina, ci gira intorno e finge di raccogliere da terra la sua grossa busta:
“Questa dev’essere vostra. Sarà caduta da un sacco”.
I postini ringraziano. Lui si allontana stringendo le mani a pugno in segno di vittoria.
In paese la sorpresa che Erwin Stolz ha ricevuto una lettera direttamente dalla Cancelleria del Reich è enorme. Le voci si inseguono e lo raggiungono. Adesso tutti sanno dell’onore che gli è capitato.
Ma alla tipografia qualcuno dei colleghi lo guarda con sospetto. C’è preoccupazione per la pesante situazione politica che si è creata persino a Glockendorf: quella notte sono stati imbrattati e infranti i vetri della sartoria Coen, un ebreo, così come pochi giorni prima era successo al negozio degli Steiner. E tra gli autori di quelle malefatte pare esserci Peter, il figlio del Gauleiter. Tra i tipografi, non proprio simpatizzanti per il nuovo regime, desta perplessità quello che si dice di Erwin, e cioè che sia diventato nazista. Magari per indubbi meriti professionali, ma sempre nazista.
Per dimostrare che i suoi meriti sono solo tecnici, Erwin fa leggere la lettera al principale. La reazione è di ammirazione per l’ingegno del giovane e tuttavia di malcelata perplessità: segno che il signor Moser non ama i nazisti. Gli restituisce il foglio con un cauto e paterno suggerimento: di non mettersi dalla parte sbagliata.
Erwin lo ringrazia perplesso. Non è certo di aver compreso bene. Si chiede: perché il signor Moser non è contento come tutti in paese, e non lo è nemmeno mio zio?
Quella sera, alla fine del lavoro, si fa avanti Claudia che si congratula con lui e chiede se l’accompagna a casa. A Erwin tremano le gambe, mentre fa salire sulla bicicletta la ragazza, e pedala via.
Claudia fa l’offesa perché non le ha detto niente del tram e di tutto il resto, ma il discorso è interrotto di continuo da passanti che salutano, che vorrebbero saperne di più. Troppo importante è diventato il loro giovane compaesano per non condividerne il successo.
Arrivati al cancello di casa, Claudia lo ha già perdonato e gli dà un rapido bacio. Lui resta a guardarla scappare via, poi gira la bicicletta e si mette a pedalare con una gioia incontenibile.
Mentre sta per entrare in casa, da una finestra semiaperta sente lo zio che rimprovera sua sorella di non mostrarsi felice e orgogliosa. In paese la gente mormora sconcertata: come può una madre non partecipare alla popolarità di suo figlio. Così facendo si seminano sospetti che generano veleni.
Erwin non vuol più ascoltare, entra. Lo zio lo apostrofa senza mezzi termini:
“Cos’è tutta questa storia?”
Erwin mostra la lettera del Führer, incapace di rispondere. Lo zio, calmo come sempre, dà un’occhiata indagatrice che Erwin non è in grado di sostenere:
“È quasi da non credere.”
Il ragazzo si nasconde dietro un gran sorriso che pare di gioia, mentre è di terribile imbarazzo, per non dire di paura.
“Ragazzo mio, vedi di non sprecare il tuo talento”.
Quando Hilde resta sola col figlio gli parla con insolito affetto:
“Se devi andare a Berlino, mica puoi andarci vestito così. Domani comperiamo una nuova giacca… Sai figlio mio, anche se la lettera e tutto il resto non mi piace, per onestà devo dirti grazie perché tu hai salvato il nostro Anton”.
E gli rivela che due della Gestapo, tornati di nuovo in canonica per interrogarlo, avendo scoperto per bocca della perpetua la sua parentela con l’ormai famoso Erwin Stolz, se ne sono andati dopo essersi complimentati col sacerdote.
Il 23 agosto Erwin parte per Berlino. Al capolinea del tram sopraggiunge il Gauleiter Kofler in persona, l’altrettanto noto cittadino di Glockendorf, che gli raccomanda di farsi onore e di porgere al Führer i suoi personali e più rispettosi saluti nazionalsocialisti.
Erwin ringrazia intimidito. Vede d’un tratto Claudia, sbucare da dietro le autorità. Mentre la ragazza avanza verso di lui, Erwin si sente gelare il sorriso perché Peter con un balzo si mette in mezzo e battendo sonoramente i tacchi lo saluta a braccio teso. Ma Claudia non si ferma e lo scavalca impulsiva e imprevedibile come sempre per dargli un bacio beneaugurante.
Due baci in pochi giorni sono tanti e Erwin parte felice.
Le giornate a Berlino sono giornate di stordimento. Strade troppo grandi, locali animati e pieni di donne eleganti, un accento tedesco così diverso dal suo morbido austriaco.
Erwin è impressionato dalla grandiosità della capitale del Reich, dalle auto moderne e luccicanti, dalle splendide divise: ha la sensazione di trovarsi al centro del mondo. Ogni tanto si rifugia in un museo o in un cinema coi cinegiornali del regime. La sera chiuso nella pensioncina dietro la stazione, in una stanza senza finestre, quella che costava di meno, scrive resoconti entusiastici della sua udienza dal Führer. Usa cartoline perché tutti al paese possano leggerle e sapere. E tutto diventa vero perché i luoghi li sta visitando sul serio e Hitler è in tutti i cinegiornali.
Al terzo giorno dietro la vetrina di una vecchia cartoleria, un residuo d’altri tempi, scorge un’inimmaginabile pergamena su cui è dipinta Maria Vergine circondata da un grappolo di angioletti, con una corona di alloro tra le mani e, sotto, lo spazio vuoto per una qualsiasi scritta onorifica. Ecco il diploma!
E lo diventa davvero scrivendo a lettere gotiche il proprio nome, scarabocchiando alcune firme e imprimendo sopra con la ceralacca il profilo di Hitler, quello dei francobolli. Adesso, da “laureato”, può tornare a casa.
Il ritorno a Glockendorf è ancora più sensazionale della partenza: bandiere, gente festante, Claudia sempre più bella e ammirata delle gesta di Erwin, Peter sempre più roso dall’invidia.
L’accoglienza ufficiale ha luogo nella sala del municipio dove il festeggiato è invitato dal borgomastro a raccontare il suo memorabile incontro col Führer. Manca solo il Gauleiter Kofler, trattenuto all’ospedale di Vienna dove è stato operato d’urgenza di emorroidi. Erwin scorge inaspettatamente sua madre e ha un tuffo al cuore, con lei in sala fa più fatica a dire tante bugie anche se evita di guardarla.
Ha imparato il resoconto a memoria e perfino con modestia se la cava alla grande, sorprendendo tutti, per primo sé stesso. Nella piccola folla prevalgono le camicie brune e i nuovi devoti all’astro coi baffetti e il ciuffo in fronte, ma ci sono anche semplici curiosi.
Tutti a pendere dalle sue labbra, molti applausi e alla fine la voglia di stringere la mano fortunata che ha toccato quella del Führer. Finché l’abbraccio silenzioso di sua madre che si sforza di sorridere, non gli fa capire che la misura è colma, come a dire che lì dentro è l’unica a vergognarsi di lui, ed è il momento di filare via.
