Walter Chiari è l’uomo dell’eccesso. Eccessivo in tutto, nella vita, in amore e nel lavoro. Anche in palcoscenico eccedeva sempre. Una battuta diventava un monologo, una barzelletta un atto unico. Per lui non esistevano orari di lavoro e neppure copioni. Tutto era lasciato all’improvvisazione ed all’estro del momento. La sua forma preferita era il monologo-dialogo con il pubblico. Nelle sue riviste, nel sottofinale, si piazzava sulla passerella a contatto con la platea, e dialogava con il pubblico, ogni sera un discorso diverso e se il pubblico ci stava poteva durare all’infinito.
Walter Chiari, ovvero il trionfo della parola, il fiume delle battute, l’oceano del racconto… Se cucissimo insieme tutti i monologhi di Walter Chiari, e soltanto quelli che ha lasciato nelle Teche della Rai, faremmo una trasmissione lunga almeno un anno o due. Però Walter Chiari non è solo questo: Walter è anche il teatro di rivista, l’attore di cinema… Walter è l’irregolare della scena, il ribelle del palcoscenico, il ritardatario cronico. E’ l’eterno ragazzo, amato dai bambini e dalle mamme.
Un eterno goliardo, sempre con lo stesso volto giovanile, con il ciuffo ribelle e la voce un po’ afona di chi ha tirato mattina bevendo e fumando, con gli amici o con le più belle donne del mondo.
Quando lo vedevamo arrivare sul teleschermo con quella sua aria dinoccolata e infantile, sapevamo tutti che ci avrebbe raccontato una storia lunga, condita di mille lazzi, di sottili annotazioni psicologiche che avrebbero composto pian piano tutta una galleria di personaggi. Ma con un procedimento singolare, quello delle parentesi.
Walter era il re della parentisi, andando avanti nel racconto riusciva ad aprirne a decine una dentro l’altra e, la cosa più sorprendente riusciva a chiuderle tutte a tempo debito. Ecco, questo era lo stile, la cifra principale di Walter Chiari. E se Totò fu il principe della risata, Chiari può essere definito il principe della parola, per quella sua aria colta condita dall’uso di aggettivi e sostantivi inusuali, quasi roboanti, per quella sua capacità di costruire discorsi perfetti dal punto di vista sintattico che avevano il fascino sottile della affabulazione.
Walter Chiari piaceva molto agli italiani. Piaceva forse perché ne rifletteva da un lato la pigrizia, e un certo modo di fare, sornione e sempre sorridente. Era un serio professionista, eppure certi suoi comportamenti facevano pensare che considerasse più importante la sua vita privata, improntata sempre all’eccesso. Fu sempre alla ribalta, anche per motivi non inerenti allo spettacolo e visse ogni giorno della sua vita come se fosse stato l’ultimo.
Un lato che sembrava destare l’ammirazione della nazione era appunto la sua fama di conquistatore amoroso. Un latin lover, come si diceva allora, che passava da una storia all’altra, da un letto all’altro, con estrema facilità. Tutti e due questi aspetti ebbero un notevole peso nella sua vita. Chiari fu protagonista una infinità di storie d’amore, la più vistosa delle quali fu quella con Ava Gardner, una delle dive consacrate da Hollywood la cui bellezza faceva sognare mezzo mondo. «In quegli anni sentivo dietro di me tutta l’Italia maschile – diceva Walter Chiari – solidale e complice in questo mio rapporto con una delle donne più ambite ed ammirate dal pubblico».
Era come se l’Italia maschile si identificasse in lui, pronta a perdonargli ogni mancanza in nome della sua sbandierata virilità.
C’è oggi in Italia un altro Walter Chiari? Qualcuno dice che c’è Fiorello e in parte ha ragione. Però Fiorello ha qualcosa in più rispetto a Walter: innanzi tutto sa cantare mentre Chiari nessuno l’ha mai sentito cantare. Ma in più Fiorello ha anche “il gobbo”, una sorta di suggeritore elettronico mentre Walter era improvvisazione pura.
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