Una volta il civismo progressista italiano non vedeva come dominante la preoccupazione di dover mettere d’accordo territori diversi, ragioni diverse, scopi sociali separati, figure promotrici di solito sconosciute l’una all’altra.
C’era un’affascinante storia di comunità che trasformava città industriali in mitologie nel nord Italia.
C’era un tema pacifista o proto-ambientalista, con i suoi esponenti, che caratterizzava il centro Italia.
C’era una spinta morale anti-mafiosa che caratterizzava scelte nel sud Italia. Eccetera. Centinaia di queste storie corrispondevano ad insorgenze caratterizzanti i territori.
Ma anche ad un pensiero maturato tra chi riteneva necessaria la partecipazione collettiva per raggiungere soluzioni. E persino ad una certa competizione etica tra i territori stessi, rivendicando che senza storie “dal basso” non ci sarebbe stata nessuna storia collettiva raccontabile come “identitaria”.
Il modello del “Patto civico”
Il big-bang dell’ultima ora di questa storia secolare è stata probabilmente la vicenda che dodici anni fa ha ribaltato un lungo predominio del centro-destra a Milano. Città in cui i partiti del centro-sinistra percepivano (forse prima di altre parti d’Italia) la crisi reputazionale e partecipativa mentre una parte del ceto medio avvertiva che – al di là della alternativa novecentesca tra destra e sinistra – il carattere socio-economico di quella città stava imponendo un urgente problema di “avanti o indietro”.
Da qui la costituzione di un’area civica (che i media definiranno al tempo “borghese”), senza distinzione tra provenienze e professioni, che intuiva che la figura (borghese di famiglia, di sinistra per posizione, di rilevante tradizione giuridica, di forte riconoscibilità civile) dell’avvocato penalista Giuliano Pisapia aveva caratteri vincenti perché idonea a “federare”, con garanzie per le parti, un sistema plurale molto conflittuale e per lo più diviso ideologicamente.
Due anni dopo questo modello fu interpretato da un più giovane avvocato penalista, Umberto Ambrosoli, alle elezioni in Lombardia, regione in cui la democrazia era bloccata da vent’anni (ora da trent’anni) per il carattere più conservatore del voto di profondità (rispetto ai territori urbani) per cui non c’era forza politica alternativa al blocco di convenienza che il centrodestra sapeva presidiare con più calcolo.
Qui l’esito (come non è più stato in futuro) portò, grazie al Patto civico, la maggiore regione italiana ad essere contendibile, mancando poco più del 4%, e indicando così un strada. Non è per caso che a queste storie si sono rifatte le esperienze di territorio che nel nord Italia hanno significato nei piccoli contesti una affermazione del civismo fino al 30% dei casi.
E nei contesti medio-grandi (Milano e Torino comprese) un ruolo spesso decisivo ma comunque sempre concorrente nell’essere parte appunto di un “patto” tra civici e partiti per sostenere con successo la competizione.
Mentre continuavano – a destra ma anche a sinistra – a prendere piede “liste civiche di comodo”, cioè non tanto espressione di partecipazione sociale (associazioni, volontariato, onlus, realtà culturali, eccetera) ma formate dai partiti stessi per recuperare voto in fuga o in astensione e per non aver più ruolo una volta passate le elezioni. Sciupando spesso così il valore reputazionale del civismo.
E non è per caso che analoghe esperienze siano maturate in parallelo anche nel centro Italia e nel sud Italia. Le prime con frequente connessione a cause sociali e solidali; le seconde legate alla tradizione meridionalista di criticare la crescita di disunione e disuguaglianze su cui la natura di questa dominante trovava, come trova, responsabilità anche nei partiti politici di rilevanza nazionale.
Si è trattato innanzi tutto di ripensare all’eccesso di municipalismo e di localismo che molte di queste esperienze esprimevano. E probabilmente l’insieme delle crisi attraversate di recente, tra loro spesso legate (salute, pandemia, transizione ambientale, occupazione, sviluppo, eccetera), ha favorito l’emergere dei nessi che porta le analisi a trovare più ampie corrispondenze.
E che porta la ricerca delle soluzioni ai ragionamenti a cui tanto l’associazionismo ambientale quanto quello tematizzato suoi diritti civili è giunto da tempo: stare cognitivamente e criticamente nei processi globali, senza subirne la fascinazione produttrice di dipendenze, ma comprendendo anche le spinte trasformative e di modernizzazione che essi contengono.
La dimensione nazionale diventa quindi parte di questa rinnovata visione a sua volta nutrita con orientamenti federalistici verso l’idea dell’imprescindibilità dell’Europa.
Ben inteso, non si ottengono queste evoluzioni con un convegno o con qualche occasionale articolo. Si ottengono generando un cantiere in cui maturano convincimenti comuni, anche se il percorso fa emergere molteplici distinzioni.
