Attorno alla elezione del nuovo Presidente degli USA è iniziata in Italia una straordinaria sceneggiata che sembra distaccarsi dalle presunte origini partenopee per diventare non soltanto assolutamente nazionale ma anche completamente orizzontale.
Ha infatti la capacità di attrarre e coinvolgere tutti i più diversi protagonisti della nostra vita pubblica.
Si tratta, come vedremo, di un fenomeno più vasto e significativo del normale conformismo all’italiana.
Merita, per questo, di essere individuato accuratamente e analizzato a fondo.
In primo luogo abbiamo il fenomeno degli “inefficaci sostenitori”.
Rientrano in questo privilegiato spazio coloro che freneticamente godono della vittoria di Donald.
Costoro tendono a far credere di avere una parte di merito in quanto è avvenuto, ma soprattutto di far parte in maniera organica della ondata di opinione e consenso che dovrebbe mettersi ora in moto anche lontano dagli USA.
Gli “inefficaci sostenitori” nascondono a se stessi e al mondo che il futuro Presidente degli Stati Uniti ignora totalmente la loro esistenza e, se ne venisse posto in conoscenza, se ne infischierebbe in modalità assoluta.
Vi sono poi quelli che potremmo definire come gli “eroici resistenti”.
Questi ricavano artatamente dalla vittoria di Trump l’esistenza di un nemico (finalmente!) a cui contrapporsi senza rischiare nulla.
Anche essi godono infatti della non rilevanza agli occhi del futuro inquilino di Casa Bianca ma ricavano una identità e un ruolo che attualmente hanno dissipato e perduto.
Trump regala loro una visione del mondo, in base alla quale la destra reazionaria avanza, essendo per di più sostenuta dal voto democratico e popolare.
Il terzo grande gruppo dei “vengo anch’io!” è quello di chi si illude (e comunica a tutti) di possedere gli strumenti per dialogare riservatamente ma efficacemente con il nuovo padrone del mondo.
Amicizie comuni interconnesse, segnali riservati dati e ricevuti, interessi condivisi che ora si manifesteranno con chiarezza.
Questi, ed altri, elementi costituiscono lo sfondo di un’altra auto rappresentazione che viene offerta come rassicurazione perché, in fondo, c’è qualcuno a vigilare che il biondo settantottenne non faccia troppe stupidaggini.
Dietro questa sceneggiata a più voci vi sono naturalmente molti fattori, tra cui uno comune a tutti e decisamente preponderante.
Si tratta della conquista di visibilità attraverso il meccanismo dell’abbinamento di immagine.
In presenza di un fatto importante, ma soprattutto capace di attirare per qualunque motivo la curiosità collettiva, scatta automaticamente nel politico politicante il desiderio di essere associato nella comunicazione a quel fatto attraente attenzione.
Così la straordinaria potenza comunicativa di Donald Trump dovrebbe trasferire una parte del suo potere di richiamo su persone e situazioni che ne sono ben distanti e, comunque, non in grado né di appoggiare, né di opporsi né, tantomeno, di influire e suggerire.
Si tratta di una forma comunicativa ben nota e non da oggi.
La mitica partita a scopone del 1982 di Pertini con Zoff, Bearzot e Causio aggiunse simpatia e riconoscimento al Presidente della Repubblica.
Certo la vittoria mondiale non era (e non poteva essere) merito suo.
Ma gli italiani guardavano entusiasti a quella Nazionale di calcio e quella attenzione si riversava in parte anche sulla Istituzione che Sandro Pertini in quel momento più che degnamente rappresentava.
Oggi è tutto cambiato, e non in meglio.
Siamo circondati da un continuum di comunicazione attraverso immagini.
Di conseguenza non vi è quasi più una singola immagine che sia significativa e capace di cogliere il senso di un momento (come a suo tempo quella fotografia sull’aereo di ritorno da Madrid).
Così, chi si mette all’inseguimento per succhiare la ruota dell’avvenimento di traino non può cessare un attimo di farlo e deve inventarsi senza sosta qualcosa che attiri l’attenzione su di sé.
Che sia l’adozione di una cravatta o la dichiarazione che oggi gli USA sono in preda al nuovo fascismo, poco importa.
L’unico obiettivo dei “vengo anch’io!” è attirare lo sguardo, fosse solo per un attimo su se stessi.
Poi, tra un altro attimo, si vedrà su cos’altro puntare.
L’unica condizione imprescindibile è che quel che si dice o si fa sia totalmente ininfluente rispetto alla realtà reale.
Ciò spiega perché quando capita di dover entrare in vera relazione con un fatto o un problema i professionisti del “vengo anch’io!” diventano immediatamente più prudenti e silenziosi.
Che si tratti della aggressione russa all’Ucraina, della guerra in Medio Oriente o della guerra civile in Sudan nessuno esprime opinioni indignate o perlomeno chiare.
Non soltanto occorrerebbe avere studiato e cercato di capire, ma soprattutto ci può essere sempre il rischio che domani una opinione, espressa per comparire e basta, possa essere applicata alla realtà.
E dunque, andiamo avanti così.
Ieri indossavo, sulla Piazza Rossa, una maglietta con la faccia di Putin e adesso una bella cravatta, sempre rossa, come quella di Donald Trump.
E se domani dovessi vincere le elezioni e andare, da Presidentessa del Consiglio, in visita ufficiale a Washington ammirerò con piacere le conquiste democratiche di quella Nazione amica.
L’importante è che, per fortuna, né Putin né Trump, né nessun altro, si sono accorti di avere questi amici o nemici in Italia.
L’unica cosa che ancora ci fa respirare è l’inquilino del Quirinale che dice, con cortesia e chiarezza, quel che va detto al Presidente di una Nazione amica ed alleata appena eletto.
Per fortuna Mattarella non fa parte dei “vengo anch’io!” e di conseguenza il sistema di comunicazione lo cita rapidamente e passa ad altro.
Ha fatto quel che andava fatto. Non lo ha messo su X o su Instagram, non ha esposto su Faccia Libro una fotografia in cui si danno la mano.
E magari, dall’altra parte, otterrà dignitosamente rispetto e attenzione.
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