È da 30 anni (TRENTA) che in Italia non aumentano gli stipendi. Aumenta solo il numero di lavoratori poveri, di part time involontari, di contratti a tempo determinato e aumenta il livello di disuguaglianza tra i ricchi sempre meno e sempre più ricchi e i poveri, sempre più numerosi e sempre più poveri.
Sappiamo che l’Italia è un paese sempre più vecchio e che l’inverno demografico ci accompagnerà a lungo, per cui avremo difficolta a trovare le persone sufficienti a sostituire i boomers prossimi alla pensione.
Sappiamo che lo sviluppo del digitale toglie lavoro, (per i più pessimisti sarà “Jobless”) e che la transizione green e tech non è a costo zero, ne socialmente ne economicamente.
Sappiamo infine che l’ascensore sociale è ormai un lontano ricordo del XX secolo. I dati ultimi del mercato del lavoro non dovrebbero coglierci impreparati, oltretutto siamo un paese che vive di export e sappiamo che l’export si basa su salari bassi e progressiva sostituzione del lavoro umano con il lavoro digitale.
Il fatto nuovo piuttosto è quello delle Grandi dimissioni di massa, prima negli USA poi in Europa e qui da noi in Italia.
Nel 2021 più di due milioni di persone si sono dimesse dal proprio posto di lavoro, e 400 mila nel primo trimestre del 2022. Nel frattempo la ripartenza dell’economia ha fatto i conti con la difficoltà a reclutare persone a fronte di offerte di lavoro che rientravano nella norma, in particolare nei servizi e nel turismo.
Il mercato del lavoro per definizione asimmetrico e fatto di lavoratori che non trovano aziende e aziende che non trovano lavoratori, è diventato un pentolone che ribolle di tensioni, paradossi ed insoddisfazioni, le più varie. In Italia solo 4 (QUATTRO) lavoratori su 100 si sentono coinvolti in quello che fanno (rapporto Gallup 2022) e la metà si dichiara “molto infelice”. Ne consegue che il problema per le aziende non è più solo trovare le risorse ma trattenere quelle che ci sono.
Tornando alle grandi dimissioni che hanno interessato in particolare giovani e lavoratori a tempo determinato, la scelta di abbandonare un lavoro il cui salario non consente di arrivare alla sussistenza non dovrebbe sembrare così assurda.
E il reddito di cittadinanza c’entra poco, visto che la maggior parte di chi percepisce l’assegno ha un lavoro che non basta per arrivare a fine mese. Piuttosto questa situazione di crisi del mercato del lavoro potrebbe spingere ancora di più le aziende a digitalizzare e automatizzare i processi, produttivi e distributivi. O, almeno, storicamente è quasi sempre capitato così.
Una società senza lavoro, o meglio con poco lavoro retribuito e comunque non sufficiente per tutte le persone in età attiva, pone questioni che vanno oltre quelle puramente economiche relative alla ridistribuzione delle risorse.
In un mondo basato sui dati, bisogna capire come bilanciare il potere, economico e politico, dei pochi che gestiscono le informazioni. Occorre poi ripensare a come si articola una società in cui non è più il lavoro a determinare status e ruolo nella comunità. Difficile leggere le transizioni in atto senza considerare questi aspetti nel loro insieme. Se il nuovo contesto è quello del digitale, il nuovo ecosistema non va letto con le lenti del XX secolo, ma come un mondo diverso.
PS: Oggi il tema centrale secondo gli osservatori più attenti, è come ripensare il ruolo dell’istruzione, sempre più la leva per lo sviluppo delle persone delle comunità, e il rapporto tra scuola e lavoro, evitando di arrendersi all’idea che la scuola debba formare risorse umane pronte e efficienti per le aziende subito dopo il percorso scolastico.
La scuola dovrebbe fare una cosa molto diversa invece smettere di inseguire il mercato del lavoro e formare cittadini in grado di progettare il loro futuro.
Non fosse altro perchè oggi si cambia mestiere ogni 7-8 anni e le competenze invecchiano in fretta, e serve puntare sulla formazione continua. Al nostro paese, quindi, non servono solo competenze tecniche come si sente dire da anni, ma servono le “Competenze” necessarie a capire come funziona il mondo nuovo e starci dentro pienamente.