All’uscita ha un attimo di smarrimento quando Peter gli chiede a bruciapelo con quale appellativo si è rivolto al Führer. E lui improvvisa:
”’Heil, Herr Reichskanzler’”.
E Peter:
“Strano, mio padre una volta partecipò ad un ricevimento e tutti gli invitati avevano avuto l’ordine di dire: ‘Heil, mein Führer’”.
Preso in contropiede, Erwin precisa di non aver avuto nessuna istruzione del genere. Ma l’altro appare poco convinto, molto sospettoso: assicura che ne parlerà con suo padre.
Rincasando al braccio della madre sempre silenziosa, che non nutre dubbi sui meriti del figlio, ma disapprova la sua adesione al nazismo, Erwin ha la spiacevole sensazione di aver “bluffato” troppo. Le ginocchia sono molli, gli gira la testa.
Trovano lo zio prete che non fa domande e così finalmente Erwin non deve dire altre bugie. Ma ci pensa Frau Helga a fargli tirare fuori il diploma, la cui vista scandalizza il sacerdote:
“Um Gottes Willen! Possibile che Hitler strumentalizzi perfino la Madonna? È incredibile. D’altra parte il nostro Cardinale s’è già messo con lui!”
Prima di andarsene gli raccomanda di non montarsi la testa e gli confida che prega Iddio di non trovarsi con un nipote nazista. Sorride sornione:
“Prima o poi verrai a confessarti, vero?”
Alla tipografia l’indomani mattina la saracinesca appare semiabbassata, malgrado l’orario di lavoro. Gli operai osservano perplessi i numerosi poliziotti che piantonano l’ingresso. Esce il signor Moser con un poliziotto e si rivolge ai suoi.
Con un mezzo sorriso cerca di sdrammatizzare quanto sta accadendo. Minimizza con poche parole ferme: non è successo niente di grave, una semplice perquisizione, ormai di prammatica, in cerca di volantini antinazisti. Da noi? E sorride.
“Figuriamoci: voi potete tornare a casa tranquilli. Per oggi siete liberi, domani sarà un giorno di lavoro come un altro”.
Erwin lo guarda preoccupato perché alcune voci avevano già mormorato di un esproprio nazista, al quale non sarebbe estraneo il Gauleiter Kofler.
Erwin attraversa il paese ossequiato dai passanti, ma la cosa invece di fargli piacere lo confonde e lo innervosisce. Cercando di non dare nell’occhio arriva dal veterinario dove Claudia lavora. È preoccupato per quanto succede in tipografia. La ragazza non sembra allarmata. Confida nella prudenza di suo padre che è sempre rimasto fuori dalla politica.
Erwin domanda se non trova Peter importuno e sempre sospettoso? Claudia è convinta che si tratti di gelosia. Anche lei è infastidita dai suoi modi arroganti e da un po’ cerca di evitarlo. Sorride a Erwin, che non crede alle proprie orecchie, e gli appunta sulla giacca un distintivo:
“Finché lo porterai non ti farà niente nessuno. Solo non dire che te l’ho regalato io”.
Gli carezza i capelli e lo attira a sé. Un bacio inaspettato e pieno di promesse suggella l’incontro, un attimo prima che sulla porta compaia il veterinario.
Rientrando quella sera molto euforico Erwin trova sua madre tesa, sempre a fumare e fare cruciverba che non le riescono bene come vorrebbe. Alla vista del distintivo la donna ha una reazione immediata e glielo strappa, lasciandosi andare ad uno sfogo nervoso:
“Quando la smetterai di giocare con le svastiche? Sei ormai un uomo ma hai un cervello da ragazzino. Quando crescerai? Quand’è che aprirai gli occhi? E dire che hai uno zio che sta dalla parte giusta, che aiuta cristiani ed ebrei tutta brava gente, e li nasconde e li mette in salvo. Da ultimo il sarto Coen e la sua famiglia. E oggi l’ha convocato il cardinale, c’è dietro la Gestapo sono sicura. E se lo arresteranno?”
Scoppia a piangere:
“Cosa faremo tu ed io da soli? Con la testa che hai, cosa faremo, me lo dici?”
Erwin è steso sul letto, perplesso: o lui diventa davvero uno importante agli occhi del regime, o tanto vale starsene sepolto in tipografia, subire i giochi del destino, non aiutare lo zio e col rischio di perdere Claudia. I nazisti hanno mandato in campo di concentramento più di un sacerdote. E se zio Anton viene scoperto dalla Gestapo? Lui non sa bene cosa fa lo zio quando non dice messa, ma è uno giusto e deve aiutarlo in qualche modo. Deve escogitare qualcosa di sensazionale, aumentare la propria popolarità agli occhi dei nazisti. Deve sembrare uno di loro, con grandi meriti, più nazista di Peter e più opportunista di quel trippone di suo padre.
Il suo cervello ribolle di fantasticherie iperboliche. Occorre mettere in soggezione quelli della Gestapo. Come? Occorre un gesto tanto importante da attirare su di sé l’ammirazione e il rispetto di qualche alto papavero nazista. Ma quale gesto? Mica è facile…
Ed ecco un ricordo improvviso: Erwin è in un bagno pubblico a Berlino. Davanti alla porta chiusa dell’unico gabinetto un signore azzimato e borioso scalpita impaziente. Bussa ripetutamente alla porta perché se la sta facendo letteralmente nei pantaloni. Impreca contro chi lo tiene occupato così a lungo. Erwin si chiede divertito cosa dirà sul muso dell’occupante quando se lo troverà davanti.
Finalmente la porta si spalanca e, con tutta calma, guardando dall’alto in basso, esce un alto ufficiale delle SS. Il signore si fa piccolo piccolo, si piega, si scioglie in un sorriso di scuse …
Nella penombra del suo letto, Erwin finalmente si addormenta con un sorriso enigmatico e soddisfatto.
Erwin percorre le strade di Vienna, confuso tra la gente. Si ferma davanti alla vetrina di un negozio di abbigliamento militare: è quello che cercava. Entra aiutandosi con un gesto di autoconvincimento. Nel negozio sceglie con cura pezzi di uniformi diverse: una giacca bianca, due spalline corrispondenti ai gradi di tenente, pantaloni blu, un berretto con visiera … e per finire un cordone d’argento di ufficiale di Stato Maggiore.
Il commesso lo guarda insospettito e gli chiede se ha il permesso di acquistare tutta quella merce. Erwin risponde che gli serve solo per una recita. E non sta nemmeno raccontando una bugia! Ignora che il diritto d’acquisto di capi militari è soggetto a regole precise. È possibile soltanto per chi esibisce una tessera che certifichi il proprio ruolo, spiega il commesso.
Erwin insiste ma deve rinunciare di fronte alla severità del direttore, chiamato dal commesso, che lo diffida a compiere un falso e che dà l’impressione di voler chiamare la polizia.
Un giro a vuoto, pieno di rabbia, lo conduce casualmente davanti all’entrata di un teatro. Ha la faccia di chi ha avuto un’idea.
Erwin prova diverse uniformi in una sartoria che affitta costumi. Spavaldo, si inventa una vita di attore e la racconta ad un sarto che non sembra povero di idee, tanto che propone con gesto pomposo una giacca incredibile, decorata col cordone d’argento, e commenta divertito:
“Con questa farà concorrenza al Maresciallo Göring”.
