Bruno Somalvico
Direttore editoriale di Democrazia futura
Nel suo quinto contributo dedicato alla stagione del sistema radiotelevisivo misto, Bruno Somalvico rileva all’inizio del 1976 “L’inizio della competizione sugli ascolti in seno al servizio pubblico (senza quasi accorgersi dei nuovi potenziali concorrenti)”. Preoccupata a dar vita al nuovo corso che sarà segnato da una crescente competizione fra i due canali televisivi del monopolio riformato più che dalla percezione delle potenziali minacce provenienti dai ripetitoristi e più in generale dalle nuove emittenti, la Rai non percepisce il pericolo che incombe sul nascente sistema radiotelevisivo misto privo ancora di regole chiare […]. La Rai confida nel sostegno massiccio da parte della classe politica e non solo delle vecchie forze del centro-sinistra ma anche dei comunisti, a favore del mantenimento di un regime di monopolio e – non percependo i pericoli derivanti dall’assenza di regole chiare – non vede di buon occhio chi tende a favorire un quadro di regole certe per chi intenda investire nel settore”. Eppure due deputati il noto giornalista Rai Ruggero Orlando e il liberale Antonio Baslini con lungimiranza presentano un progetto di legge con “La proposta di regolamentazione dell’emittenza privata ispirata al modello britannico”. In ogni caso come evidenzia Somalvico “La questione radiotelevisiva al centro della scena politica nazionale” prima di analizzare “L’avvio dei nuovi telegiornali e giornali radio sotto il segno del pluralismo interno al servizio pubblico ma anche delle polemiche intorno alla legittimità della nuova emittenza privata”, mentre, nel frattempo, grazie anche ad un convegno promosso dai repubblicani, assistiano a “L’emergere delle questioni relative alla sostenibilità economica delle nuove emittenti”. Ma in questi primi mesi del 1976 non c’è tempo per approvare nuovi provvedimenti legislativi. La situazione politica diventa incandescente dopo lo scoppio dello scandalo Lockheed e la convocazione dei congressi di quasi tutti i partiti della vecchia maggioranza di centro-sinistra che porteranno a “La fine del quinto governo Moro e la convocazione di elezioni anticipate per il 20 giugno 1976”.
Preoccupata a dar vita al nuovo corso che sarà segnato da una crescente competizione fra i due canali televisivi del monopolio riformato più che dalla percezione delle potenziali minacce provenienti dai ripetitoristi e più in generale dalle nuove emittenti, la Rai non percepisce il pericolo che incombe sul nascente sistema radiotelevisivo misto privo ancora di regole chiare, concentrando gli sforzi da un lato sul piano tecnologico per recuperare il ritardo accumulato e offrire una programmazione a colori dei grandi eventi sportivi già trasmessi dalle emittenti estere e, dall’altro per creare in nome degli obiettivi di decentramento attraverso lo sviluppo ideativo e produttivo una programmazione in grado di competere con le nuove emittenti in ambito locale piuttosto che con canali commerciali provenienti dall’estero o potenziali network di emittenti locali operanti de facto su scala nazionale.
La Rai confida da un lato nel sostegno massiccio da parte della classe politica e non solo delle vecchie forze del centro-sinistra ma anche dei comunisti, a favore del mantenimento di un regime di monopolio dall’altro punta all’allargamento del consenso da parte dei propri radio telespettatori e quindi anche degli ascolti e più in generale del gradimento, attraverso un’informazione giornalistica profondamente rinnovata che stabilendo l’esistenza di più testate giornalistiche, autonome e tra loro differenziate vuole cancellare la percezione negativa di monolitismo che aveva caratterizzato le gestioni precedenti. Il limite principale dei nuovi amministratori e che si illudono che, almeno per ora, sia sufficiente un regime di monopolio riformato, non percependo i pericoli derivanti dall’assenza di regole chiare – non vede di buon occhio chi tende a favorire un quadro di regole certe per chi intenda investire nel settore.
