Il risultato delle elezioni europee nei Paesi lungo il Danubio1
Quattordici/A Hermes Storie di geopolitica – Europa
Giampiero Gramaglia
Giornalista,
co-fondatore di Democrazia futura, già corrispondente a Washington e a Bruxelles
Proseguendo l’analisi del voto europeo, dopo aver esaminato i terremoto in Francia e in Germania in un primo articolo “I Grandi Paesi saltano a destra, l’Europa tiene la barra al centro”, Gramaglia analizza il voto nei Paesi dell’ex Gruppo di Visegrad osservando come in tre casi su quattro, ovvero in Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria “Visegrad non sfugge alla regola: ‘chi governa perde’”. “I partiti di governo escono malconci, l’opposizione alza il gran pavese – osserva l’ex direttore dell’Ansa – L’eccezione, in questo quadro, è la Polonia, dove la coalizione di Donald Tusk, meno di otto mesi dopo le politiche, rivince, accrescendo il peso dei popolari nell’Assemblea di Strasburgo e togliendo seggi al gruppo dei conservatori”. Dopo aver riassunto i risultati del voto nei quattro Paesi, riprendendo quanto riportato dal Financial Times e ripreso nella stessa Ungheria che si appresta ad assumere il semestre di Presidenza dell’Unione europea, Gramaglia riferisce della “possibile esclusione di Ungheria e Slovacchia dal gruppo dei Nove di Bucarest” (il cosiddetto B9), fondato nel 2015 dai “Paesi della Nato e dell’Unione europea dell’Europa centro-orientale” per coordinare “il loro approccio alle politiche di sicurezza, in particolare per quanto riguarda la difesa dei confini orientali” dopo che recentemente, ovvero “L’11 giugno 2024, Orban ha disertato il Vertice del B9 a Riga, rifiutandosi di sottoscrivere una bozza di dichiarazione congiunta” di riaffermazione congiunta del sostegno all’Ucraina.
25 giugno 2024
Anche per i Paesi di quello che una volta era il Gruppo di Visegrad, e che oggi s’è piuttosto ridotto a un asse Ungheria – Slovacchia, vale la regola quasi universale di queste elezioni europee 2024: i partiti di governo escono malconci, l’opposizione alza il gran pavese. La democrazia illiberale non goda più ottima salute lungo il Danubio, ma i suoi adepti hanno il vento in poppa altrove nell’Unione europea.
Donald Tusk celebra la vittoria conseguita nelle elezioni politiche in Polonia (Fonte: La Stampa)
Tale regola oltre che per Ungheria e Slovacchia, vale anche per la Repubblica Ceca. L’eccezione, in questo quadro, è la Polonia, dove la coalizione di Donald Tusk, meno di otto mesi dopo le politiche, rivince, accrescendo il peso dei popolari nell’Assemblea di Strasburgo e togliendo seggi al gruppo dei conservatori.
Risultato delle elezioni europee nel Gruppo di Visegrad Paese per Paese
Paese per Paese, vediamo com’è andato il voto europeo in quello che era il Gruppo di Visegrad.
- In Ungheria, il partito del premier Viktor Orban, Fidesz, è ancora primo con quasi il 44 per cento dei voti, ma perde circa 8 punti rispetto al 2019. Fa, invece, incetta di suffragi Tisza, il partito animato dell’ex dirigente di Fidesz Peter Magyar, divenuto nel giro di poche settimane l’astro nascente dell’opposizione magiara. Tisza va oltre il 31 per cento dei consensi. I due drappelli di eurodeputati ungheresi – 21 in tutto – costituiscono un fattore della ridefinizione dei rapporti di forza fra i gruppi nell’emiciclo di Strasburgo: quelli di Fidesz in cerca di collocazione dopo l’uscita del Ppe si ‘annusano’ con i conservatori; quelli di Tisza potrebbero finire nel Ppe e colmare in parte il vuoto di Fidesz.