Erwin lo guarda eccitato e sbalordito:
“Davvero? E se mi arrestano?”
Il sarto scoppia a ridere:
“Beh scherzavo, è solo un gioco tra noi commedianti. Nessuno conosce tutte le divise del Reich, nemmeno il sommo Capo”.
Davanti allo specchio di casa finisce di vestirsi. Sistema il cordone d’argento e d’onore dalla parte opposta rispetto a quella di prammatica, modifica altri particolari per evitare l’eventuale accusa di aver indossato un’uniforme vera e, in punta di piedi, esce in strada.
Fermo davanti alla porta suona il campanello e si mette sull’attenti.
L’urlo di sua madre, quando apre, lo lascia profondamente interdetto. Lui cerca di spiegare che il titolo d’onore che il Führer gli ha concesso gli consente di indossare una divisa speciale. Anche se la spiegazione può sembrare verosimile, la donna pensa che suo figlio sia ormai ammattito e scoppia in un pianto sconsolato.
Il giorno dopo, domenica, Erwin fa un giro di prova in paese.
I passanti lo guardano con stupore, alcuni fanno un cenno di rispettoso saluto, un paio di sottufficiali lo riveriscono portandosi la mano al berretto. Erwin nasconde a stento la voglia di ridere: il suo gioco sta riuscendo in pieno.
Si fa vedere in prima fila dai fedeli che gremiscono la chiesa e approvano il giovane nipote del parroco, nazista e sincero praticante. Pater Anton, nello scorgerlo con quella divisa, ha un sussulto e per poco non si fa scivolare di mano il calice. Erwin è felice che lo zio sia sempre al suo posto e ricambia quello sguardo di malcelato sbalordimento, con un vistoso sorriso: che tutti vedano!
Nella birreria principale il consenso è unanime. Battute di elogio, strette di mano, pacche sulle spalle, birre sempre più grandi. Fioccano gli aneddoti sul ragazzo prodigio, ormai amico di tutti. La sua storia raccontata dagli altri diventa davvero sensazionale.
Quando esce dalla birreria Erwin è su di giri e ha le gambe incerte. Affronta con sicurezza incosciente l’odiato Peter che l’aspetta al varco. L’ex compagno di classe gli annuncia, con malcelata perfidia, che suo padre l’indomani lo aspetta nel suo ufficio per sapere dei saluti che doveva portare al Führer. Senza scomporsi Erwin assicura che non mancherà, che darà senz’altro tutte le spiegazioni del caso. Poi lo pianta in asso con un sonoro “Heil Hitler” e si allontana in bicicletta fischiettando una marcia nazista.
Fatti duecento metri l’ugola gli si strozza e la disperazione gli appanna la vista. Che fare? Pedalare lontano, via da tutto e da tutti? E lo zio? E Claudia? E io, povero me, adesso cosa faccio?
Scivolato sull’erba di un’aiuola, lontano dai lampioni, supino a rifiatare e a fissare stordito le stelle, Erwin in quel momento non può immaginare che l’indomani si sarebbe rivelato pieno di sorprese e di eventi per lui decisivi. Insomma che le carte della sua vita, una volta tanto non per mano sua, stavano rimescolandosi tutte.
Al mattino molto presto, ancora col latte fresco in mano, la madre lo sveglia: il signor Moser è stato arrestato. Prelevato da alcuni militari sembra sia stato condotto a Vienna. Alla centrale del latte non si parla d’altro.
Erwin corre a casa di Moser ma non trova nessuno, nemmeno Claudia. La incontra in tipografia, in preda alla disperazione, attorniata dagli operai che lo guardano con sospetto. Temono che arrivi un nuovo padrone in camicia bruna. La ragazza è piena di rabbia con quelli della Gestapo: suo padre non ha mai fatto niente di male, non è ebreo e nemmeno tra i loro parenti ci sono ebrei. Pensa che sia stato un errore.
Sono venuti in piena notte: hanno messo sottosopra la casa e l’hanno portato via in manette come un delinquente.
Claudia ha i nervi scossi e perde il controllo, se la prende all’improvviso con Erwin perché se la fa coi nazisti, perché è un nazista anche lui. Scoppia in un pianto di rabbia e grida di non farsi più vedere, né da lei né in tipografia. Lei non frequenterà più dei nazisti, questo è sicuro.
Disperato e incavolato nero Erwin incontra Peter per strada. La spara grossa: lo accusa di aver denunciato Moser per prendersi la tipografia e magari ricattare Claudia. I due passano subito ai pugni, alla zuffa più rabbiosa, tenuta in sospeso da molto tempo.
Alcuni contadini li dividono a stento. Peter giura che gliela farà pagare.
La madre di Erwin mette un tamponcino al naso che sanguina. Chiede se ha finalmente capito cosa succede in tutto il paese:
“Hai visto i nazi? Cosa ti dicevo? Lascia stare, tieniti alla larga. Non fare la scimmia dietro a quelli. Non ti vergogni adesso? Hai visto Moser? Una così brava persona, quello che ti dà il lavoro! …”
Erwin soffre in silenzio, perché nemmeno a sua madre può raccontare la verità.
Pensa che deve trovare un modo per riscattarsi, e alla grande, e subito…
Il cortile della Wehrmacht, in un sobborgo di Vienna, è attraversato con passo deciso da Erwin in uniforme. Si rivolge con autorità ad un autista e requisisce una berlina per il trasporto di un prigioniero importante. Poi si fa annunciare ad un piantone che telefona al superiore. Mentre attende, da una porta laterale viene trascinato fuori un uomo col volto tumefatto e sanguinante, semisvenuto. L’autista sembra contento che ci siano quelli della Gestapo a fare il lavoro sporco, anche perché la giusta punizione per i nemici del Reich è, a dir poco, carcere e legnate.
Erwin riconosce nel prigioniero il tramviere Brunner, quello del pantografo, un antinazista torturato a sangue. Inghiotte saliva allibito ed è sul punto di alzare i tacchi.
Troppo tardi: una voce gli ordina di salire al primo piano. Erwin sale e bussa ad una grande porta: dopo qualche eterno secondo gli viene intimato di entrare.
Un anziano capitano col volto arrossato, il berretto un po’ di traverso e l’aria forzatamente severa, lo squadra da dietro una scrivania. Erwin si qualifica con un nome falso e dice di avere l’ordine di prelevare tale Oskar Moser per condurlo alla Centrale di polizia, dove il comandante in persona vuole interrogarlo. L’ufficiale osserva Erwin con perplessità, segno che la sua divisa fa un certo effetto. Poi comincia a studiare l’ordine scritto che Erwin gli ha solennemente consegnato. Lo legge con meticolosa attenzione, come per dimostrare che le cose vanno fatte seriamente. Erwin è sempre sull’attenti e la fronte comincia a coprirsi di sudore. Basterebbe che il capitano facesse una telefonata di controllo… e tutto all’aria!
In quel mentre si spalanca una porta laterale e appare un ufficiale sbronzo con una bottiglia di champagne per brindare all’eterno femminino.
Alle sue spalle echeggiano risate femminili. L’ufficiale tende la bottiglia verso Erwin, la cui compunta risposta è che il soldato tedesco in servizio non beve.