La proposta di regolamentazione dell’emittenza privata ispirata al modello britannico
Solo pochi deputati sono convinti della necessità di intervenire rapidamente sul piano legislativo prima che sia troppo tardi. Fra di essi il noto giornalista già corrispondente a New York della Rai Ruggiero Orlando, eletto nel 1972 nelle file socialiste e fra le poche voci critiche nel suo partito nei confronti della Legge di riforma della Rai.
Il 16 febbraio 1976 a pochi mesi dalla fine della legislatura, Ruggero Orlando e il liberale Antonio Baslini presentano un progetto di legge teso a regolamentare l’attività delle emittenti private ispirandosi al modello adottato nel Regno Unito. Il progetto di legge n. 4311 prevede che la diffusione televisiva su scala nazionale sia riservata allo Stato. L’iniziativa privata deve limitarsi rigorosamente all’ambito locale. Anche a essa si estende il carattere di servizio pubblico, data l’importanza della funzione che svolge. Secondo il progetto di legge Orlando e Baslini l’attività televisiva privata andrebbe regolata da una commissione tecnica nazionale per le radiodiffusioni e da tre commissioni interregionali. Queste ultime provvedono alla definizione delle aree di utenza in modo tale da consentire l’utilizzazione più ampia possibile delle frequenze, per il Settentrione, il Centro e il Sud della penisola (art. 7). La Commissione tecnica nazionale è un organo indipendente che riferisce al Parlamento, concede le autorizzazioni, assegna le frequenze, esercita il controllo sull’attività delle emittenti (art. 8). Il fabbisogno finanziario è coperto dai proventi derivati dalla pubblicità, che non può superare il 5 per cento dei tempi totali di trasmissione (art. 20).
La questione radiotelevisiva al centro della scena politica nazionale
Il 1° febbraio 1976 iniziano le trasmissioni sperimentali a colori della Rai sebbene ancora solo per sei ore al giorno in un quadro politico ancora dominato dallo scandalo Lockheed. Insieme ad esso la questione radiotelevisiva domina la scena nazionale. Dieci dopo l’insediamento del quinto governo monocolore democristiano Moro, il 20-21 febbraio 1976 i presidenti delle Regioni discutono sulla riforma della Rai e sul ruolo delle Regioni formulando critiche al Governo per lo stato di disinteresse nell’applicazione della legge di riforma. Le Regioni danno vita a un
“fronte comune contro le scelte verticistiche della Rai-Tv (…) L’obiettivo è quello di conquistare un reale potere a livello delle trasmissioni regionali attraverso il decentramento e la gestione diretta della regolamentazione del diritto di accesso”.
Negli stessi giorni il 21 e 22 febbraio 1976 alla Casa del Popolo di Firenze, si costituisce la Federazione radio emittenti democratiche, nota come FRED. Le radio associate vogliono ergersi a strumenti di informazione “alternativa” al monopolio di Stato “lottizzato” e contrastare qualsiasi formazione di oligopoli dell’emittenza privata. La FRED nasce per iniziativa di un gruppo di radio, tra cui Radio Milano Centrale (Mario Luzzatto Fegiz), Radio Città Futura di Roma (Renzo Rossellini, Sandro Silvestri), Controradio di Firenze (Pio Baldelli), Radio Popolare (Piero Scaramucci), Radio Bra onde rosse e alcuni esperti di comunicazioni di massa fra i quali spiccano oltre allo stesso Pio Baldelli, il regista Roberto Faenza, e il massmediologo Edoardo Fleischner.
Anche l’associazione delle nuove televisioni Anti (Associazione Nazionale delle Tele-radio diffusioni) fa sentire la sua voce invitando il governo in un convegno svoltosi il 24-25 febbraio 1976 a disciplinare senza indugi attraverso un decreto legge o un decreto governativo l’emittenza privata radiofonica e televisiva a dimensione locale forte anche della decisione presa la vigilia dal Pretore Gaetano Cioffi del Tribunale di Busto Arsizio di assolvere i principali azionisti di Tele Alto Milanese, l’industriale Giuseppe Mancini e Giuseppe Florita il cui trasmettitore era stato posto sotto sequestro unitamente ad alcune telecamere dalla Guardia di finanza il 17 dicembre.
