Il sistema feudale si basava su un principio teorico chiaro quanto elementare.
A partire dal presupposto certissimo che il mondo appartenesse a Dio, che l’aveva del resto creato, esso poteva essere dato agli uomini solo in concessione temporanea.
Tale concessione iniziale veniva riconosciuta ed esercitata dal Pontefice che la trasmetteva al Re o all’Imperatore (che esistevano in quel ruolo in seguito alla concessione stessa).
Il concessionario operava per successive subconcessioni che a a loro volta seguivano lo stesso percorso.
Si creava così la famosa piramide medievale che protendeva il suo vertice verso il Creatore e si allargava verso il basso.
Finita la catena delle concessioni (tutte a carattere temporaneo) si giungeva ai vari mestieri e, infine, ai servi della gleba che venivano dati in concessione insieme alla terra.
Questo era, ovviamente, il modello teorico nella sua forma pura e perfetta che poi si confrontava con i passaggi storici e le situazioni contingenti.
Quel che preme però ora segnalare è che il sistema non configurava alcuna forma di diretto possesso e potere di un uomo su un altro uomo.
I concessionari primari, e i sub concessionari a seguire, potevano avere caratteristiche molto diverse fra loro.
Potevano essere giusti o iniqui, potevano essere coltissimi o bestiali, potevano guardare al futuro o consumarsi freneticamente nell’oggi.
Le loro decisioni determinavano effetti sul resto della specie umana sottostante che potevano essere ottimi quanto drammatici.
Ma ad essi spettava governare quel che era loro stato dato in usufrutto temporaneo che, ripetiamolo, non configurava alcun potere diretto sulle altre persone che ne venivano investite solo in quanto “parte” della concessione ricevuta.
Non era, insomma, certamente un sistema democratico.
Il modo di produzione capitalistico ha totalmente sovvertito questa logica.
Introducendo il concetto di proprietà privata ha modificato le regole della classificazione sociale.
Gli uomini si dividono tra chi possiede i mezzi di produzione (la terra, ovviamente, in primis) e chi non li possiede.
Questa iniziale distinzione non viene effettuata in base a un principio superiore ma è affidata alle dinamiche economiche nel corso del loro sviluppo.
La grande maggioranza delle persone non possiede i mezzi di produzione che servono per creare e valorizzare le merci da offrire al consumo.
La loro collocazione nella gerarchia sociale dipende dunque dalle competenze e dalla capacità di ciascuno, oltre che dall’eventuale disporre ancora di mezzi di sopravvivenza autonomi e personali.
Per capirci, sin quando la mia famiglia dispone di un piccolo orto con galline è molto più difficile che io accetti di andare a fare il minatore in condizioni terribili.
Attorno al nucleo centrale della produzione di plusvalore, e di conseguenza di profitto, i sistemi socio-economici a carattere capitalistico hanno costruito una rete di servizi e di strutture necessaria alla riproduzione e alla difesa del sistema stesso.
Scolarizzazione di massa, difesa dei confini nazionali, valorizzazione delle risorse territoriali, garanzia di stabilità: questi (e molti altri valori) sono stati necessariamente esposti e organizzati come complementari al cuore del sistema produttivo basato sulla capacità di produrre e di competere.
Il valore teorico che ha corrisposto, e corrisponde tuttora, al nuovo paradigma sociale è il liberalismo.
La democrazia e il suffragio universale, senza limiti di censo, sesso o quant’altro, sono i due fondamenti su cui tuttora si basa una gran parte del mondo e certamente quella parte cui noi apparteniamo.
Le Nazioni si osservano e si valutano tra loro sulla base della capacità di applicare sino in fondo almeno questi due Valori essenziali.
Ad essi se ne aggiungono altri come la tolleranza, il rifiuto della guerra, e così via.
Ciò che regge la convinzione e il riconoscimento in questi valori è la ipotizzata certezza che, se si permette al “popolo sovrano” di esprimersi liberamente e a maggioranza, esso non sceglierà mai per il peggio.
Ciascuno dovrebbe essere infatti consapevole che se la propria Nazione sceglie una strada sbagliata o contraria ai valori riconosciuti, le conseguenze ricadranno su tutti e anche su ognuno.
La realtà del Novecento ha dimostrato la debolezza strutturale di questa convinzione, ma oggi la situazione appare ancora più complessa.
Abbiamo iniziato a vivere in un contesto socio economico che modifica e ristruttura tutta la articolazione delle relazioni umane, chiedendo nuovi e più complessi punti di vista.
La chiamiamo, in modo rassicurante, “globalizzazione” ma è in realtà la fase in cui convergono due fattori strutturali completamente nuovi.
Si tratta della completa mondializzazione del mercato cui si unisce la totale finanziarizzazione della economia.
Il panorama che si offre ai nostri occhi è totalmente disatteso.
Immense realtà assolutamente estranee ai valori liberali e democratici sono entrate a fare parte operativamente della nostra vita quotidiana.
Siamo cresciuti identificando lo sviluppo con il riconoscimento e l’adesione a quei valori e oggi scopriamo che si può essere potenti e contemporanei restando arretrati e illiberali.
Si dissolve, quasi senza che ce ne accorgiamo, la ferrea distinzione che segnalava il confine tra il tempo di lavoro (appartenente alla sfera collettiva) e il tempo di non – lavoro, inteso come proprio della sfera privata.
La profilazione di massa dei comportamenti che prima erano considerati personali determina la raccolta di dati che vengono gesti dalla Intelligenza Artificiale attraverso la rete degli algoritmi preposti.
E chi non voglia chiudersi in quell’immaginario orto con le galline di cui sopra, deve accettare di operare nel contesto dei rapporti economici anche quando “non compra” qualcosa in Rete o si limita ad osservare distrattamente.
Gli oggetti che ci circondano perdono il loro valore intrinseco, frutto del lavoro che contengono, per acquisirne uno nuovo e inaspettato figlio del movimento di informazioni che riescono a generare per agire nella sfera finanziaria.
E così via.
Non può stupirci che, in un quadro così modificato, il formarsi democratico delle opzioni generali si affidi per reazione alle logiche più “primitive” e lontane dal contesto.
Il biondo Presidente degli USA ha evocato, per ottenere i voti, le paure e i sentimenti più profondi dell’America più retriva e lontana dal nuovo orizzonte.
Facile parlare della pressione messicana ai confini. della Europa come “sorella ingrata” e, ancora, della devastante diffusione della transessualità: tutte cose ben chiare nelle invocazioni della Chiesa Evangelica nel cuore del Kansas (e ovunque).
Né ci stupisca che anche i nostri politici semplifichino e rendano sempre più rozzo il loro linguaggio.
Provenendo da forze politiche che hanno rinunciato a qualunque elaborazione cercano il consenso come possono. Sono trumpisti (si dirà così?) anche quando sono decisamente contro Trump.
Avremmo, insomma, bisogno di qualcuno che ci guidasse (o almeno aspirasse a farlo) dotato di chiarezza strategica per proporci delle linee di comportamento e di azione legate al nuovo quadro di riferimento e non soltanto a ciò che in quel momento ci ribolle nella pancia.
Ne avremmo bisogno, ma non se ne preavverte l’arrivo.
Speriamo davvero di non essere costretti a rimpiangere il feudalesimo.