I risultati del referendum e del primo turno delle elezioni presidenziali in Moldavia
Sedici/A Hermes Storie di geopolitica – Europa
Giulio Ferlazzo Ciano
Dottore di ricerca in Storia contemporanea
I nostri lettori ricorderanno un lungo articolo di Giulio Ferlazzo Ciono dedicato alla storia e alla geografia politica della Moldavia “Moldavia in cerca di un’ancora di salvezza”, anticipato ne Il mondo nuovo lo scorso 1° luglio 2024 e che può essere consultato al seguente link https://www.ilmondonuovo.club/moldavia-in-cerca-di-unancora-di-salvezza-democrazia-futura-hermes/. A oltre due mesi e mezzo di distanza abbiamo chiesto allo stesso autore di scrivere una sorta di Post-Scriptum e aggiornamento della situazione dopo il voto del 20 ottobre in cui si sono tenuti nello stesso giorno il primo turno delle elezioni presidenziali e il referendum sull’adesione all’Europa passata di strettissima misura. Occorrerà un secondo turno fissato per il 3 novembre di ballottaggio fra la presidente uscente filoeuropea Maia Sandu e lo sfidante e rivale filorusso Alexandru Stoianoglo.
23 ottobre 2024
Lo scorso 16 maggio 2024 il parlamento della Repubblica di Moldavia ha approvato la legge che avrebbe permesso di sostenere nello stesso giorno, il 20 ottobre 2024, le elezioni presidenziali e il referendum per includere nella costituzione moldava il processo di adesione all’Unione Europea. Se nel primo caso la consultazione popolare era un passaggio obbligato, il referendum è stato invece una scommessa sulla quale Maia Sandu, la presidente in scadenza (in attesa di conoscere se sarà rieletta o dovrà lasciare la carica), ha puntato l’intero capitale di fiducia accumulato nei passati quattro anni alla guida del Paese. L’idea di un referendum era stata presentata nel 2023, al momento dell’annuncio della sua candidatura per un secondo turno alla presidenza, e lo scopo era blindare la politica estera moldava, agganciandola di fatto all’Unione Europea, attraverso un vincolo costituzionale che obbligasse qualsiasi suo successore a non discostarsi dall’obiettivo di traghettare la Moldavia in Europa. Soprattutto nell’eventualità che la guida del Paese spettasse in futuro a un esponente filorusso.
E così il 20 ottobre il popolo moldavo (con diritto di voto esteso anche ai cittadini residenti nella Repubblica secessionista della Transnistria) si è espresso sull’eventuale rinnovo del mandato alla presidente Sandu e sull’eventuale inserimento in costituzione del vincolo europeo. I risultati sono noti e, nel complesso, sono stati ritenuti deludenti per i sostenitori dell’attuale presidente e per i fautori dell’adesione della Moldavia all’Unione.
Si dovrà andare al ballottaggio il prossimo 3 novembre e Sandu se la dovrà vedere direttamente con un suo acerrimo nemico che non le farà sconti di alcuna sorta, quell’Alexandru Stoianoglo rimosso nell’ottobre 2021 dalla carica di procuratore generale della Repubblica di Moldavia per mano della stessa presidente Sandu, che ha potuto agire in tal senso in seguito a un mandato di arresto per corruzione e favoreggiamento di crimini finanziari spiccato nei confronti dello stesso Stoianoglo.
Sfortunatamente per la presidente Sandu la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ha stabilito che la sospensione della carica di procuratore generale è stata una violazione dei diritti dell’imputato e ha condannato lo Stato a dover risarcire Stoianoglo per danni morali, sebbene a un prezzo simbolico (3600 euro)[2].
Peggio ancora, il 28 febbraio 2024 Stoianoglo è stato assolto in primo grado dall’accusa di aver pagato una tangente a un pubblico ministero. Era questo uno dei cinque capi d’accusa presentati contro l’ex procuratore generale e, sebbene in attesa di processo per i rimanenti quattro reati, questi non ha perso tempo ad accusare la presidente e il governo di aver architettato contro di lui un complotto per toglierlo di mezzo[3]. E non gli è parso vero, una volta ottenute le stigmate del martire, di poter ambire a sfidare la presidente Sandu per la carica di presidente. Appartenente – come si evince dal tipico suffisso patronimico di origine turca nel cognome – alla minoranza etnica gagauza (turchi cristianizzati), particolarmente diffusa nella regione meridionale della Moldavia, Stoianoglo ha corso per il PSRM (Partito Socialista della Repubblica di Moldavia), sostenuto dal precedente nemico giurato di Sandu, l’ex presidente filorusso Igor Dodon.