L’avvio dei nuovi telegiornali e giornali radio sotto il segno del pluralismo interno al servizio pubblico ma anche delle polemiche intorno alla legittimità della nuova emittenza privata
Lo stesso giorno in cui iniziano Roma le trasmissioni regolari di Radio Città futura, a partire dal 15 marzo 1976 si possono vedere gli effetti della lottizzazione con l’avvio operativo dei nuovi Telegiornali e Giornali Radio, riorganizzati a seguito della riforma e ristrutturati secondo il principio dell’autonomia su basi paritarie. L’ossatura quotidiana dell’informazione televisiva è fissata con tre edizioni del TG1 (ore 13.30-14.00, 20.00-20.45, edizione notte a chiusura programmi) e tre edizioni del TG2 (ore 13.00-13.30, 19.45-20.45, edizione della notte).
La caratteristica principale del nuovo TG1 è l’approfondimento, specie nell’edizione delle 20:00, che si conclude sempre con la rubrica Dentro la notizia La domenica, dal 24 ottobre 1976, la nuova testata dà vita alle ore 13:00 rotocalco d’attualità e approfondimento con ospiti in studio e servizi filmati a cura di Alfredo Ferruzza che va in onda per 50 minuti TG l’una, interrotta alle 13:30 da una breve edizione di 10 minuti del TG, denominata TG1 Notizie.A fianco del nuovo TG1 di Ernesto Rossi decisamente meno paludato rispetto al vecchio Telegiornale del Canale nazionale, Il TG2, condotto inizialmente da Piero Angela, sotto la direzione di Andrea Barbato, con il suo “Studio Aperto” della durata di circa un’ora è la grande novità costituendo un nuovo punto di vista meno ingessato sulla vita politica nazionale ma anche sulla società italiana e su un mondo che si avvia a forti cambiamenti. Di indubbio interesse appare anche il nuovo settimanale del TG2 “Dossier” a cura di Ezio Zefferi, che, a partire dal 23 marzo 1976 presenta il documento della settimana.
Fra le novità delle testate radiofoniche, insieme alle fisionomie assunte dai tre diversi giornali radio realizzati dalle testate, dove spicca – quasi a contraltare del TG2 in particolare l’impronta conservatrice impressa al Gr2 dal suo direttore Gustavo Selva – spiccano i programmi di approfondimento realizzati dalle testate: fra gli Speciali del GR1 diretto da Sergio Zavoli, si segnala a partire dal 22 marzo, una rubrica che approfondisce temi d’attualità: Controvoce e a partire dal 4 aprile la rubrica Edicola del GR1. Fra quelli del GR3 di Enzo Forcella, riscuote grande interesse un programmaQuotidiana, poi ribattezzato Prima Pagina – lettura-commento dei giornali del mattino da parte di giornalisti della carta stampata che si avvicendano settimanalmente ai microfoni, seguita da un filo diretto telefonico con gli ascoltatori, che – come scriverà più tardi lo stesso Forcella in un appunto per i collaboratori del programma,
“da allora si è affermata come appuntamento di più alto ascolto della rete e come una delle trasmissioni radiofoniche seguite con maggiore interesse dal mondo politico e dalla stampa”.
Se l’informazione delle nuove testate giornalistiche rappresenta indubbiamente una forte discontinuità con il passato, anche la programmazione delle nuove reti presenta caratteristiche in netta rottura con il passato. La novità principale è data dal nuovo contenitore trasmesso la domenica pomeriggio a partire dal 30 marzo 1976 sulla Rete 2 che sotto la direzione di Massimo Fichera segna l’inizio di una breve quanto fertile stagione[1] sotto il segno dell’innovazione dei linguaggi e della diversità rispetto all’offerta tradizionale rivolta alla tradizionale platea televisiva nazional-popolare. A cominciare dl titolo che è di per sé un programma-manifesto: L’altra domenica. Dalle 14.30 alle 19.00 Renzo Arbore e Maurizio Barendson si alternano nella presentazione di cronache e fatti di sport e spettacolo. Compare in video Roberto Benigni. Trasgressione, ironia, anticonformismo sono il frutto di anni di sperimentazione di nuovi linguaggi sulla radio. La rottura con le collaudate quanto paludate trasmissioni televisive domenicali degli anni precedenti è evidente. È il programma dell’anno ed appare direttamente in concorrenza con la programmazione di Rete1 inaugurando per l’appunto la stagione della competizione sugli ascolti in seno al monopolio e costringendo la rete concorrente a reagire a partire dal mese di ottobre con un nuovo programma affidati a Corrado, Domenica in…, tuttora in onda.