- In Slovacchia, 15 seggi, il partito d’opposizione Slovacchia Progressista s’impone con quasi il 28 per cento dei voti (6 seggi), mentre lo Smer-Sd del premier Robert Fico arriva secondo con meno del 25 per cento (e 5 seggi). L’attentato di cui è stato vittima in maggio il premier non ha innescato un ‘effetto Fico’. Nell’Assemblea europea, entrano pure due esponenti del terzo partito, la Repubblica. E un seggio ciascuno ottengono il partito del neo-presidente Peter Pellegrini e i cristiano-democratici. Restano fuori, sotto il 2 per cento i nazionalisti del Partito nazionale slovacco (Sns, al governo) di Andrej Danko. L’affluenza alle urne ha superato il 34 per cento: è poco, ma è la più alta mai registrata nelle europee. Cinque anni or sono, l’affluenza aveva di poco superato il 22 per cento.
- Nella Repubblica Ceca, 21 seggi, il movimento populista Ano (Azione del cittadino scontento) dell’ex premier Andrej Babis ha vinto con il 28 per cento, due punti avanti alla coalizione governativa Spolu (Insieme). Spolu è formata da tre partiti: civici democratici, Top 09 e cristiano-democratici. L’affluenza è stata superiore al 40 per cento. Ano e Spolu si spartiscono i due terzi dei seggi disponibili. Gli altri sono frammentati fra diverse forze politiche minori.
- In Polonia, 52 seggi, la Coalizione civica (Ko) filo-europea del premier Donald Tusk ha ottenuto oltre il 37 per cento dei voti, superando i sovranisti del partito Diritto e Giustizia di Jaroslaw Kaczynski, sostenuto da oltre il 36 per cento degli elettori. Il successo di Tusk rafforza i popolari a Strasburgo, il calo, rispetto a cinque anni or sono, di Kaczynski indebolisce i conservatori. L’affluenza è stata superiore al 40 per cento. Il terzo partito è stato l’euroscettico Confederazione, sopra il 12 per cento, seguito dal Partito dei Contadini quasi al 7 per cento e dalla sinistra sopra il 6 per cento.
La possibile esclusione di Ungheria e Slovacchia dal gruppo dei Nove di Bucarest (B9)
Su due ex Paesi del gruppo di Visegrad, Ungheria e Slovacchia, i più filo-russi dei 27, oltre che nuvole europee, si addensano nubi atlantiche. L’Ungheria, in particolare, potrebbe essere esclusa dal gruppo dei Nove di Bucarest (B9), Paesi della Nato e dell’Unione europea dell’Europa centro-orientale. Scrive il Financial Times, citando fonti diplomatiche, che i continui veti di Budapest, non solo in sede europea, ma anche alla Nato, avrebbero fatto
“esaurire la pazienza a molti partner”.
Fondato nel 2015, il gruppo – Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia e Ungheria – comprende Paesi ex membri dell’Unione Sovietica (i tre baltici) o del Patto di Varsavia e ora membri della Nato e dell’Unione europea. I loro leader si riuniscono regolarmente e coordinano il loro approccio alle politiche di sicurezza, in particolare per quanto riguarda la difesa dei confini orientali. E il loro ruolo ha acquisito importanza dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.
Negli ultimi incontri, scrive il Financial Times, Budapest ha posto il veto a conclusioni sull’aumento degli aiuti all’Ucraina e su qualsiasi iniziativa Nato per rafforzare il sostegno militare a Kiev o accelerare il processo di ingresso nella Nato. Così come l’Ungheria, che il primo luglio dovrebbe assumere per un semestre la presidenza di turno del Consiglio dei Ministri dell’Unione europea, frena i negoziati sull’adesione dell’Ucraina all’Unione.
L’11 giugno 2024, Orban ha disertato il Vertice del B9 a Riga, rifiutandosi di sottoscrivere una bozza di dichiarazione congiunta. Il premier ungherese, riferimento ideologico di quel che resta del Gruppo di Visegrad, dà l’impressione di tirare la corda con partner e alleati e il risultato delle europee lascia intendere che anche i suoi connazionali stiano ponendosi interrogativi in merito.
- Scritto per il sesto numero del 2024 del mensile dello IAI AffarInternazionali.it, 17 giugno 2024. https://www.giampierogramaglia.eu/2024/06/17/visegrad-non-sfugge-a-regola/. ↩︎
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