Adoro Pino Daniele, la sua musica, il suo modo di cantare, quella che è stata la sua capacità di assemblare, in un mix irripetibile, tradizione napoletana classica e il blues che, grazie a lui e al suo genio, ha attraversato forse l’ultima delle sue più importanti trasformazioni musicali e lessicali, da quando nacque e mise le radici tra le sponde del Mississippi, per poi volare nel mondo.
La sorte mi regalò l’opportunità di poter incidere con lui, 45 anni fa, due brani del suo primo, meraviglioso 33 giri dal titolo “Terra mia”. I brani erano: ” ‘Na tazzulella ‘e cafè” e la struggente “Napule è”, forse la sua più bella canzone.
Sono passati otto anni dalla tragica morte di Pino, e sapevamo tutti che era malato da tempo, senza immaginare, però, che se ne andasse così, in sordina, e che la sua malattia fosse così grave da diventare il suo maledetto conto alla rovescia.
Ci ha lasciato con la discrezione e lo stile che ha caratterizzato tutta la sua esistenza, da grande musicista e da grande uomo qual’era. Ma ecco il ricordo di quella registrazione.
Pino era un ragazzo poco più che ventenne quando lo incontrai la prima volta, un giorno di luglio del 1977, allo studio di registrazione “Quattrouno” di Claudio Mattone.
In quel momento mi chiamavano spesso a suonare nei dischi come turnista, e all’epoca facevo parte del trio jazz del pianista Amedeo Tommasi, con Roberto Spizzichino alla batteria, un trio molto affiatato, anche perché tutti e tre eravamo insegnanti alla scuola St. Louis di Roma per i nostri rispettivi strumenti.
Claudio Poggi, il produttore di “Terra mia”, ci chiamò per registrare questo disco, che aveva avuto già una prima stesura con altri musicisti dell’area napoletana i quali, in quel momento, costituivano l’avanguardia assoluta della musica italiana. Basti pensare a Tullio De Piscopo, James Senese, Tony Esposito, Joe Amoruso, Gigi De Rienzo, Rino Zurzolo, Ernesto Vitolo, Rosario Jermano, Enzo Avitabile, Enzo Gragnaniello e tanti altri, tutti grandi musicisti, con dentro quella forza musicale ribelle che solo Napoli possiede e può regalare ai suoi figli prediletti, la “cazzimma”, come la chiamano loro.
Pino si presentò con una chitarra acustica in una mano e l’altra tesa verso di me: “Piacere Pino”- mi disse, con la sua aria impacciata e quella voce strana e un po’ afona, e pensai subito: “Chissà come farà a cantare con questa voce…”. Amedeo Tommasi ci diede delle partiture che aveva appena scritto, con gli accordi del brano. Ci mettemmo ai rispettivi posti e indossammo le cuffie, collegai il mio Fender Precision all’amplificatore e cominciai a provare il basso.
Tommasi prese posto al pianoforte, provando gli accordi di “Napule è”, mentre Spizzichino iniziava a percuotere la batteria, tutto attraverso la sapienza professionale del fonico Franco Finetti in regia.
Pino, finito il sound-check dei nostri strumenti, prese la sua chitarra classica ed iniziò a provare il brano. “Questo ragazzo suona bene, senti che tocco e che begli accordi mette” – pensai, mentre si snodavano, tra le sue e le nostre dita, Do 7 + e Fa 7 + che costituivano l’inizio del brano.
Ma quando finì l’introduzione e iniziò a cantare “Napule è” fu per me una sorpresa e un’emozione fortissima. La voce afona di Pino si trasformò in un canto ricco di sentimento profondo e di blues, una cosa che non avevo ancora mai sentito, se non parzialmente da James Senese di “Campagna” con Napoli Centrale.
Dentro il suo canto c’era di tutto: la classicità di Napoli, il blues delle radici, e chissà quali altre straordinarie cose che il cuore di quel ragazzone timido del quartiere Porto, si portava dentro e comunicava con la sua musica.
Continuammo quelle sedute d’incisione che collimarono con un altro pezzo divertentissimo ma dal significato profondo e pieno di swing, “Tazzulella ‘e cafè”, che Pino suonò con una chitarra Gibson Les Paul, con un effetto tipo wah-wah, che comandava soffiando con la bocca dentro ad un tubo di plastica.
Questo brano divenne poi il suo primo grande successo, anche perché Arbore e Boncompagni, alla radio Rai di “Alto Gradimento”, iniziarono a trasmetterlo senza sosta.
La registrazione di “Napule è” venne fuori bellissima, con tutta quella carica emotiva che Pino ci aveva trasmesso durante l’incisione del brano. Ancora oggi, risentendolo, mi sembra un miracolo di equilibrio, di dolcezza, di sentimento.
Aver potuto partecipare a questo miracolo è stata una delle fortune della mia vita, e ancora oggi sono pieno di gratitudine per essere stato lì, quel giorno di luglio di più di quarant’anni fa a suonarlo con Pino, “azzeccato” a me.
“Napule è”
SEGNALIAMO