L’emergere delle questioni relative alla sostenibilità economica delle nuove emittenti
Mentre fioccano le polemiche da parte dei partiti dopo alcuni servizi mandati in onda dal TG1 e dal Tg2, anche le nuove emittenti entrano in subbuglio dopo l’annuncio della Società italiana autori e editori SIAE (detentrice i una piccolissima quota azionaria della Rai) di proporre una tariffa forfettaria che le radio private dovranno pagare per le loro trasmissioni musicali. La richiesta spacca il fronte delle nuove emittenti suscitando le proteste delle radio “democratiche” aderenti alla FRED; mentre l’ANTI si dichiara disposta alla trattativa.
Nel mese di aprile, mentre un nuovo imprenditore Giorgio Tacchino, proprietario di numerose sale da ballo, si cimenta nel settore dando vita a Radio City che diventerà ben presto Teleradiocity[2], a Roma scoppiano le polemiche a proposito della nuova emittente lanciata dagli amici di Marco Pannella Radio Radicale. Nel corso di una perquisizione a Roma in via di Villa Pamphili dove ha sede l’emittente radiofonica, i carabinieri accertano che alcune apparecchiature elettroniche di controllo provengono da furti compiuti nei mesi precedenti nel deposito dell’aeronautica militare a Terricola. Il Partito Radicale in un comunicato dichiara che la gestione della radio è del tutto estranea ai fatti.
A gettare un po’ di luce sul nuovo settore ci pensa questa volta il Partito Repubblicano che il 25 aprile organizza a Roma un convegno sull’emittenza privata con l’obbiettivo di cogliere le problematiche di una regolamentazione del settore per il quale il partito opera da tempo. Secondo Mauro Dutto, di fronte ad una situazione così anomala in cui elevatissimo è il numero delle emittenti, occorre procedere a una revisione del sistema seguendo essenzialmente due strade:
- la ricerca di una definizione di ambito locale che passi non tanto attraverso una limitazione geografica, quanto attraverso un’individuazione di tipo economico;
- la ricerca di un’area economica che possa garantire a ogni emittente introiti pubblicitari sufficienti ad assicurarne l’esistenza. Questa necessità potrà essere soddisfatta anche attraverso la creazione di consorzi di servizi.
Giorgio Bogi futuro sottosegretario al Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, indica i pericoli reali nella formazione di due opposte degenerazioni del sistema: da una parte l’impossibilità di garantire un prodotto professionalmente qualificato e la difficile lotta di sopravvivenza per le emittenti minori; dall’altra, l’organizzazione di oligopoli, ovvero di trust di emittenti che monopolizzino programmi e informazione. Il nodo fondamentale è la ricerca di un punto di equilibrio.
La fine del quinto governo Moro e la convocazione di elezioni anticipate per il 20 giugno 1976
Il convegno repubblicano sull’emittenza privata si svolge nei giorni in cui si conclude definitivamente l’esperienza dei governi sostenuti da u a maggioranza di centro sinistra con la fine del quinto governo Moro. La decisione di sciogliere anche questa volta anticipatamente le Camere fa seguito allo svolgimento dei congressi di quasi tutti i partiti della maggioranza uscente e ad un clima surriscaldato dalle polemiche da un lato intorno alla scandalo Lockheed – che porta il 24 marzo alla riformulazione dell’accusa per tutti gli indagati da corruzione a concussione e all’apertura di un procedimento separato per il socialdemocratico Mario Tanassi davanti alla commissione parlamentare inquirente trattandosi di reato commesso nell’esercizio di una attività di governo – dall’altro in occasione della discussione generale alla Camera a partire dal 26 febbraio della legge per la depenalizzazione dell’aborto su cui incombe, dopo quello su divorzio, un secondo referendum[3].