Il capitano molto seccato caccia il collega con un urlaccio, poi coglie un’occhiata di Erwin ai bottoni della propria giacca. Colto in fallo se li abbottona in modo corretto e restituisce il foglio. Con un altro urlaccio chiama il piantone per prelevare il prigioniero. Invece di uscire Erwin è rimasto lì impalato e gli porge di nuovo il foglio: è necessario lo “scarico”. Il capitano sbuffando lo accontenta e scarica sull’ordine un gran timbro.
Erwin e il prigioniero stupefatto, salgono sull’auto e prendono posto sul sedile posteriore. La grossa berlina con un robusto vetro divisorio si mette in moto.
Affacciato ad una finestra del primo piano, il capitano sta dicendo al collega dello champagne:
“I giovani oggi sono i più fanatici. Povera Wehrmacht, sanno a memoria le parole del regolamento!”
“A quello è andato il nazismo al cervello”.
“Sarà, ma tu stavi per combinarla grossa Ferdinand, accidenti a te!”
L’auto percorre una strada di Vienna. Erwin fa tacere con un gesto il signor Moser… all’improvviso l’auto si ferma perché passa una chiassosa banda militare, salutata da cittadini festanti.
Ad un cenno perentorio di Erwin, uno a destra, l’altro a sinistra, i due sgattaiolano fuori e si allontanano tra la folla indisturbati.
L’auto militare giunge all’ingresso di un imponente edificio e viene fermata dalla sentinella.
“Trasporto un prigioniero importante”
asserisce l’autista facendo un significativo gesto con la mano.
“E quale?”
La sentinella guarda stupito nel vuoto.
L’autista spazientito si volta e resta di stucco.
Glockendorf, notte. Davanti alla parrocchia si ferma un furgone del latte. Una porta si socchiude, il parroco guarda verso l’autista e gli fa un gesto d’intesa.
Erwin e Moser saltano giù e si infilano veloci in casa.
L’abbraccio dello zio Anton a Erwin è particolarmente caloroso: sospettava che suo nipote fosse un poco “speciale” e ora ne ha la conferma. Adesso occorre mantenere il segreto più assoluto: Erwin deve continuare a sembrare un ardente nazista e potrà ancora essere utile alla causa. Intanto il signor Moser, che non è da meno nell’abbracciare il giovane eroe, resterà nascosto in parrocchia.
Erwin rincasa senza fare rumore: sua madre dorme. Si spoglia in fretta e fa sparire l’uniforme in un nascondiglio sotto il pavimento. Poi si infila nel letto, davvero contento di sé stesso e di quanto ha dimostrato di saper fare… e se qualcuno lo avesse visto? E se venisse riconosciuto? E se la polizia piombasse a casa sua? Malgrado questi dubbi assillanti, nell’intimo sente che continuerà con i suoi “giochi” pericolosi, non più come un ragazzo incosciente ma come un giovane consapevole della realtà politica in cui vive… Questo è il pensiero vincente, finché il sonno non prevale su domande che cercano risposte.
In quello stesso momento Claudia riabbraccia il padre. Il signor Moser dà della sua fuga una versione diversa, che esclude totalmente Erwin.
La notizia della clamorosa fuga di Otto Moser gira in un baleno per Glockendorf e fa subito sensazione.
Sin dal primo mattino tipacci della Gestapo si aggirano per il paese, perquisiscono la casa del ricercato davanti alla figlia in lacrime, che nega di sapere dove sia suo padre. Altri poliziotti presidiano la tipografia, piantonata e inaccessibile a tutti.
Erwin viene svegliato dalla madre che gli sventola sotto il naso la cartolina di arruolamento, arrivata il giorno prima. Lui afferra il cartoncino provvidenziale e lo bacia: ecco la via di fuga da un gioco ormai insostenibile. La madre è stupita: perché l’hanno richiamato, visto che ha già l’uniforme? Erwin non risponde: troppo difficile da spiegare. Scandendo bene le parole le raccomanda di dire a chiunque che appena ricevuta la cartolina, lui è corso a Vienna all’ufficio leva.
Poi toglie dal nascondiglio la divisa e la consegna alla madre che lo guarda sbalordita, come se suo figlio fosse del tutto matto… anche perché le sussurra qualcosa di inconcepibile all’orecchio.
Nel piazzale della grande caserma Erwin spala la neve. Fa molto freddo. Il lavoro è duro perché bisogna togliere il ghiaccio col piccone, ma là dentro si sente al sicuro. Si fa notare perché canta allegramente. Gli altri lo guardano sconcertati e pensano che sia un deficiente.
Su ordine del Gauleiter Kofler e con la presenza di Peter, la Gestapo perquisisce la casa di Erwin. I poliziotti non trovano nulla di compromettente, anche perché la famosa uniforme sta finendo di bruciare nel caminetto. Con tono arrogante Peter chiede dov’è Erwin. La donna risponde sorridendo:
“In caserma, naturalmente”.
Claudia rimette in ordine la casa, aiutata dalla perpetua, e sceglie alcuni abiti per il padre. Confessa piena di vergogna di sentirsi stupida per aver creduto nel regime come tanti giovani, per aver pensato che il nazismo fosse un bene. E solo ora si rende conto che arresta gente onesta come suo padre, solo perché non iscritto al partito.
Suonano alla porta.
Peter si presenta con una gran faccia tosta, si dice dispiaciuto per l’accaduto. Claudia ha una reazione veemente e si sfoga. Ha capito finalmente che razza sono lui e quelli come lui: fanatici, disumani e violenti. E sono tutti eguali, e le dispiace solo che anche l’ingenuo Erwin ci sia cascato, sia diventato uno di loro.
Quello si è montato la testa, replica Peter, è diventato un vero fanatico. Forse c’entra con l’arresto per dirigere lui la tipografia…
Di fronte ad una calunnia così mostruosa, Claudia resta un attimo paralizzata, ma non vuole più ascoltare e gli sbatte la porta in faccia. Peter va via carico di rabbia e propositi di vendetta verso quel pidocchio che s’è messo in mezzo.
Per non destare sospetti, e già qualcuno in paese le ha tolto il saluto, Claudia si tiene lontana dalla parrocchia e torna come d’abitudine all’ambulatorio veterinario. Un giorno succede qualcosa di imprevedibile: il dottore, sempre tanto corretto e gentile, le mette le mani addosso. La ragazza resiste, si divincola con tutte le forze e gli sferra un calcio che fa male. Scioccata e furiosa corre via mentre le strade sono inondate dalla wagneriana “cavalcata delle walkirie”, diffusa da un furgoncino guidato da Peter che annuncia un raduno ginnico della Hitler-Jugend.
Claudia si rifugia in casa, chiude la porta col catenaccio e si lascia andare ad un pianto sconsolato.
Mentre esegue manovre di marcia nel cortile, Erwin è chiamato in parlatorio.
Una sola speranza assurda per un attimo: Claudia? Cortile, scale, corridoi vengono superati di corsa, ma l’illusione finisce di colpo quando si trova a tu per tu con Peter in divisa da SS.
E le sue parole fanno male:
“Mio padre è convinto che tutta la storia sia un imbroglio. Vuol verificare la tua posizione a Berlino”.