Una macchina da guerra (espressione particolarmente appropriata vista la posta in gioco e il conflitto che infuria nella confinante Ucraina) che ha stritolato l’ambizione della presidente Sandu di vedersi riconfermata al primo mandato e che si è ritrovata arenata con il 42,45 per cento dei suffragi, costretta a sfidare al secondo turno Stoianoglo che con il 25,98 per cento dei voti si è attestato come sfidante.
L’ampio divario di voti tra i due candidati non inganni: non mancano i partiti e i candidati indipendenti apertamente filorussi, tra i quali spicca il pur ambiguo Partidul Nostru guidato da Renato Usatîi, che da solo ha rastrellato quasi il 14 per cento dei voti, mentre il PAS (Partidul Acțiune și Solidaritate), il partito che sostiene la ricandidatura di Sandu, ha quasi totalmente monopolizzato il voto degli elettori filoeuropei.
Insomma, il secondo turno non sarà una passeggiata e l’esito non è scontato.
Come se non bastasse nella notte di domenica 20 ottobre si è consumato il dramma del referendum, con una presidente visibilmente irritata ed emotivamente provata che ha dichiarato alla stampa, di fronte al risultato sconfortante e a quell’ora ancora apparentemente a favore del “no”, che in Moldavia si sarebbero verificati
«un attacco alla democrazia e una frode elettorale senza precedenti»[4],
accusando di poter provare che circa trecentomila voti sarebbero stati comprati, presumibilmente dai soliti politici filorussi o dal sottobosco criminal-finanziario ad essi legato.
Un risultato referendario poco confortante
Nelle ore successive, tuttavia, il “sì” sarebbe passato in vantaggio e alla fine la conta dei voti avrebbe confermato la vittoria molto risicata del fronte europeista con il 50,39 per cento, ma a fronte di un’affluenza di appena il 51,68 per cento degli elettori.
Da questo risultato senz’altro poco confortante emergono tuttavia degli elementi interessanti, soprattutto se si guarda all’esito del voto nel dettaglio. È senz’altro vero che l’esito del referendum è stato salvato dal voto dei moldavi all’estero. Sul totale di 1.488.874 voti validi, infatti, ben 235 mila sono giunti dagli emigranti e tra questi il 76,96 per cento sono stati a favore della scelta europea. Per il resto, se era scontato che la capitale Chișinău non avrebbe deluso le aspettative, purtuttavia si è dovuto registrare un modesto 55,98 per cento di “sì” provenienti dal solo distretto urbano e qualcosa di più dai distretti suburbani e rurali che la circondano; proprio da uno di questi distretti, Ialoveni, è arrivato il maggior numero di voti a favore del “sì” (67,7 per cento) espressi nel Paese.
Nel resto della Moldavia invece sono prevalsi nettamente i “no”. Persino nel distretto dove è nata la presidente Sandu, Fălești, i “no” sono stati il 66,5 per cento, che si sono tramutati in una vera valanga nei distretti turcofoni nel sud del Paese. In Gagauzia, regione natale dello sfidante di Sandu alla presidenza, si sono avuti infatti ben il 94,84 per cento dei voti per il “no”.
Ma c’è un dato importante abbastanza controcorrente. I cittadini della Transnistria, come si era detto nel precedente articolo, possono recarsi al voto sulla riva destra del Nistro e, quando in passato l’hanno fatto, è stato sempre per dare manforte ai partiti filorussi e ai loro candidati. Non ha fatto eccezione neppure questa volta, sebbene si debba considerare un insolito risultato, non particolarmente scoraggiante per il fronte filoeuropeo, pur trattandosi di un esiguo bacino di voti, circa 15 mila: il 37,4 per cento di questi sono stati a favore del “sì”. Dato abbastanza sorprendente: evidentemente non sono tutti così compattamente filorussi in Transnistria.