Al Consiglio Nazionale del Partito Repubblicano che si svolge dal 25 al 28 febbraio, il segretario Ugo La Malfa afferma che il governo è un ripiego del momento e che la soluzione dei problemi politici ed economici del Paese non può prescindere dall’accordo di tutti i partiti dell’arco costituzionale. Per La Malfa le priorità sono la riduzione della spesa pubblica, la riattivazione del sistema produttivo e la riorganizzazione delle partecipazioni statali.
Al 45esimo Congresso nazionale del Partito socialista tenutosi a Roma dal 3 al 7 marzo viene approvata la relazione del segretario Francesco De Martino sull’atteggiamento socialista nei governi Moro, sulla gestione della crisi e sulla necessità di un’alternativa a sinistra. I socialisti non torneranno al governo in questa legislatura e rifiutano la proposta di un compromesso storico, escludendo di poter tornare al governo con la DC prima delle prossime elezioni politiche[4].
Al congresso nazionale PSDI che si svolge dall’1 al 15 marzo il segretario Mario Tanassi, coinvolto nello scandalo Lockheed ed avversato per la politica destrorsa della maggioranza, viene pesantemente contestato dalla platea, che a stento gli consente di leggere la relazione. Scoppiano gravi incidenti tra tanassiani e delegati delle altre correnti che contestano le scelte per nuove alleanze locali di sinistra approvate dalla segreteria. Giuseppe Saragat viene acclamato segretario alla testa di una maggioranza che esclude solo i fedelissimi di Tanassi.
Al congresso nazionale della DC che si svolge dal 18 al 23 marzo 1976 il segretario Benigno Zaccagnini prende atto della fine del centro-sinistra, propone una rinnovata collaborazione col PSI e un confronto costruttivo col PCI. Non va rifiutata pregiudizialmente la proposta di Ugo La Malfa per un accordo dell’intero arco costituzionale. Zaccagnini viene confermato segretario col 52 per cento dei voti (morotei, sinistre, dorotei dissidenti) battendo Arnaldo Forlani, sostenuto da fanfaniani[5], dorotei e andreottiani.
Anche il congresso nazionale del PLI che si svolge dal 7 al 10 aprile vede il partito nettamente diviso in due: da una parte Giovanni Malagodi e Agostino Bignardi, sostenitori della linea moderata e conservatrice[6], dall’altra gli amici di Valerio Zanone, favorevoli alla collaborazione col PSI per un rinnovamento dell’asse di governo. L’assise riconferma la gestione unitaria decisa due mesi prima, ovvero Zanone segretario, Bignardi presidente, Malagodi presidente onorario.
A complicare ulteriormente le cose il 24 aprile, il tribunale dei ministri esaminando il rapporto americano sui finanziamenti della Lockheed, dove figura il nome di Luigi Gui e appare chiaro il riferimento a Tanassi, appura in base a testimonianze raccolte dalla commissione Church che il nome in codice “Antelope Cobbler” del cifrario della società americana, riferito agli anni 1965, 1968 e 1969 si riferisce al presidente del consiglio a quel tempo in carica: dopo l’esclusione di Aldo Moro (nel 1965 la vicenda non essendo ancora iniziata), le indagini si indirizzano sul Presidente della Repubblica Giovanni Leone e sull’ex Presidente del Consiglio Mariano Rumor che verrà poi identificato negli Stati Uniti dalla Commissione inquirente l’11 giugno e del quale i comunisti chiederanno invano le dimissioni da ministro degli esteri[7].
[1] Nata da una forma originale di collaborazione fra le Rete 2, la terza rete radiofonica e il GR3, il 29 maggio 1976 va in onda Cronaca, rubrica televisiva d’inchiesta ideata da Renato Parascandolo, realizzata con la partecipazione dei protagonisti delle realtà sociali a tutte le fasi della produzione, dall’ideazione alle riprese, fino al montaggio.