Erwin cerca di tenere la voce ferma:
“Perché?”
Peter lo guarda con aria di sfida e scandisce tre parole:
“Lascia stare Claudia”.
Erwin finge di non capire. Si alza in piedi sarcastico:
“Grazie, se hai fatto il viaggio per questo, potevi risparmiarti il disturbo. Heil Hitler”.
Batte i tacchi e se ne va.
In realtà Erwin è di nuovo nei guai perché Peter non molla. Basta un niente che al paese scoppi un casino incredibile e potrebbero andarci di mezzo sua madre, lo zio Anton e persino Claudia. Sente che occorre una nuova mossa, non può starsene lì in caserma a spalare la neve. Bisogna inventarsi qualcosa, rilanciare. E bisogna farlo subito perché tra alcuni giorni c’è la licenza natalizia e si ritroverà al paese, e i nodi verranno al pettine.
Quella notte Erwin non dorme perché ha scatenato la fantasia, finché il suo volto si distende in un sorriso che è tutta una promessa.
L’indomani mattina telefona al Das kleine Volksblatt, un quotidiano molto diffuso, dichiarando di voler parlare con un redattore per un’intervista.
Al paese viene letto un articolo addirittura sensazionale intitolato: “INSOLITA CARRIERA DI UN APPRENDISTA MECCANICO”. Alcuni dettagli risultano inediti persino a Erwin: il cordone d’argento era stato concesso dal Führer “soltanto a tre abitanti dell’Austria”, inoltre, ed è un’incredibile anticipazione, tutte le vetture tramviarie potranno disporre tra poco del nuovo pantografo inventato dal giovane Stolz. Ma la notizia scovata dal solerte giornalista, che lascia tutti increduli e senza parole, a dir poco invidiosi, è che Erwin Stolz è nato nientedimeno nello stesso giorno di Adolf Hitler.
Il numero natalizio del quotidiano è arrivato a Glockendorf insieme alle lacrimevoli note di “Stille Nacht, heilige Nacht”, ed è andato a ruba.
Alla solenne e affollata messa di Natale celebrata dallo zio Anton, partecipa, e la sua presenza fa sensazione, perfino il Gauleiter Kofler che di solito preferisce il duomo di Vienna. Il governatore in alta uniforme accompagnato dalla moglie e dal figlio Peter, entra in chiesa un momento dopo l’inizio della celebrazione e va a sedersi al primo banco, là dove qualcuno gli ha fatto subito posto.
Appena dietro è seduto Erwin, ormai concittadino celebre, accanto alla madre che sfoggia un cappellino civettuolo.
Alla vigilia della solenne messa natalizia, sentendosi in peccato per tante bugie, Erwin si era voluto confessare. Ma lo zio, che aveva già saputo quello che voleva sapere e non aveva bisogno di conoscere altri particolari, gli aveva dato la più ampia assoluzione a forfait, senza nemmeno un’Ave Maria.
Malgrado ciò, l’arrivo del Gauleiter e di Peter ha messo in ansia Erwin che non se l’aspettava; gli sembra che a fine messa l’incontro sia inevitabile, e l’idea gli provoca dei sudori freddi. Non ha più nemmeno il coraggio di voltarsi verso Claudia per cercare di scoprirne gli umori, dato che Peter con la coda dell’occhio osserva tutto. Così come attraverso una grata sporgente sopra la navata laterale, sta facendo il signor Moser, in penombra, preoccupato per sua figlia che siede tutta sola nell’ultima fila.
Dopo l’ispirato messaggio natalizio – pieno di riferimenti evangelici che possono essere letti come metafore sulla cattolica Austria, ora fagocitata e parte integrante del grande Reich – il parroco esorta a tenere sempre presente la parola della suprema legge e cioè il verbo del Vangelo, inaspettatamente si alza il Gauleiter per rivolgere ai presenti il suo saluto. Si rivolge ai nuovi cittadini del Terzo Reich e, brevemente e con toni ispirati, li richiama alla suprema missione del nazionalsocialismo alla quale ciascuno ha l’onore e il dovere di partecipare in prima persona. E invita tutti a prendere esempio dal giovane Erwin Stolz che, pur restando un buon cattolico, ha saputo mettere il suo ingegno al servizio della nuova patria germanica, senza dimenticarsi di Glockendorf, il paese che gli ha dato i natali e che ora è su tutti i giornali.
Mentre i presenti sono rivolti verso il Gauleiter, Erwin cerca di catturare lo sguardo di Claudia, perché tra lui e la ragazza le cose si sono messe davvero male, e vorrebbe farle capire quanto le vuole bene. Ma ogni suo tentativo va a vuoto, e forse lei davvero non lo vuol guardare.
A cerimonia ultimata, i fedeli si avviano lentamente verso l’uscita. Nella calca, Erwin è riuscito a raggiungere Claudia che non gli lascia aprire bocca e gli mormora parole di fuoco:
“Sei un fanatico. Te la fai con certa gente, non ti voglio più vedere, come te lo devo dire? Per me sei morto.”
Nel piazzale il Gauleiter fa cenno a Erwin di avvicinarsi. Il potente uomo politico gli rinnova gli encomi, aggiungendo però che gli sembra del tutto disdicevole, per chi come lui è un simbolo della gioventù nazionalsocialista, frequentare una ragazza il cui padre è una spia e un traditore ricercato dalla Gestapo.
Erwin, a tu per tu col Gauleiter dopo il suo viaggio a Berlino e avendo mancato di presentarsi a lui come gli era stato ordinato da Peter, è preso dal panico e teme il peggio. Ma poi alle spalle del padre scorge Peter che fa capolino, e allora capisce al volo il senso di quell’ammonizione e scattando sull’attenti esibisce la sua totale obbedienza con un energico saluto nazista:
“Sissignore, heil Hitler!”
La Madonna, con gli stessi abiti celesti con cui appariva nel famoso diploma di Berlino, sta per dare la comunione a Erwin, inginocchiato davanti a lei.
Quando Erwin alza il capo per ricevere il sacramento, scopre che la Madonna ha il volto sorridente di Claudia …
Un brusco e forte toc-toc interrompe il sogno di Erwin nella brandina militare. Una voce perentoria lo chiama a rapporto dal comandante, il temuto colonnello von Kollwitz, famoso per formalismo e durezza.
Cosa vorrà mai – si chiede Erwin – da un semplice soldato austriaco? Per di più un ufficiale venuto dalla lontana Prussia, un aristocratico… certo un protestante …
Eccolo Erwin sull’attenti, in ansia spasmodica, sotto gli occhi di alcuni ufficiali serissimi.
“Soldato Stolz, siamo stupefatti!”
Il tono è di forte rimprovero, la pronuncia tagliente. Erwin trasuda panico. Il colonnello è in piedi davanti alla scrivania e lo trafigge con lo sguardo:
“Perché non dirlo prima?”
Che cosa? Si chiede Erwin con la lingua paralizzata, in attesa che la folgore si abbatta sul suo capo.
Deluso dal silenzio del soldato, il colonnello scuote la testa in segno di disapprovazione e torna alla sua poltrona. Ed ecco che la paura di Erwin di colpo si volatizza, perché al centro della scrivania è appoggiata, in bella mostra, una copia del quotidiano Volksblatt. Quella copia.