Primo turno delle elezioni presidenziali
A voler fare un’analisi di quanto accaduto verrebbe naturale dividere il risultato dell’elezione presidenziale da quello del referendum. Nel primo caso ci si sarebbe potuto aspettare qualcosa di più per l’attuale presidente in carica, una donna senz’altro ambiziosa, come è naturale che sia, ma che ha dimostrato negli anni passati di essere animata da saldi principî, da una rara dirittura morale nonché dalla volontà di inserire la piccola repubblica ex sovietica di cultura romena nel solco dello stato di diritto e di liberarla da influenze provenienti dall’autoritario e corrotto regime di Mosca.
Uno sforzo titanico da compiere peraltro nel contesto non facile del conflitto russo-ucraino che preme indirettamente alle frontiere di questo piccolo Stato dell’Europa orientale che ha motivo di preoccuparsi per il suo futuro in ragione dell’irrisolta questione della Transnistria, la regione secessionista sostenuta dalla Russia nella quale sono già presenti da decenni (poche) forze militare russe. Uno sforzo titanico, si diceva, data anche la spaccatura già evidente nella società moldava, divisa da tempo tra nostalgici dell’Unione Sovietica (compresi non pochi moldavi di lingua romena), rimasti orfani dell’economia sussidiata che garantiva a tutti un lavoro con un pur modesto stipendio e servizi gratuiti, e fautori (prevalentemente di lingua romena) di un avvicinamento del Paese all’Europa, in termini politici, strategici, economici e culturali.
Tale spaccatura nella società si è riverberata anche a livello politico, aggravata per di più dagli effetti della crisi economica generata dall’emergenza Covid e dalla guerra in Ucraina.
È in ambito politico che Sandu si è trovata a dover affrontare gli avversari più temibili e decisi a impedire il percorso di avvicinamento della Moldavia al campo occidentale. E l’ha fatto contrapponendosi in modo netto a chi tentava di riportare il Paese nella sfera di influenza moscovita e di sbarrarle la strada utilizzando a tal fine qualsiasi mezzo, dalla corruzione alla diffusione di notizie false e diffamatorie nei confronti della presidente. È stato inevitabile a questo punto che Maia Sandu nei quattro anni della sua presidenza finisse per travolgere il sistema di potere filorusso che era gravitato attorno all’ex presidente Igor Dodon e alla sua corte di politici, giudici corrotti e faccendieri. Ed era naturale che questa élite decaduta non accettasse di darsi per vinta.
Dato che la Moldavia è un Paese libero in cui i demagoghi hanno libertà di parola e che le precarie condizioni economiche in cui versa la popolazione la rendono più vulnerabile alla narrazione che addossa all’interventismo filo-occidentale della presidente tutti i guai e le disgrazie che attanagliano il Paese, era naturale supporre che per Maia Sandu anche solo un risultato elettorale al primo turno non eroso dallo scontento e pari almeno a quello registrato alle presidenziali del 2020 sarebbe stato comunque un buono se non ottimo risultato.
I dati a tal proposito sono questi: nel 2020 al primo turno Maia Sandu ottenne il 36 per cento dei voti mentre al primo turno del 2024 ha superato il 42 per cento.
Al di là del fatto che il verdetto definitivo lo stabilirà il secondo turno elettorale e che per questo secondo turno a mettere insieme le cifre emerse nel primo ci sarebbe da temere per la rielezione di Sandu, salvo che i voti del Partidul Nostru (la formazione antisistema di Renato Usatîi, figura ambigua che potrebbe opportunisticamente decidere di sostenere direttamente o indirettamente la corsa alla riconferma di Sandu) non decidano le sorti del ballottaggio, così come una maggiore affluenza dei votanti che al primo turno è stata invero alquanto modesta (51,7 per cento), al di là di questo dunque è indubbio che Sandu sia riuscita a mantenere invariato il suo capitale elettorale e ad accrescerlo anche un poco. Forse non abbastanza per una rielezione (ma anche nel 2020 al primo turno l’elezione di Sandu non era affatto scontata), ma passato comunque da 487 mila suffragi in suo favore a 656 mila.