[2] Le tre sale da ballo della maxi-discoteca, di proprietà di Tacchino, sono utilizzate durante la settimana, escluso il sabato e la domenica, come studi di posa. In questi studi vengono realizzati i programmi che Teleradiocity manda in onda da Castelletto d’Orba. L’emittente serve Alessandria, Vercelli, Novara e le relative province. Verrà poi estesa nel 1977 a tutto il Piemonte e nel 1978 a parte della Liguria e della Lombardia. La concessionaria per la pubblicità nazionale è la Gestione Radiotelevisiva (grt) mentre per quella locale è la Videosintesi.
[3] Il MSI tenta una mossa ostruzionistica sollevando una eccezione di costituzionalità, che viene respinta a grandissima maggioranza, Desta comunque preoccupazione che coi missini abbiano votato a favore 39 franchi tiratori, quasi sicuramente democristiani. A nome della DC Galloni afferma che il partito è contro la completa liberalizzazione ma non ritiene la proposta contraria alla Carta Costituzionale. Il 2 aprile 1976, approfittando di numerose assenze nelle file dei partiti laici la DC e il MSI-DN fanno passare un emendamento all’articolo 2 della legge sull’aborto che stravolge il testo in discussione abolendo la libera iniziativa della donna entro i tre mesi. Si torna all’aborto reato con le disposizioni che non si applicano per il pericolo della salute della madre o per gravidanza provocata da stupro. PCI e PSI insorgono e annunciano ostruzionismo per arrivare al 13 giugno quando scatterebbe la convocazione del referendum. La DC non esclude di provocare la crisi di governo per arrivare alle elezioni anticipate e al rinvio automatico di 12 mesi del referendum, che diventerebbero 24 per la mancanza dei tempi tecnici che portarono al rinvio dal 1972 al 1974 della consultazione sul divorzio
[4] La maggioranza in seno al congresso viene costituita da un’alleanza fra l’area intorno a Francesco De Martino che dispone del 42,7 per cento dei delegati e quella di Giacomo Mancini con il 19,8 per cento e prevede la conferma di De Martino alla segretaria. L’area della sinistra riunita intorno Riccardo Lombardi dispone del 17,8 per cento, quella autonomista intorno a Pietro Nenni che viene acclamato presidente del partito, dispone del 14 per cento mentre una quinta area intorno a Gino Bertoldi raccoglie il 5,7 per cento dei delegati. Sotto la guida di Francesco De Martino, il PSI ritira l’appoggio ai governi della DC, con l’obiettivo di supportare la crescita elettorale del PCI al fine di arrivare ad un esecutivo guidato dalle sinistre. De Martino scrive che il PSI ha una funzione politica a termine: permettere la completa maturazione del PCI fino alla sua partecipazione diretta al governo senza considerare che, una volta raggiunta tale maturazione, di fatto, il PSI avrebbe esaurito le proprie funzioni. Anche per questo forse verrà punito dagli elettori.
[5] Fanfani rilancia l’anticomunismo vecchia maniera e rivendica il ruolo conservatore e centrista della DC. Contestata la parlamentare veneta Maria Pia Dal Canton quando afferma che i sostegni missini su alcuni temi non equivalgono a sporcarsi le mani.
[6] Da notare che Malagodi e Bignardi non siedono alla presidenza dell’assise ma si riuniscono in separata sede alla ricerca di adesioni alla loro linea politica.
[7] Rientrata a Roma, la commissione inquirente si riunisce il 15 e 16 giugno alla vigilia del voto per decidere sulle accuse formulate nei confronti di Mario Tanassi, Luigi Gui e Mariano Rumor. I commissari democristiani, socialdemocratici e liberali, riuniti in una occasionale maggioranza, bloccano tutte le richieste di comunisti e socialisti, tra le quali l’arresto di Tanassi e l’apertura di una inchiesta su Rumor in difesa del quale la DC fa quadrato. Moro, parlando a tribuna elettorale, sostiene che la vicenda è stata esasperata. PCI e PSI chiedono all’elettorato di giudicare la DC nelle urne. Valerio Zanone si dissocia dal comportamento del commissario liberale.
SEGNALIAMO
Una risposta a “5. L’inizio della competizione sugli ascolti in seno al servizio pubblico (senza quasi accorgersi dei nuovi potenziali concorrenti) ”
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