“Proprio come dicevo io, signori. È troppo modesto”.
Gli ufficiali sogghignano.
Erwin si scusa:
“Io… non desideravo nessun privilegio, signor colonnello. Volevo fare il mio dovere come tutti i camerati”.
Von Kollwitz punta il dito su Erwin:
“Ecco, signori miei, ecco il vero spirito del soldato germanico. Un’altra prova dello straordinario intuito del nostro Fuehrer che ha scelto questo semplice soldato tra milioni di giovani”.
“Heil Hitler!”
Grida Erwin mentre i presenti scattano sull’attenti e battono i talloni.
“Riposo”.
Proclama il colonnello:
“Soldato Stolz, quali sono le sue mansioni a tutt’oggi?”
“Marciare e spalare la neve, signor colonnello.”
Von Kollwitz tace. Poi con un colpo di tosse:
“Beh, è tutto finito. Soldato Stolz, sei esentato da ogni incombenza di questo tipo. Avrai uno studio tutto per te e il permesso di uscire e rientrare in caserma a tuo piacimento. Inoltre porterai il cordone d’argento sull’uniforme. È un ordine. Naturalmente noi qui al reggimento ci aspettiamo da te altri importanti risultati”.
Il colonnello considera Stolz una gallina dalle uova d’oro, che sta nel suo reggimento come in un pollaio. Quel ragazzo, pensa von Kollwitz, può recarmi un certo vantaggio, persino una promozione a generale! Nasce così un’incredibile alleanza tra colonnello e soldato semplice.
Alle prime luci dell’alba Erwin dorme beato mentre i suoi compagni nel cortile eseguono marce e picchetti.
In un orario più conveniente, il colonnello accompagna Erwin nei grandi capannoni di un’officina. Vuole che prosegua lì le sue ricerche e gli esperimenti. Gli mette a disposizione perfino un aiutante, il caporale Puff, un renano cattolico che da civile fa il tramviere, e tutto quanto di strumentale gli possa servire per sviluppare nuove idee.
Erwin seduto sul sedile posteriore di una splendida Mercedes a otto cilindri, indica a Puff la strada per Glockendorf. Ha completato la sua uniforme d’ordinanza col cordone d’argento dalla parte regolare, e sopra i taschini della giacca figurano i ricami della sigla del Politecnico di Berlino.
Davanti a casa sua Erwin scende dopo aver atteso che gli venga aperto lo sportello.
Qualche passante, avendolo riconosciuto, si sofferma stupito. Chi osserva la targa militare, chi l’uniforme. Già, com’è che l’ha cambiata? E poi non s’è mai visto un caporale al servizio di un soldato semplice. E qualcuno commenta che non si è neanche mai visto un soldato semplice col cordone d’argento. Insomma ognuno ha la bocca piena di perché.
Sua madre – che ormai non si sorprende più di nulla – l’osserva ammutolita.
Erwin appare in missione: è serio, sbrigativo. Chiude con somma cura il modellino del tram con tutti i binari in grandi scatoloni, che Puff ha portato con sé. Un ottimo aiutante il caporale, che si potrebbe dire “stregato” dal cordone d’argento del giovane genio. Il quale uscendo fa l’occhietto alla mamma e l’abbraccia dicendole di stare tranquilla che tutto va bene. E Frau Hilde resta ammutolita e non sa più se piangere o ridere.
La Mercedes rallenta davanti alla casa di Moser, emette due colpi di clacson. Ma il volto luminoso dell’amata non appare, le finestre restano chiuse e le tendine abbassate.
Un minuto dopo Erwin entra dal veterinario in modo autoritario, quasi volesse fare un’ispezione, mentre un cagnolino da salotto abbaia a più non posso. Chiede di Claudia. Il medico risponde che non l’ha vista da un po’ di giorni, che forse è malata. Erwin gli intima di non sfruttarla troppo quando tornerà e di portarle rispetto. Il veterinario balbetta, esterrefatto, rassicurazioni generiche e sembra persino tremare.
Il piccolo tram rosso riprende a correre dentro il capannone. Accorrono a vederlo gli ufficiali del reggimento che si divertono come bambini. Il tram si arresta e – senza una manovra manuale sul pantografo – inverte la direzione di marcia tra gli applausi dei convenuti.
Il colonnello informa Erwin che ha già preso contatto con una ditta specializzata per realizzare il brevetto. Arriva il caporale Puff con lo champagne: si brinda alla maggior gloria del reggimento e del Reich.
Sdraiati sul pavimento, Erwin e Claudia seguono le evoluzioni del piccolo tram rosso. Piena d’ammirazione e entusiasmo, la ragazza abbraccia il geniale inventore e lo bacia sulla bocca. Travolto da tanta inaspettata passione, Erwin cerca di ricambiare come può…
Ma un toc-toc perentorio interrompe il suo sogno. Sobbalza nella brandina mentre qualcuno gli urla che sta facendo tardi per il collaudo.
Il geniale inventore insieme al colonnello e ai tecnici assistono al collaudo del nuovo pantografo. Il colonnello informa il giovane che presto invierà una relazione sulle sue benemerenze professionali al Ministero a Berlino, e allo Stato Maggiore una proposta per la nomina a ufficiale.
A Erwin sale improvvisa la paura, chiude gli occhi in attesa dello svenimento. Si domanda: è l’inizio della fine?
Intanto a Glockendorf la stella di Erwin brilla più che mai. La sua fama si sta diffondendo un po’ ovunque e si proietta anche su Frau Hilde, la madre vedova. In paese la sua esile figura ha cominciato a essere notata, qualcuno s’è accorto dei suoi bei seni che, malgrado i 40 passati, non sembrano affatto scesi. Fatto sta che un giorno il pasticcere Thaler – un belloccio vedovo da poco – la invita a fare merenda nel suo locale.
In un angolo ci sono tre tavolini da thè sempre vuoti. Ebbene, Frau Hilde un giorno è stata vista seduta lì con la sua molto-criticata-sigaretta-in-bocca, servita e ossequiata da Thaler in persona.
In una lussuosa camera d’albergo Claudia scioglie i bei capelli biondi. Sbottona con aria rapita e seducente l’uniforme a Erwin. Ha un’espressione piena di desiderio mentre sfiora con labbra ardenti l’amato corpo…
Bruschi toc-toc interrompono il sogno più bello! È un preoccupato caporale Puff che lo chiama a rapporto immediato dal colonnello.
Nell’ufficio del comandante il volto di Erwin sembra di cera. La porta è stata chiusa da Puff rimasto fuori. Lui è solo, impalato sull’attenti. Le sue orecchie sentono parole che non vorrebbero sentire. Parole molto incazzate:
“Uno, vorremmo sapere come ha ottenuto la laurea in ingegneria… Due: quando è avvenuto esattamente l’incontro col Führer…”.
Silenzio. Nella testa di Erwin tutto rimbomba e il sudore gli scende lungo la schiena.
“Tre: questo tram è un giocattolo perfetto. Soldato Stolz, da chi l’ha avuto?”