Il cambiamento, d’altra parte, si attua a piccoli passi, altrimenti si chiama rivoluzione e Maia Sandu non ha mai avuto l’aria di essere una rivoluzionaria. E quando il cambiamento di fa a piccoli passi non è credibile pensare di ottenere consensi immediati; è più realistico semmai pensare di riuscire a preservare la fiducia ottenuta all’inizio del primo mandato. Quindi è probabile, se il secondo turno non smentirà questo pronostico, che la rielezione di Sandu sia comunque alle porte e che il popolo moldavo abbia premiato al primo turno nel complesso le forze antisistema o apertamente filorusse contrarie o ambigue verso il percorso di avvicinamento all’Europa, così come già avvenuto nel 2020, per poi sterzare al secondo turno verso l’Europa, quasi che al momento di dover fare la scelta definitiva per il futuro del Paese scattasse qualcosa, una sorta di freno d’emergenza, che inducesse gli elettori a fare i calcoli con i rischi economici e geopolitici incombenti e con i fantasmi della storia, spingendo una parte di loro a votare la formazione politica che a parole dichiaravano di voler contrastare. Può darsi che questa volta il miracolo non si verifichi, ma può darsi anche di sì.
Il referendum per l’Europa
Il risultato del referendum può invece essere una spia di un certo malessere. Se, come qualunque referendum costituzionale promosso da un capo di governo o presidente in carica, anche il referendum voluto da Maia Sandu per introdurre il vincolo europeo nella costituzione moldava era una sorta di prova di forza per contare i favorevoli all’attuale presidenza, ebbene il risultato non porterebbe ad essere troppo ottimisti. È pur vero che se il successo risicato conseguito dal referendum si dovesse replicare a novembre la rielezione di Sandu sarebbe comunque garantita, pur con una flessione elettorale non indifferente rispetto al 2020.
A questo punto, dunque, c’è da domandarsi le ragioni di questo malessere.
Perché se una presidente come Maia Sandu, che ha puntato tutto sul processo di adesione della Moldavia all’Unione Europea, andando nella direzione auspicata dalla maggioranza della popolazione moldava, si è ritrovata a dover fare i conti con lo spettro della sconfitta, in una notte di sondaggi e proiezioni per sua fortuna sbagliati, è evidente che qualcosa non ha funzionato. Può essere stato il prodotto di un quadriennio difficile, segnato da stagnazione economica, disoccupazione e incertezze sul futuro, che può avere eroso il consenso a favore del progetto europeo della presidente, forse anche di un eccessivo sbilanciamento della comunicazione sui media nazionali a favore del “sì”, oppure il timore di aderire a una scelta che, vincolando il futuro della Moldavia all’Europa una volta per tutte, potrebbe anche segnare in negativo qualsiasi futura trattativa con Mosca qualora il Paese si ritrovasse ad essere il prossimo obiettivo della politica neo imperiale del Cremlino, o magari persino il risultato, come denunciato da Sandu, di una frode elettorale che avrebbe sottratto voti decisivi al “sì”, sebbene persino l’OSCE non si sia pronunciato in tal senso, certificando al contrario un voto all’apparenza regolare.
In ogni caso il risultato è stato modesto perché, pur non essendo l’opinione pubblica moldava largamente a favore dell’ingresso del Paese nell’Unione europea, come ad esempio quella ucraina, avrebbe potuto avvicinarsi a quel 63 per cento di consensi certificato da un autorevole istituto nordamericano nel 2023. Qualcosa, quindi, deve essere successo se, per evitare il deragliamento del progetto europeo della presidente Sandu, sono stati necessari i voti provenienti dai moldavi residenti all’estero. Al di là della sovraesposizione mediatica e dell’erosione di consensi per Sandu prodotta dalla congiuntura economica avversa (è pur vero che i risultati elettorali del primo turno delle presidenziali, come si è detto, non sembrano confermare questa ipotesi), volendo escludere l’ipotesi di una frode (pur da non scartare a priori, dati i precedenti venuti alla luce negli ultimi anni e considerando la potenza di certi nemici giurati di Maia Sandu), c’è da pensare che a giocare il ruolo principale siano stati il timore della decisione irrevocabile, che all’ultimo deve avere fatto dubitare delle certezze acquisite negli ultimi anni, e forse anche una certa sovrapposizione di istanze identitarie che non hanno premiato i toni euroentusiasti della presidente.