Una delle tante distinzioni riguarda per alcuni il bisogno di misurarsi con problemi di governo del territorio (locale e regionale) dunque spingendo ad accordi possibili e ragionevoli, per loro natura differenziati. Tendenza meno evidente tra chi avverte lo scopo del radicamento sociale più sostanziale rispetto a quello amministrativo.
E qui si annidano gli stessi rischi che hanno travolto il sistema dei partiti, per lo più consistenti in un affanno continuo a tentare, disfare e ritentare alleanze alternative che sono parte di una perenne prevalenza tattica rispetto al consolidamento di un percorso strategico.
Il nuovo contesto italiano ed europeo innescato dalla destra al governo
Ed è proprio su questo terreno che l’ancora più recente trasformazione del quadro politico nazionale ha portato un contributo chiarificatore.
Il raddoppio delle preferenze ottenute dall’unico partito all’opposizione del governo di emergenza guidato da Mario Draghi (per intuito di una dissociazione che avrebbe accelerato notevolmente il consenso elettorale) ha portato il partito di Giorgia Meloni – pur ancora impegnato a rappresentare le istanze tradizionali di una destra in buona parte post-fascista – ad esprimere un consenso maggiore di quello tutto insieme dei suoi alleati. E facendo crescere così una componente che appariva come un escamotage tattico e che si è invece rivelata come una indispensabile chiave di compatibilità di governo. Quella cioè riferita al posizionamento europeo tra i “conservatori”. Dunque, non tra i “popolari” (di cui è parte Forza Italia) né tra gli “identitari” ovvero “sovranisti” (di cui è parte la Lega).
Addirittura “Conservatori e riformisti” è il nome esatto di quel gruppo, del quale sono stati parte – fino all’intervento della Brexit – anche i Tories inglesi. Pur nell’evidente torsione, anzi contraddizione, di un passaggio attuale ambiguo tra i comportamenti connessi a quell’adesione (alla quale si salda il forte e per la destra inusuale richiamo all’alleanza atlantica) e i comportamenti richiesti da un elettorato con componenti rilevanti di tipo sovranista, nazionalista, tradizionalista e post-fascista (si vedano le “Tesi di Trieste” adottate da FdI come bandiera ideologica nel 20171), la prospettiva ormai imminente delle elezioni europee nel 2024 spinge ad accelerare l’identificazione con un gruppo attorno a cui non marginali soggetti (per esempio la Fondazione “Nazione futura”, che sta agendo come leva teorica di questo processo) esprimono linee di discussione per una netta trasformazione2.
Di che si tratta? Si tratta di spingere la tendenza dei Popolari europei a rompere in vista delle elezioni europee del 2014 l’alleanza con i Socialisti (che insieme ai Liberali costituisce attualmente lo schema della maggioranza cosiddetta “Ursula”) e aprire le porta ad un’alleanza Popolari-Conservatori, in cui Giorgia Meloni – presidente europea del gruppo – ravvede molteplici vantaggi3.
Dapprima riunisce il posizionamento di due sui tre soggetti che compongono la maggioranza di governo italiana, di fatto creando un superamento tra le divisioni rivolte al passato di Forza Italia e Fratelli d’Italia, con la formazione di un soggetto appartenente alla logica del bipolarismo americano o inglese a cui alla fine potrebbe aderire anche la Lega e altre formazioni minori. Ma soprattutto creando l’ipotesi di una nuova maggioranza europea (che dipende dagli esiti elettorali di alcuni paesi) che metterebbe fine alla tensione politica tra Bruxelles e Roma in una chiave più omogenea, quanto appunto a strategie politiche.
Comincia a profilarsi una consapevolezza in Italia attorno a questa prospettiva, anche se le tracce di attenzione sono limitate. Soprattutto la crisi profonda dei rapporti tra i soggetti del centrosinistra, a fronte anche del ripiegamento congressuale del PD, mostra che sono cresciute le ragioni divisive e non quelle convergenti. Tendenza che segnala che il centrodestra non solo oggi è avvantaggiato rispetto agli esiti delle elezioni regionali imminenti, ma potrebbe esserlo anche rispetto agli esiti più cruciali delle elezioni europee dell’anno prossimo.
È proprio questo snodo ad avere mosso le acque di una attenzione alla velocità necessaria per immaginare coi quali ruoli e con quali scopi potrebbe e dovrebbe formarsi un profilo di soggetti “riformatori” chiaramente e parimenti impegnati sul fronte interno e sul fronte europeo in tempi validi per sostenere il confronto.