Eh, no! Erwin tace su tutto ma non sul tram, non può: il tram rosso è un’invenzione perfetta, ed è sua. Una sua creatura. Ne va troppo orgoglioso…
Così per lui si apre il portone di una tetra prigione militare. Nessuno tratta male il recluso Stolz. Sono tutti divertiti per la beffa, trapelata in gran segreto, che il ragazzo è riuscito a fare agli alti papaveri dell’esercito e del partito. La prima cosa che fa Erwin è di sdraiarsi sul tavolaccio della cella, incrociare le mani sotto la testa, guardare il soffitto e tirare un lungo sospiro di sollievo. Tutto volge al peggio, ma almeno la storia è finita: non deve affrontare nuove e faticose prove, ora non deve più inventarsi nulla.
Il primo interrogatorio comincia male: l’accusa è di oltraggio al Führer e alla divisa tedesca, di falsi in atti pubblici, eccetera. Significa pena capitale o poco meno. Troppo.
D’altra parte non può confessare il vero motivo per cui ha messo in scena gli atti di quella farsa, perché così facendo esporrebbe alle rappresaglie della Gestapo il signor Moser, suo zio e perfino sua madre per aver bruciato la divisa incriminata e forse per il solo fatto che l’ha partorito.
Intanto lo obbligano sotto dettatura a scrivere una lettera a sua madre in cui spiega che, dovendo partecipare ad una missione coperta dal segreto militare, per un po’ non potrà tornare al paese.
In parrocchia Frau Hilde legge la lettera al fratello e al signor Moser.
Appaiono entrambi molto preoccupati perché non sono affatto convinti che quella sia la verità. Sopraggiunge Claudia e cambiano subito discorso. Il parroco consiglia a Moser di espatriare senza ulteriori indugi. Restare comincia a essere troppo pericoloso: la Gestapo potrebbe perquisire la parrocchia da un momento all’altro.
Moser vuole portarsi dietro la figlia, ma Claudia ha un’altra idea. Intende restare per vendere la casa prima che venga confiscata dal regime. Lei non corre alcun pericolo, poi lo raggiungerà. È convinta che sia la soluzione migliore. E per questo progetto trova in padre Anton un alleato.
L’accusa di ostilità al regime è grave quanto quella di spionaggio e tradimento. Erwin si rende conto che occorre inventarsi subito qualcosa per tentare di salvare la pelle. Se poi arriva la fortuna tanto meglio: una sera il caporale Puff, entrato in prigione con la complicità di un secondino, gli confida che un detenuto politico della cella accanto, un suo amico disposto ad aiutare gli antinazisti, sta per essere rimesso in libertà. Si tratta di avere una trovata. Puff – che comunque considera Erwin un mezzo genio – è convinto che l’avrà. Erwin lo abbraccia commosso e riconoscente: ha trovato il primo vero amico della sua vita.
Durante la notte, nel cupo silenzio del carcere militare, si inventa una romantica e lacrimosa lettera d’amore. Eccessiva come tutte le vere lettere d’amore. Scrive a Claudia:
“… l’ho fatto per amor tuo, mia colombina, mi potrai perdonare? Come posso spiegarti che volevo soltanto apparire importante e famoso ai tuoi occhi, mia adorata, per baciarti milioni di volte stretta tra le mie braccia…”
e così via scrivendo.
Lo stratagemma funziona come deve. Il detenuto in uscita viene perquisito e gli si trova, nascosta in una scarpa, la lettera d’amore. E bravo Erwin! Tra i magistrati militari passano battute, risate, gomitate. I giudici sembrano propensi a credere a quel romanzetto d’amore, e comunque a punire l’imputato senza eccessiva severità.
Però la stella lucente di Erwin sembra di nuovo offuscarsi. Nel corridoio del tribunale viene riconosciuto da un ufficiale di passaggio: il capitano gaudente e beffato, a cui aveva sottratto il prigioniero Moser.
Tutto precipita: Erwin viene accusato di alto tradimento e di cospirazione contro il Terzo Reich. Nelle grinfie delle SS è sottoposto a duri interrogatori. I nazisti vogliono sapere i nomi dei complici e il nascondiglio di Moser.
Erwin ce la mette tutta per tenere la bocca chiusa. In lui è finalmente maturato un deciso spirito antinazista. È arrivato il momento di opporsi sul serio. Adesso si tratta di saper resistere. Subisce ripetute violenze fisiche, sebbene i suoi aguzzini non possono rovinargli la faccia che è quella di un “eroe”.
La sua popolarità lo aiuta. Sviene ripetutamente e la Gestapo è costretta a sospendere: per Erwin c’è in serbo un altro progetto. Che nemmeno lui, con tutta la sua fantasia, saprebbe immaginarlo.
I giudici militari lo richiamano in aula e, mostrandosi clementi e sornioni perché hanno “bevuto” la storia del romanzetto d’amore, condannano l’imputato a soli tre mesi di carcere. La condanna è così mite, viene spiegato ufficialmente, perché cade nel giorno del genetliaco del Führer. Così Erwin farà in tempo, e sarà un grande onore, a partecipare alle manovre campali dell’imminente estate… e per di più col grado di tenente!
Sul quotidiano popolare Volksbote che già si era occupato di Erwin con la famosa intervista, compare la notizia che il giovane – per le sue speciali benemerenze verso il Reich – è stato nominato tenente. A Glockendorf ne sono tutti stupefatti e ammirati.
Con aria indignata Claudia mostra l’articolo al padre che, secondo lei, si era allevata una serpe in seno. Peggiore persino di Peter, perché più subdolo sotto la maschera del bravo ragazzo. A questo punto il signor Moser, che sta per uscire dalla parrocchia vestito da frate e fuggire in Ungheria, non se la sente di tacere oltre. Non è giusto partire lasciando sua figlia nell’equivoco. Così le rivela che chi gli ha salvato la vita è stato proprio Erwin…
Al termine del racconto la povera ragazza appare molto turbata: incredula e pentita per aver pensato cose tanto orribili dell’intrepido, fantastico Erwin. Abbracciando commosso la figlia, Moser le fa giurare di non rivelare il segreto a nessuno. Sospetta che la Gestapo, per una qualche misteriosa ragione, tenga in ostaggio Erwin, ricattandolo con l’accusa di falso, non di antinazismo militante. Se scoprissero il resto ne andrebbe della sua vita.
Sono quasi passati tre mesi. Il signor Moser, con l’aiuto di pater Anton, è riparato in Ungheria. La Gestapo ha confiscato la sua casa. Peter approfittando della solitudine di Claudia, mette a punto un piano per farla rapire.
La ragazza, ignara del pericolo, continua a cercare di mettersi segretamente in contatto con Erwin. Sente il bisogno di ringraziarlo per suo padre e chiedergli perdono. Dopo settimane di affannose ricerche, trova il caporale Puff, non più attendente di Erwin e insolitamente riservato, che dice di non averlo visto da quando è diventato ufficiale. Sa solo che è in missione speciale.
Claudia in lacrime lo prega di trovarlo per dirgli che lei non riesce a dimenticarlo, che pensa sempre a lui.
Intanto è scoccata l’ora: in caserma ci si prepara per andare alle manovre. Erwin, insospettito sull’esito della vicenda che lo vede allo stesso tempo promosso tenente e chiuso in cella per tre mesi, cerca Puff. Ha bisogno dell’unico amico che ha nelle forze armate. E finalmente se lo vede comparire davanti, in gran segreto, nel momento in cui sta partendo per le manovre.