Perché in effetti il primo obiettivo dei moldavi di lingua e cultura romena sembra essere fin dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica la riunificazione con la madrepatria naturale, quella Romania della quale quasi la metà dei moldavi sono già oggi cittadini a pieno titolo e che a sua volta è già un Paese membro dell’Unione Europea.
L’adesione all’Unione potrebbe dunque rappresentare per alcuni più uno strumento con cui avvicinarsi all’unirea (riunificazione tra Moldavia e Romania) che un obiettivo fine a sé stesso. Non si deve dimenticare che nell’Europa orientale prevale ancora oggi un sentimento identitario più marcatamente nazionale che continentale e il cittadino moldavo di lingua romena, che pur può avere a cuore le opportunità che si aprirebbero al Paese all’indomani della sua adesione all’Unione Europea, prima di tutto si identifica come un romeno, poi come un europeo.
Ecco, dunque, che la sovrapposizione tra due obiettivi, l’uno (la riunificazione) di portata storica ma anche geopoliticamente più limitata ed in passato, come si è potuto vedere, persino non del tutto sgradita al Cremlino, l’altro (l’adesione all’Unione. europea) visto anche come una scelta di campo nettamente a favore dell’Occidente che potrebbe comportare non pochi inconvenienti – dato anche il lungo periodo di anticamera prima di poter diventare membro dell’Unione europoea a pieno diritto – nel rapporto con l’ingombrante e non abbastanza distante “vicino”, può aver fatto tentennare molti cittadini moldavi, inducendoli ad astenersi dal voto.
Ad ogni buon conto nei prossimi mesi e anni tutti questi dubbi e domande troveranno una spiegazione e non è nemmeno detto, se dovesse avvenire un cambio della guardia alla presidenza, con la vittoria di Stoianoglo, che quel modesto 50,39 per cento di “sì” potrebbe blindare il percorso di adesione della Moldavia all’Unione Europea. La piccola Moldavia, infatti, volente o nolente, per la sua importante posizione strategica partecipa fin dal 2022 al grande gioco che oppone l’Europa liberaldemocratica alle potenze autoritarie euroasiatiche, e si può ben credere che questa casella della scacchiera euro-orientale avrà un valore non indifferente per il Cremlino che senz’altro non si fermerà di fronte a un risultato referendario a vantaggio della scelta occidentale ottenuto per una manciata di voti.
Bisogna considerare inoltre che i portavoce degli interessi moscoviti a Chișinău sono molti e i nemici che Maia Sandu si è creata negli ultimi anni sono agguerriti, vendicativi e vogliono a tutti i costi la rivincita.
Questa storia, c’è quindi da esserne abbastanza certi, non finisce qui.
[1] Questo contributo costituisce un aggiornamento, una sorta di Post-Scriptum del nostro articolo “Moldavia in cerca di un’ancora di salvezza”, Democrazia futura, a. IV (14A), aprile-giugno 2024. Vedine l’anticipazione ne Il mondo nuovo, 1° luglio 2024: Cfr. https://www.ilmondonuovo.club/moldavia-in-cerca-di-unancora-di-salvezza-democrazia-futura-hermes/.
[2] Nadejda Coptu, Fostul procuror general câștigă la CEDO, Radio Europa Liberă Moldova (24 ottobre 2023); https://moldova.europalibera.org/a/fostul-procuror-general-castiga-la-cedo/32651589.html
[3] Nadejda Coptu, Alexandr Stoianoglo, achitat în dosarul indemnizației de concediere pentru Nicolae Chitoroagă, Radio Europa Liberă Moldova (28febbraio 2024); https://moldova.europalibera.org/a/alexandr-stoianoglo-achitat-in-dosarul-indemnizatiei-de-concediere-pentru-nicolae-chitoroaga/32840340.html
[4] Marco Imarisio, “Accuse di brogli e interferenze russe. I due volti sofferti di un Paese spaccato”, Corriere della Sera, 22 ottobre 2024.
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