Interpretare la politica ma soprattutto il grande “freddo” della società
Claudio Signorile – ispiratore e animatore di Mezzogiorno federato – ha segnalato per primo questa consapevolezza4. E chi qui scrive, avendo prestato attenzione alle dinamiche profonde, culturali e identitarie del partito che ha rivoluzionato gli esiti elettorali di settembre (vari articoli sulla materia5), ha allargato nel dibattito interno la percezione del tema che ha portato alla scelta di una definizione della costituenda federazione dei civici italiani nella forma di “Civici riformatori” (sottinteso sia italiani che europei). Istanza che è stata condivisa dai coordinatori delle tre componenti territoriali che si richiamano a diverse dominanti dei loro associati, il nord con prevalenti realtà amministrative e rilancio di alcuni circoli di iniziativa sociale; il centro, portando a compimento nei giorni scorsi un’ottima alleanza territoriale aperta a umbri, laziali, toscani, marchigiani, intrecciando esperienze di amministrazione locale all’associazionismo sociale; il sud seguendo i nuovi profili del meridionalismo connesso al rilancio e alla modernizzazione.
Tre soggetti che si preparano a conferenze territoriali con al centro la nuova domanda sociale di politica e prima dell’estate potrebbero arrivare all’evento politico della federazione nazionale.
Non era casuale il cenno all’esperienza di Milano del 2011, centrata su una figura di “federatore” che aveva una condizione di indipendenza rispetto ai maggiori soggetti della coalizione vincente.
Pensando che questa ipotesi sia la più percorribile per rendere compatibili volontà ormai radicate in termini conflittuali nel sistema dei partiti del cosiddetto centro-sinistra. Come del resto lo stesso Enrico Letta aveva immaginato, rendendo noto di avere chiesto a David Sassoli (allora presidente super partes del Parlamento europeo, eletto da una larga coalizione) di svolgere quel ruolo di federatore6.
Che in questa occasione dovrebbe avere il sistema del “civismo riformatore” non come stampella di questo o quel partito ma come soggetto che identifica la coalizione non per la separazione tra politica e società ma, al contrario, per la convergenza delle ragioni di ispirazione del “far politica”.
Tra l’altro la presenza in una futura tessitura di una componente civico-riformatrice renderebbe più solida la tendenza dell’area liberaldemocratica italiana a preferire questo campo di dialogo (non più limitato al conflitto tra PD e il “terzo Polo”) che ritrovarsi in uno schema che anche in ambito europeo sarà difficile da digerire per ALDE, liberali tedeschi in coalizione con SPD e macroniani7
Alcuni dati della recente produzione di ricerca sociale in Italia corredano questa riflessione.
Il primo riguarda il peso civile del 40% di astensionismo – il più alto dal dopoguerra – che comprende un ambito tecnico-logistico, ma anche un ambito prevalente di disaffezione e sfiducia. Che si mescola al fenomeno di “latenza e malinconica rassegnazione” che l’ultimo rapporto Censis segnala inusualmente tra i sentimenti in crescita in Italia. Una sfiducia che il rapporto Demos di fine anno spalma sulla maggior parte del sistema istituzionale (in cui restano in reputazione maggioritaria solo il Capo dello Stato, le Forze dell’Ordine e la Scuola) ma mostrando che il diritto-dovere di partecipare attraverso un articolato sistema associativo, valoriale e di scopo, arriva ed essere indicato e perseguito fino al 43% dei cittadini (graduato secondo gli obiettivi).
Se si vuole questo è il perimetro di rappresentanza – insieme a nuclei di aggregazione civica locale – a cui il Civismo riformatore deve offrire un legame praticabile che risponda ad una domanda ma anche al carattere che influenza quel “modello relazionale” che da più parti viene considerato obiettivo smarrito o per lo meno marginalmente praticato dal sistema dei partiti politici.
NOTE
1 Stefano Rolando – Dalle “Tesi di Trieste” al Partito Conservatore – Democrazia Futura (anticipato il 16.1.2023 dal magazine online Key4biz) – https://www.key4biz.it/democrazia-futura-dalle-tesi-di-trieste-al-partito-conservatore/431218/
2 Ecco lo schieramento dell’anno scorso ad un convegno proprio orientato a questo tema: https://www.destra.it/home/conservatori-a-roma-il-convegno-internazionale-di-nazione-futura/
3 Il contesto complessivo è ben illustrato da Pier Virgilio Dastoli in La via pragmatica al federalismo europeo, scritto per la rivista Democrazia Futura e anticipato da Key4biz il 13.1.2023 – https://www.key4biz.it/democrazia-futura-la-via-pragmatica-del-federalismo-europeo/430909/
4 Claudio Signorile – Ai conservatori bisogna rispondere da riformatori – Int. di Giuseppe Rippa – Buonasera Sud, 12.1.2023
5 http://stefanorolando.it/?p=7173
6 ANSA, Letta, proposi a Sassoli di guidarci alle elezioni politiche – 9.3.2023 –
7 “Cantiere infinito” lo ha chiamato Massimiliano Panarari analizzando il meeting di Milano tra esponenti liberali con Carlo Calenda, Matteo Renzi e Benedetto Della Vedova – Al centro riapre il cantiere infinito – Il Secolo XIX, 15.1.2023.
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