Il caporale gli mormora qualcosa all’orecchio e sul volto di Erwin appare un sorriso radioso: Claudia! Poi però torna la tensione e la paura perché il caporale gli rivela un segreto…
All’alba, nella campagna austriaca che dà verso l’Ungheria, hanno inizio le manovre militari.
Erwin punta di nascosto il binocolo verso il colonnello von Kollwitz che si trova vicino alla batteria dei mortai. Lo vede complottare col capoposto e indicargli un punto nella campagna.
Seguendo la traiettoria del suo braccio, Erwin scorge un fienile isolato. E si convince di aver fatto una scoperta molto interessante.
Un sergente, latore di un ordine, comunica a Stolz di andare a nascondersi proprio in quel fienile e di restarci di vedetta, spiando i movimenti dei “nemici” con gli elmetti dipinti di rosso. Mentre Erwin esce dalla postazione, il caporale Puff scambia con lui un’impercettibile occhiata d’intesa. Il giovane attraversa di corsa un vasto prato e sparisce nel fienile. Appena dentro, Erwin si guarda attorno in cerca di un’uscita. Con la baionetta comincia a svellere freneticamente un’asse sul retro della baracca. Il sergente riferisce l’ordine eseguito al colonnello von Kollwitz, che ora inquadra col binocolo il nascondiglio del suo tenente. La porta è sempre chiusa. L’ufficiale riesce persino a vedere parte dell’elmetto blu in dotazione a Stolz, che affiora da dietro un’impalcatura. Soddisfatto si volge verso la batteria dei mortai e ordina il fuoco … L’aria è squarciata da un grande boato mentre le bocche di fuoco sono avvolte da una densa nube che, diradandosi, fa intravvedere il fienile centrato in pieno e praticamente distrutto. Sembra evidente che l’obice di uno dei mortai è finito fuori traiettoria. Non tutti nella batteria sembrano stupiti.
Acquattato nell’erba Erwin ha subìto lo spostamento d’aria e i frammenti della terribile esplosione sono volati sopra di lui. Si è protetto la testa con le mani: ma è salvo! Poi riprende ad allontanarsi a carponi finché non raggiunge dei cespugli, da dove balza in avanti correndo a mozzafiato dentro il bosco.
Von Kollwitz ispeziona personalmente quanto rimane del fienile, cioè niente. Raccoglie soddisfatto l’elmetto blu, semisfondato, del fu “tenente” Erwin Stolz…
Il quale esce dal bosco dopo averlo attraversato indenne. È stremato. Sulla strada di campagna, in prossimità di una minuscola chiesa, un contadino gli fa un segnale.
Ad attenderlo trova lo zio Anton che lo abbraccia commosso. Suo nipote è davvero un eroe. Gli spiega che bisogna aspettare il buio per proseguire verso il confine.
“E tu zio?”
“Non ti preoccupare per me. Non hanno prove. Io resto. C’è altro lavoro”;
“E Claudia? Non voglio fuggire senza di lei. Non posso, tutto è cominciato per lei, le voglio troppo bene”.
Lo zio sorride e lo invita ad aver fiducia nello spirito santo, che a tutto provvede.
Erwin sta per obiettare ma da fuori all’improvviso giungono rumori e ordini militari. Da un momento all’altro può irrompere una pattuglia, il sacerdote gli indica il sottotetto, intimandogli di salire e di tirarsi dietro la scaletta. Gli dà dei panni civili. Borbottando contrariato, Erwin si arrampica e chiude la botola dietro di sé. Nella penombra comincia a spogliarsi. Quando è in mutande sente un leggero colpo di tosse alle spalle: voltandosi si trova di fronte Claudia. La ragazza è tremante di gioia. Erwin quasi sviene. Tra sussulti di commozione vuol subito raccontare tutte le sue bugie, ma a Claudia adesso non interessano più, perché lei lo ha perdonato e lo ama. Seguono finalmente baci veri, colmi di passione accumulata nel tempo.
Nella tenda del comando, il colonnello von Kollwitz telefona al generale in capo. Giocando a stivalate con l’elmetto blu, riferisce trionfante che la missione è compiuta.
Mentre si prepara un’azione di pattuglia, il caporale Puff viene disarmato da alcune SS, condotte sul posto da Peter. Il figlio del Gauleiter, divenuto commissario politico, è in cerca di Claudia e vuole interrogare personalmente il caporale, che non gli è mai andato a genio. Con il pretesto di catturare Otto Moser in realtà mira a trovare la figlia, e il povero caporale ormai sembra un testimone ingombrante, da far sparire dopo averlo fatto parlare. Ma un diavolo buono ci mette la coda.
L’auto delle SS ha due ruote a terra. È inspiegabile, ma Peter deve rientrare prima che i due eserciti, quello blu e quello rosso, si scontrino. Requisisce una camionetta e in gran fretta riparte col prigioniero. Troppo tardi. L’automezzo – con vistosi contrassegni blu – viene bloccato armi spianate dai fanti rossi in gran numero. Nel parapiglia che ne segue il caporale Puff riesce a fuggire. Peter, che strepita invano, finisce disarmato e in manette insieme alle sue SS. Intanto von Kollwitz, con l’aria profondamente turbata, recita alla perfezione la sua relazione ad un addetto stampa, sull’incresciosa fine dell’eroico Erwin Stolz colpito da fuoco amico, e sulla quale la procura militare ha già deciso di aprire un’inchiesta. Commosso, il colonnello mostra al giornalista l’elmetto squarciato, come se fosse una reliquia. Mai un elmetto verrà tanto fotografato.
Sulla porta della chiesetta appare Pater Anton che si guarda attorno, poi si volta e fa un cenno di via libera a … Erwin vestito da contadino, che tiene per mano la sua Claudia.
“Allora, hai capito bene?”
Chiede al nipote.
“Lo spirito santo è la nostra stella”.
“Giusto. Andate, e che Dio vi protegga”.
Da un’altura, mentre il sole tramonta e le ombre salgono dai campi, il contadino indica ai due giovani il confine ungherese: a due passi c’è un passaggio sicuro. È da lì che sono fuggiti tanti amici e lo stesso Herr Moser.
È in quella direzione che Erwin e Claudia corrono felici verso la libertà e una nuova vita…
O almeno così credono. Non sanno che l’Ungheria sta scivolando nella morsa del nazismo. E tanto meno che nel cuore dell’Europa sta per scatenarsi uno “tsunami” che stravolgerà tutti i confini attuali e la vita di tutti. Erwin è geniale ma non ha ancora inventato la sfera di cristallo. E d’altra parte l’unico paese che riuscirà a mantenere la sua neutralità, la Svizzera, si trova esattamente dalla parte opposta verso la quale corrono i nostri due giovani innamorati. Ma hanno poco più di vent’anni e tutta la vita davanti.
E domani? Se mai verrà raccontato il futuro dei nostri eroi, al momento la loro storia finisce qui.
N.B. Con tutta la sua fantasia, Erwin non avrebbe mai immaginato che, ben settant’anni più tardi, una copia del Kleine Volksblatt con la famosa intervista, sarebbe finita nelle mie mani…
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